di mazzetta

La rivolta iraniana non accenna a placarsi nonostante la repressione. Come in una partita a scacchi che non si concluderà sicuramente in pochi giorni, le pedine si muovono sullo scacchiere senza che agli spettatori sia dato capire le prossime mosse e le probabilità di vittoria dei giocatori e la partita risulta ancora più indecifrabile a chi non conosca la complessità della politica iraniana, spesso esemplificata oltre la realtà per esigenze di propaganda. A pochi giorni dall'eruzione della rivolta i rivali istituzionali rimangono sulle loro posizioni, ma alzano il livello dello scontro. Se da un lato Ahmadinejad iscrive il rivale Mousavi nell'elenco dei criminali e Khamenei appare ormai aver scelto il campo del presidente ufficialmente rieletto, sul fronte avverso Mousavi non desiste e si dichiara pronto al martirio, mentre tutto attorno a lui è un frenico trattare sottobanco per minare gli equilibri esistenti nella repubblica teocratica iraniana. Fino ad ora il regime in carica sembra aver retto l'urto della protesta, ma gli sviluppi delle ultime ore non implicano affatto che la situazione possa risolversi felicemente per la fazione al potere. La rivolta si sviluppa su diversi piani e non è detto che la piazza, fino ad ora illuminata dalla rete, sia il campo di battaglia decisivo. Uno scontro fondamentale è in corso all'interno del Consiglio degli Esperti, su inpulso di Rafsanjani che lo presiede, l'unico organo che può rimuovere il supremo leader Khamenei. Di notevole interesse sono i colloqui in corso a Qom, il Vaticano sciita, ai quali parteciperebbero, oltre ai membri del consiglio, i principali leader religiosi, tra i quali al Sharistani e anche il “Papa” sciita, l'iracheno al Sistani. La sola esistenza di colloqui del genere segnala la possibilità di una soluzione “istituzionale”, tutta interna alla teocrazia.

Una soluzione del genere segnalerebbe che effettivamente la rivolta popolare rischia di travolgere lo stesso sistema teocratico e che esista un fondato timore del clero nei confronti dei possibili sviluppi in questo senso, tale da spingerlo, almeno, ad interrogarsi sulla necessità di una rapida autoriforma. Nello scontro tra le due fazioni la religione c'entra poco, c'entra invece moltissimo l'equilibrio fondato proprio sulla modesta figura di Khamenei, che negli anni si è trasformato da brutto anatroccolo nel perno di un sistema che degrada sempre di più verso l'estremismo religioso e il populismo.

A questo proposito c'è da segnalare in queste ore proprio l'arresto della figlia di Rafsanjani, avvenuto proprio a ridosso della richiesta dell'ex-presidente Khatami per la liberazione di tutti gli arrestati. Se dalla repressione in corso si può trarre l'impressione che il regime intenda giocare la partita fino in fondo, l'arresto della figlia di Rafsanjani e di molte personalità a lui vicine, rischia di segnare veramente il punto di non ritorno di un conflitto che molto difficilmente potrà vedere le due fazioni trovare punti d'accordo o d'equilibrio. Oltre ad essere indubbiamente provocatorio e offensivo per il padre, l'arresto rischia di mobilitare davvero la potenza economica della sua fazione che di fronte ad un attacco diretto e brutale potrebbe considerare venuta la necessità di giocarsi il tutto per tutto.

Se lo scontro istituzionale dovesse finire ai coltelli non è facile prevedere chi ne uscirà vincitore, anche perché all'interno del sistema teocratico iraniano esistono comunque molti centri di potere e molte differenze e divisioni che seguono intersecandoli i conflitti di classe, d'interesse, quelli religiosi e quelli etnici. Una polifonia molto più complessa del riassunto bipolare offerto dall'immagine del confronto tra due campi omogenei e una molteplicità di livelli molto più complessa del conflitto bidimensionale offerto dallo scontro di piazza.

Dalla parte di Ahmadinejad e Khamenei ci sono gli apparati di sicurezza, anche se non è chiaro con quale compattezza, visto che sono state già annunciate parecchie defezioni morali. Apparato che però di fronte a una decisa compattezza delle gerarchie clericali contro il leader supremo potrebbe anche cambiare di campo in misura significativa. Il presidente e il leader supremo possono anche contare su un vasto sostegno popolare, che però non sembra in grado di portare le masse amiche nelle strade contro gli avversari. Una cosa che non sembra potersi il regime è la repressione incontrollata, lo dimostra la reazione fino ad oggi, che nonostante la brutalità sembra molto al di sotto del “necessario”, segno della volontà e dell'impossibilità della repressione militare e radicale.

Accanto ai loro oppositori sembra che ci sia un numero sempre maggiore di iraniani, la repressione e i lutti non hanno sicuramente migliorato l'immagine del potere e già ora la protesta sembra aver raggiunto dimensioni con la quale il potere fatica a confrontarsi. L'Ayatollah Montazeri (figlioccio di Khomeini) ha chiesto agli iraniani una veglia funebre per i prossimi mercoledì e venerdì, un'iniziativa che ricorda i tempi della rivoluzione. Furono proprio gli scioperi e le veglie funebri a fiaccare il regime e a costringere il sovrano iraniano alla fuga dal paese, se queste proteste riuscissero a toccare l'animo della minoranza silenziosa, quella che non è ancora scesa in piazza, il regime non potrebbe che rinunciare alla repressione o andare allo scontro totale in drastica minoranza.

Attorno alla partita iraniana, che sembra proprio essere iniziata del tutto inattesa oltre le frontiere del paese, gli spettatori trattengono il fiato. Non è chiaro l'esito dell'incontro e non è chiaro nemmeno se sia nell'interesse di altri paesi disturbare lo scontro in corso, gli stessi Stati Uniti hanno scelto un profilo molto basso, presto emulati da molti altri paesi che per giorni hanno ufficialmente ignorato le vicende iraniane. Gli Stati Uniti avevano appena inaugurato la politica dell'approccio pragmatico nei rapporti con l'Iran e teso la mano al regime e sicuramente Obama è sincero quando dice che a lui e al Dipartimento di Stato “non è chiaro” se abbia senso sostenere Mousavi nelle sue rivendicazioni, anche le reazioni negative alla repressione hanno avuto un tono assolutamente temperato. Anche il governo israeliano, al quale faceva gioco la vittoria dell'estremista Ahmadinejad, ha lanciato la palla rovente nel campo di Obama, dichiarando che ne asseconderà le iniziative nei confronti dell'Iran. Una maniera come un altra di porsi, con poca spesa, come fedele alleato dopo i recenti attriti sul congelamento delle colonie israeliane nella West Bank e magari sperare che l'infuocarsi dell'Iran distragga gli USA dall'idea sgradita di dettare le mosse d'Israele.

Sembra che accanto alle persone comuni che scendono in piazza esponendosi, ci siano solo i loro omologhi in tutto il mondo, che solidarizzano per la lotta contro il regime, ma che simpatizzano per i rivoltosi soprattutto perché le identificano come vittime del potere, poco importa che sia quello della parte di Ahmadinejad o di quella di Mousavi. I dimostranti iraniani sembrano gli unici genuinamente, e forse ingenuamente, a difendere qualcosa di condivisibile e di fondamentale: la loro libertà. In tutto il mondo, dove ci sia o non ci sia libertà, uomini e donne non possono che sostenere il diritto alla parola e all'integrità fisica dei dimostranti iraniani, augurandosi che prima o poi riescano a liberarsi dalla morsa clericale e a sviluppare nuovi equilibri fondati sul confronto tra gli uguali piuttosto che sulle parole incerte di deità improbabili.

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