di Alessandro Iacuelli

Nuova inquietante ipotesi sui 118 morti del sottomarino russo Kursk, affondato il 12 agosto 2000 ad oltre 100 metri di profondità nel Mare di Barents. In una intervista al giornale on line Svobodnaia pressa, successivamente ripresa dal quotidiano Komsomolskaia Pravda, il settantenne capitano di vascello in pensione, Aleksandr Leskov, ex comandante di un sottomarino nucleare, smonta la versione ufficiale, quella dell'esplosione accidentale di un siluro che avrebbe innescato una reazione a catena. Secondo Leskov, il Kursk potrebbe essere stato colpito per errore in fase di emersione dal fuoco amico, probabilmente due missili terra terra, nel corso delle esercitazioni navali russe durante le quali avvenne l'incidente. Un episodio ancora pieno di misteri, di non detti, di depistaggi e polemiche, in particolare sul ritardo nei soccorsi. Secondo Leskov, il sommergibile, lungo 153 metri, era già in fase in emersione perchè con le sue dimensioni avrebbe avuto bisogno di almeno 500 metri di profondità per navigare in immersione, mentre nella zona dell'incidente i fondali arrivano a 115 metri. L'ufficiale sostiene inoltre che nessun siluro può esplodere da solo, avendo quattro livelli di protezione, e che in ogni caso non avrebbe potuto causare guai seri a un sottomarino del genere (il Kursk era il più grande sommergibile nucleare d’attacco del mondo ndr). L'ufficiale esclude poi che altri siluri possano essere esplosi in seguito all'urto con i fondali, come raccontato dalla versione ufficiale della marina russa.

"Credo che sia stato colpito due volte di seguito da missili “terra terra” russi mentre si stava dirigendo in emersione verso la zona prevista per delle manovre navali", afferma. "Se fossero stati salvati, i marinai avrebbero potuto raccontare la verità", aggiunge. Leskov ritiene inspiegabili gli indugi nelle operazioni di soccorso e dubita che non vi fossero a disposizione mezzi e uomini adatti al salvataggio, come dimostrerebbe il rapido aggancio del relitto da parte di una nave norvegese con un batiscafo inglese, quando ormai però non c'era più nulla da fare.

Quella mattina del 12 agosto 2000, alle 10.30 del mattino ora locale, il sottomarino interruppe i contatti radio e s’inabissò, adagiandosi sul fondale a circa 100 metri di profondità. Per una settimana il mondo intero ha assistito impotente alla tragedia dei marinai intrappolati. La morte degli uomini a bordo non fu immediata, entro i primi minuti successivi alle esplosioni, come avevano sostenuto le autorità russe soprattutto per le critiche sulla lentezza dei soccorsi. La notizia dell'inabissamento del sottomarino nucleare in seguito a due distinte esplosioni, venne diffusa solo due giorni dopo, il 14 agosto. Il presidente russo, Putin, che sulla continua presenza al Cremlino aveva costruito la sua immagine per distinguersi dal suo barcollante predecessore Eltsin, si trovava in vacanza a Soci, sul mar Nero, e non vide alcuna ragione per interrompere le vacanze e rientrò a Mosca solo alcuni giorni dopo.

Ma quella dei marinai del Kursk fu una lenta agonia, come testimoniato da una tragica lettera scritta al buio poche ore prima di morire dal capitano Dmitry Kolesnikov, e ritrovata qualche mese dopo da una spedizione russo-norvegese durante le operazioni di recupero. "Tutti i membri dell’equipaggio dei compartimenti sei, sette e otto, sono riusciti ad andare nella nona sezione. Siamo in 23. Nessuno è in grado di raggiungere la superficie", scriveva. Scritto nell’arco di due ore, il messaggio si faceva via via illeggibile. E terminava con le parole: "Sto scrivendo al buio".

La versione ufficiale racconta che la seconda esplosione sia dovuta a un siluro dello stesso Kursk, innescato dall'esplosione del primo siluro. Il capitano Leskov attacca con forza questa tesi, dichiarando che i meccanismi di sicurezza dell'innesco dei siluri non permettono un'esplosione a catena. Sempre secondo il capitano, i siluri in dotazione al Kursk erano stati progettati anche per essere al sicuro dall'evenienza di uno scoppio accidentale, e lo stesso sommergibile era stato costruito per non essere danneggiato da un'esplosione accidentale a bordo. Per questi motivi, Leskov avanza l'ipotesi che il Kursk sia stato vittima di un attacco missilistico da terra, probabilmente russo.

Il primo luglio del 2002 la commissione d’inchiesta sull'incidente ha concluso i propri lavori, stabilendo che l'affondamento del sottomarino fu causato dall'esplosione del carburante in uno dei suoi siluri, secondo cause lasciate nell'ignoto dalla commissione stessa. Il passaggio più fumoso è quello che dichiara che il carburante era "difettoso" e in virtù di questo difetto causò un'esplosione che provocò un brusco innalzamento della temperatura e della pressione nel primo compartimento, facendo scoppiare altri siluri.

Sull'incidente, già nel 2005 erano sorte nuove polemiche circa le cause. In quell'occasione, un ex funzionario militare inglese confermò l’attendibilità dell'inchiesta condotta da Maurice Stradling, esperto di siluri e già importante componente della commissione che indagò nella prima inchiesta, il quale sostenne che l'affondamento fu causato da un siluro del tipo MK-48, in dotazione ai sommergibili della US-Navy. Sempre secondo Stradling, il foro è il segno distintivo di un siluro americano tipo MK-48, il quale, grazie a un meccanismo particolare che si trova sulla sua testata, è in grado di fondere la corazza di acciaio su cui urta, e suggerì l'ipotesi che l'incidente sia avvenuto mentre due sottomarini USA, il Toledo e il Memphis, seguivano il Kursk durante normali esercitazioni militari sottomarine, probabilmente a scopo di spionaggio.

Ora, arriva anche la tesi del capitano Leskov, che esclude ogni possibilità di "difetti" nel propellente di un siluro, esclude che le falle siano causate da altri siluri e spinge la tesi dell'affondamento missilistico. Ma c'è una domanda che sorge spontanea, e che non è stata posta dagli intervistatori del capitano di vascello in pensione: perché queste ipotesi, lui che di sottomarini nucleari ne capisce, le rende pubbliche solo 9 anni dopo?

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