di Michele Paris

Ha dovuto attendere ben otto mesi per ottenere il proprio seggio al Senato degli Stati Uniti d’America l’ex comico ed attore Al Franken. Al termine di una lunghissima e sfiancante battaglia legale che lo vedeva opposto in Minnesota al senatore repubblicano in carica Norm Coleman, il candidato democratico ha beneficiato di una sentenza decisiva della Corte Suprema dello Stato che ha messo la parola fine ad una elezione che lo scorso mese di novembre era apparsa da subito estremamente equilibrata. Il successo dell’ex protagonista del popolare show americano Saturday Night Live risulta di grandissima importanza, perché consente al partito del presidente Obama di raggiungere al Senato, almeno in linea teorica, la fatidica quota di 60 voti, soglia necessaria per superare il principale strumento di ostruzionismo in mano all’opposizione (“filibuster”). Dopo quasi 3 milioni di voti espressi in Minnesota il 4 novembre dello scorso anno, un primo conteggio aveva dato al repubblicano Coleman un vantaggio di poco più di 200 voti. Il riconteggio manuale, resosi necessario per l’incertezza del risultato, aveva successivamente prodotto esiti contrastanti, dando vita ad una serie di iniziative legali da parte di entrambi i candidati in disaccordo sulla legittimità di alcune migliaia di schede. Un ultimo conteggio condotto da una commissione di tre giudici, dopo aver riconsiderato 400 schede di votanti a distanza inizialmente annullate, aveva dato infine ad Al Franken un margine di vantaggio di 312 voti.

A fine aprile tuttavia, i legali di Coleman annunciavano il ricorso alla Corte Suprema del Minnesota, la quale all’unanimità ha chiuso pochi giorni fa l’estenuante controversia, stabilendo che il senatore repubblicano non è stato in grado di presentare sufficienti prove di eventuali errori nell’esclusione dal conteggio finale di migliaia di schede. Nonostante la volontà espressa da Coleman prima della sentenza della Corte Suprema dello Stato di proseguire la sua battaglia in un tribunale federale, l’ormai ex senatore - per il quale si prospetta probabilmente una candidatura per il posto di governatore nel 2010 - ha alla fine deciso di rinunciare definitivamente al proprio seggio, riconoscendo la vittoria del rivale democratico.

Nei mesi successivi alle elezioni di novembre, il Minnesota - Stato con una popolazione di oltre 5 milioni di abitanti e per il quale sono previsti due seggi nel Senato degli Stati Uniti - era rimasto con un solo rappresentante alla Camera alta del Congresso, la democratica Amy Klobuchar. L’imminente certificazione del successo di Al Franken da parte del governatore repubblicano Tim Pawlenty, consegnerà ora alla maggioranza democratica un voto potenzialmente cruciale in vista dei delicati dibattiti che si attendono in aula su iniziative di legge importanti, come quelle legate alla riforma sanitaria o al cambiamento climatico. Per il neo-senatore inoltre è già pronta la nomina a tre commissioni del Senato: Sanità, Giustizia e Affari Indiani.

Nonostante il protrarsi per quasi otto mesi, il testa a testa in Minnesota tra Franken e Coleman non è però il più lungo nella storia del Senato degli Stati Uniti d’America. Il primato rimane alla sfida per il seggio del New Hampshire del 1974 tra il democratico John Durkin e il rivale repubblicano e favorito Louis Wyman, che durò addirittura dieci mesi. Dopo una serie di riconteggi che avevano infine determinato un vantaggio per quest’ultimo di appena due voti, il Senato dichiarò vacante il seggio del New Hampshire e una nuova elezione nel settembre 1975 consegnò una netta vittoria al democratico Durkin.

