di Cinzia Frassi

Dalla due giorni sulla crisi nucleare iraniana tenutasi a Mosca martedì e mercoledì scorsi, emerge chiaramente che la situazione è in una fase di stallo. A pochi giorni dal 28 aprile, data indicata nell'ultimatum all'interruzione immediata di ogni attività di arricchimento dell'uranio all'Iran da parte del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, le posizioni che si fronteggiavano all'inizio sono le stesse di oggi. Dopo l'affondo degli Stati Uniti, che esortavano i 5 paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza a chiedere una risoluzione sulla base del capitolo 7 della Carta delle Nazioni Unite qualora Theran non avesse onorato l'ultimatum, incalzando sulla necessità di un intervento con l'uso della forza, la sensazione è che gli Usa siano piuttosto isolati.
Restano pressoché invariate le risposte da Teheran che evidenziano anche le difficoltà per gli Stati Uniti nel trovare il consenso di Russia e Cina. Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano da Mosca, lo dichiara serenamente: "Le minacce contro l'Iran sono il segno della frustrazione di Washington che non ha trovato consenso". Inoltre Ali Asghar Soltanieh, il rappresentante di Teheran all'Agenzia di Vienna a Mosca, ribadisce che il suo Paese è disponibile a "continuare pienamente'' la cooperazione con l'Agenzia internazionale per l'energia atomica ma che continuerà la ricerca nucleare civile e aggiunge. ''Ci aspettiamo che il mondo intero capisca che non possiamo fermare la ricerca nucleare a scopi pacifici''. Chiara la posizione dell'Iran anche e soprattutto dalla dichiarazione di ieri del ministro degli Esteri iraniano Manouchehr Mottaki, il quale afferma che "dire all'Iran, noi abbiamo la bomba atomica - riferendosi chiaramente ai cinque paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza - ma voi non avete il diritto di avere tecnologia nucleare civile, e' una logica che respingiamo una volta per tutte''.
Dopo giorni di silenzio su quanto in definitiva appurato nei confini iraniani, con lo scadere dell'ultimatum sarà finalmente dato conoscere le conclusioni dell'Aiea. Il direttore Mohamed Elbaradei illustrerà la relazione conclusiva dalla quale si spera di capire se e cosa i suoi tecnici hanno trovato in Iran. Forse è più realistico prevedere che gli stessi non siano stati in grado di provare la simulazione dell'attività di ricerca nucleare civile finalizzata in realtà a mettere insieme la tecnologia necessaria a dotarsi della bomba atomica da parte di Teheran. Prove, questo vogliono a Mosca, che ha ribadito la necessità che alla base di sanzioni contro l'Iran vi siano fatti concreti a dissipare dubbi circa il fatto che il programma nucleare iraniano interessi anche attività non pacifiche.

A seguito dei colloqui di Mosca emerge un nuovo appello Usa a "non sostenere l'Iran" e ad astenersi dal collaborare al programma nucleare di Teheran, riferendosi probabilmente al ruolo del Cremlino nel progetto della centrale di Bushehr, a sud dell'Iran. Gli Stati Uniti chiedono in sostanza di isolare l'Iran interrompendo non solo la collaborazione al programma nucleare ma anche le esportazioni, soprattutto di armi. Il sottosegretario di Stato americano, Nicholas Burns, dal meeting di Mosca dichiarava che "diversi paesi continuano a permettere l'esportazione di materiali dal doppio uso civile e militare che possono essere utilizzati e, crediamo noi in alcuni casi siano utilizzati, per far crescere l'industria nucleare iraniana".
Chissà se questo fermerà la corsa verso il nucleare dell'Iran. Probabilmente no, né a Bushehr e nemmeno ad Arak dove è in costruzione una nuova centrale con una capacità di 40 megawatt che sarà pronta nel 2009. Si tratta di una centrale di bassa produzione ma che tuttavia aveva trovato lo stop dell'Aiea lo scorso febbraio.

Sulle sanzioni all'Iran, il Presidente Bush non è riuscito a convincere nemmeno la Cina.
Il Presidente cinese Hu Jintao, in visita a Washington proprio pochi giorni fa, ha risposto laconicamente alla richiesta di Bush di appoggiare la condanna da parte del Consiglio di Sicurezza dell'Onu contro l'Iran semplicemente affermando la sua disponibilità a contribuire alla sicurezza e alla pace nel mondo e di perseguire la non proliferazione nucleare.

Toni bassi anche dal segretario di Stato americano Condoleeza Rice che si dichiara fiduciosa circa la possibilità di trovare una soluzione diplomatica in Iran, definito dalla stessa all'inizio di questa vicenda come "la banca centrale del terrorismo", senza però evitare di aggiungere che un opzione militare resta possibile come forma di una famigerata "autodifesa".

Ma la crisi iraniana non si gioca solo tra questi protagonisti e in nome del Trattato di non proliferazione nucleare. Vale la pena di ricordare come del club del nucleare facciano parte molti Paesi e che questi possono essere distinti in firmatari e non del TNP. Ma quello che è importante è che tutti rientrano in un'unica categoria e cioè quella dei Paesi che possono agire indisturbati investendo in ricerca nel campo nucleare, costruendo centrali e, perché no, dotandosi dell'arma più minacciosa per eccellenza. Un esempio su tutti è l'India, Paese che ai primi di marzo ha firmato un accordo di cooperazione per l'energia nucleare civile con gli Stati Uniti che non contempla alcun impegno di ridurre le installazioni militari nucleari né controlli di alcun genere.

Ma potremmo considerare la questione Iran riflettendo sulla situazione in Iraq e partendo dalle considerazioni riportate dal Corriere della Sera del giornalista del quotidiano al Hayat, Zaki Chenab che ha seguito i conflitti dell'area mediorientale degli ultimi vent'anni. "Dentro la resistenza", il suo ultimo libro, riporta tra le altre cose come si sia passati dall'euforia per la caduta di Saddam alla lotta contro "l'occupazione" americana. Per quanto riguarda l'Iran, il giornalista è convinto che la crisi sul nucleare si inserisce nella presenza americana in Iraq e nel tentativo di formare un nuovo governo che sia tutt'altro che antiamericano. La partita irachena avrebbe come protagonisti sunniti e sciiti - che hanno legami con Teheran - le basi militari, il petrolio iracheno, e gli Stati Uniti. Zaki afferma che è in corso il tentativo americano di realizzare uno scambio tra i suoi piani per restare in Iraq e quelli iraniani di entrare nel club dell'atomica. Riuscire a realizzare questi piani, conferirebbe agli Usa un ruolo predominante nell'area geopolitica mediorientale e la possibilità di influenzare gli assetti politici della stessa.

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