di Carlo Benedetti

Andrei Nikolaevic Illarionov La notizia che viene da Mosca annuncia tempeste e crisi. Perché il paese è ancora una volta ad una svolta epocale. Comincia un nuovo assalto al Palazzo d'Inverno. Ma questa volta non sono i bolscevichi a tentare la conquista del cielo, perché ad esplodere, con una vera rivolta, sono quei boiardi che al giorno d'oggi - in regime di capitalismo selvaggio - rappresentano la nuova "nobiltà di servizio". E la loro denuncia contro il Cremlino (che hanno contribuito a costruire) è totale, tragica e distruttiva perché mette a nudo lo stesso Presidente Putin, sino a ieri osannato e protetto. Ora i vassalli del principe vuotano il sacco. Ecco cosa dicono: la Russia non è un Paese politicamente libero; non risponde ai parametri del Gruppo dei paesi più industrializzati del mondo; la sua inflazione è alle stelle; non è un Paese economicamente progredito; sta distruggendo a gran velocità gli istituti dello Stato moderno e della società civile; i media sono dominati da un'isteria propagandistica; vengono licenziati giornalisti e direttori dei maggiori organi di stampa; nasce una nuova "guerra fredda"; si stabiliscono rapporti con paesi non in regola quanto a democrazia e libertà; la magistratura è diretta dal centro politico del Paese; il business è sotto il controllo del Cremlino; sono nazionalizzate società private; si confiscano beni privati; burocrati e procuratori decidono su ogni cosa al di fuori delle leggi. Per tutti questi motivi i boiardi sentenziano che la Russia di Putin è fuori da ogni regola e che, di conseguenza, non può essere "compresa" nel Gruppo dei paesi più democratici e più industrializzati del mondo. Deve essere "espulsa" da questa comunità e il summit del G8 - previsto per giugno a San Pietroburgo - deve essere annullato. L'attacco al Cremlino è frontale. Viene dagli stessi uomini che sono stati sino ad ora al servizio della nuova razza padrona russa. Quindi non pericolosi bolscevichi, non i comunisti di Zjuganov o i nostalgici della vecchia Unione Sovietica. La rivolta è tutta interna. A guidarla è un personaggio che fino a ieri era ritenuto uomo al di fuori di ogni sospetto,un fedele di Putin, suo consigliere per le questioni economiche e leader del liberismo più radicale.

Il capo della rivolta si chiama Andrei Nikolaevic Illarionov. E' un economista che sino a poco tempo fa è stato l'ideologo delle questioni "macroeconomiche" e l'organizzatore di tutte le missioni economico-commerciali svolte da Putin in varie parti del mondo. Nato nel 1961 a Leningrado si è qui laureato con una tesi sul capitalismo contemporaneo. Ha poi diretto vari centri di studi economici; ha frequentato corsi all'estero (Usa e Inghilterra) ed è stato uno degli autori del programma economico della nuova Russia. Nel 2000 è entrato nel gruppo di lavoro che, per Putin, ha seguito le questioni economico-finanziarie. Ha operato per creare le linee strategiche di ingresso nel Club dei paesi più industrializzati divenendo anche il rappresentante russo presso il G8. Poi l'improvvisa rottura con Putin, avvenuta alla fine dello scorso anno. Ed ora Illarionov - divenuto uno dei più potenti boiardi - esce allo scoperto e sceglie la strada dell'opposizione aperta al "sistema Putin".

L'ex consigliere sceglie di attaccare nel momento più critico della vita del Cremlino. Il Paese è alla vigilia della riunione del G8 a San Pietroburgo. Alle spalle ha un lungo e faticoso cammino tutto in salita, iniziato in quel lontano 1985, quando le maggiori democrazie industrializzate - Canada, Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Giappone e Stati Uniti - accolsero nel loro Club anche la Russia. Da quel momento si riunirono per discutere, periodicamente, le questioni riguardanti l'economia mondiale. Nel summit del 1998 il G7 divenne G8 con l'aggiunta, appunto, della Russia nonostante una certa riluttanza ad ammetterla al tavolo dove si discutevano temi relativi alla finanza globale.
Il G8 del 2004 si svolse a Sea Island, negli Usa. Poi quello del 2005 a Perthshire in Scozia. Ed ora - mentre si preparano le accoglienze a San Pietroburgo - si abbatte su Putin il "ciclone Illarionov". Il quale sceglie la forma di un intervento pubblico per attaccare la linea del Cremlino. E così esce sul Corriere della Sera (18 aprile 2006) la sua requisitoria. Le cose scritte da Illarionov rappresentano un vero atto d'accusa: la Russia non può far parte del G8; l'inflazione e la corruzione nel Paese sono alle stelle; il Pil pro-capite è a un terzo delle altre nazioni. E ancora: secondo tutti questi parametri Mosca starebbe meglio con Haiti, Ciad e Nepal. Di qui l'invito a tutti gli altri paesi del Club a non partecipare al summit di San Pietroburgo. Putin cammina su carboni ardenti e Mosca si muove alla cieca in un mondo occidentale che appare sempre più lontano. C'è quindi, in Russia, una faticosa corsa ad ostacoli contro il tempo.

Si prevede una lotta dura tra le oligarchie vicine al Presidente e quelle osteggiate dal Cremlino. Ed ora entra in scena anche la "terza forza". Quella dei boiardi di Illarionov. Personaggi, tutti, che da testimoni del potere passano al ruolo di protagonisti. La Russia, ancora una volta, si carica di tensioni, ma questa volta i bolscevichi non hanno nessuna colpa. Il discorso di politica economica e di strategia generale si fa sempre più complesso. Con il rischio che Putin potrebbe essere travolto dagli stessi meccanismi di un sistema che ha contribuito a costruire. E questo vorrebbe dire - ricordando sempre che si vive soltanto di continue metamorfosi - che qualcuno, sotto le mura del Cremlino, ha ben scavato.

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