Con il sospirato ingresso al Senato di Al Franken, i democratici possono così festeggiare il raggiungimento della cosiddetta “supermaggioranza”, un totale cioè di 60 voti su 100 membri che compongono l’assemblea. In questo modo, il partito di maggioranza può teoricamente sottrarsi alla tattica ostruzionistica detta “filibuster”, la quale permette ad un senatore o ad un gruppo di senatori della minoranza di discutere un provvedimento in aula per un periodo di tempo indefinito. Tale situazione di stallo è evitabile appunto solo attraverso una mozione votata da 60 senatori che può mettere fine al dibattito (“cloture”). In passato, per superare l’ostruzionismo dell’opposizione era necessaria una maggioranza di due terzi (67 senatori), portata a tre quinti (60) nel 1975. Da allora, prima di oggi, solo tra il 1975 e il 1979 un partito - quello Democratico - ha potuto contare su una supermaggioranza di 60 senatori.

Nella situazione attuale tuttavia, i 60 voti democratici (ottenuti tra l’altro grazie ai due senatori indipendenti Bernie Sanders e Joseph Lieberman), oltre ad essere tutt’altro che garantiti su molte questioni, promettono di portare con sé anche non poche insidie. Tanto per cominciare, due veterani del Congresso come Ted Kennedy (Massachussets) e Robert Byrd (West Virginia) attualmente partecipano molto raramente alle sedute del Senato. Il primo sta infatti ricevendo le cure per un cancro al cervello diagnosticato lo scorso anno, mentre il secondo compirà 92 anni il prossimo mese di novembre e soffre di svariati problemi di salute. È probabile in ogni caso che entrambi saranno presenti in aula in occasione del voto sui temi più importanti.

Il senatore Byrd inoltre - già membro del Ku Klux Klan negli anni Quaranta - al contrario di Kennedy è attestato su posizioni moderate e il suo voto su alcune questioni care all’ala liberal del Partito Democratico appare in dubbio, a cominciare dalla legge contro il riscaldamento globale che incontra parecchie resistenze nel suo stato di provenienza - il West Virginia - tra i primi produttori di carbone del paese. Come Byrd, un consistente numero di altri senatori democratici proviene poi da stati tradizionalmente repubblicani dove l’elettorato appare poco disposto ad appoggiare incondizionatamente le posizioni della sinistra del partito. I 60 voti sono insomma solo “sulla carta”, come ha ammesso lo stesso leader di maggioranza al Senato Harry Reid, sottolineando come il suo gruppo parlamentare sia composto da “senatori filosoficamente molto diversi”.

I compromessi che si renderanno necessari per conquistare l’appoggio dei democratici moderati potrebbero allo stesso modo produrre una spaccatura a sinistra, dove già qualche critica si è levata negli ultimi mesi a causa delle soluzioni spesso poco incisive raggiunte su molte iniziative di legge. Le attese dell’elettorato nei confronti di un partito che controlla la Casa Bianca e in maniera così ampia il Congresso stanno oltretutto già creando inevitabili aspettative che rischiano di produrre conseguenze estremamente negative in caso di scarsi risultati concreti o di conflitti interni alla maggioranza. I Repubblicani d’altra parte non attenderanno molto per soffiare sul fuoco delle polemiche in quegli stati in bilico tra i due partiti per accusare i senatori democratici moderati di aver permesso al Partito Democratico di implementare un’agenda troppo liberal.

Il regalo della supermaggioranza democratica fatto a Obama insomma, se da un lato non permetterà che ci siano più scuse di fronte all’opinione pubblica per l’attuazione del suo ambizioso programma di governo, dall’altro rischia di rimanere un puro calcolo matematico con scarsi risultati concreti. Sarà allora forse l’influenza del popolare presidente sui propri parlamentari a determinare la compattezza di un partito in un momento cruciale della storia americana di fronte ad un’opposizione sempre più agguerrita. In caso di fallimento, tornerà a rendersi necessario l’appoggio di una manciata di repubblicani per compensare eventuali defezioni, con effetti però nefasti per i democratici nella prossime tornate elettorali.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy