di Carlo Benedetti

Una Russia che va all’attacco è quella che si presenta con l’abito della festa é quella del vertice di San Pietroburgo. Si tratta, appunto, di un forum mondiale (il 13mo della serie) che vede presenti alti esponenti della politica e del settore imprenditoriale. Riunione estremamente ampia perché raccoglie ben 8mila personaggi che si pongono come obiettivo - interrogandosi sul futuro - quello di trovare vie d’uscita alla attuale crisi economica globale. E per i russi - impegnati in azioni a largo raggio sul piano economico - l’occasione consiste nel rilanciare i rapporti bilaterali. Di conseguenza il Cremlino getta sulla bilancia di questo vertice il peso delle sue imprese petrolifere e del gas, i progetti di ampio respiro nel campo della raffineria del petrolio, nel campo della petrolchimica, nel campo della liquefazione del petrolio e annuncia finanziamenti per la creazione di moderne tecnologie. Un Medvedev sempre più sicuro di se e dell’economia del suo paese, annuncia: “Se sapremo equilibrare le spese in questi campi, le spese a scopi sociali, le spese per lo sviluppo di nuove imprese nel nostro Paese, in fin dei conti avremo una nuova struttura dell’economia nazionale”. Ai diplomatici e agli osservatori non resta che notare che queste parole del presidente russo si allineano a quelle di Obama al Cairo nel senso che - parafrasando il contesto del discorso del presidente americano - si dovrebbe essere ad un “nuovo inizio” nelle relazioni di Mosca con gli altri paesi. E c’è, in merito, chi già fa notare che la Russia, parte integrante dell’economia globale, potrà superare le conseguenze dell’attuale crisi globale modificando anche gli importanti meccanismi finanziari.

Ossia, creando – come evidenzia Medvedev - una valuta sopranazionale e precisamente una serie di nuove valute regionali. Il rublo russo potrebbe svolgere, in tal senso, una funzione positiva creando nuove regole del gioco sul mercato mondiale. E questo potrebbe anche significare che per il Cremlino l’attuale crisi economica mondiale sarebbe non solo una sfida drammatica ma anche un’eccezionale possibilità per dare vita, appunto, ad una struttura innovativa dell’economia nazionale. Medvedev lancia quindi la sua sfida e dice: “Siamo tenuti ad avvalerci delle possibilità supplementari derivanti dall’esportazione di materie prime per modificare in modo radicale la struttura dell’economia nazionale”. La visione è comunque globale. Mosca guarda all’Eurasia, alla Cina e all’India che ritiene pilastri del modello d’integrazione eurasiatica e che considera come una sorta di “grande confederazione” con baricentro nel territorio postsovietico; un modello amministrativo che rappresenti la base per una mutualistica cooperazione tra i centri direttivi del continente.

Le cifre della Russia, in tal senso, parlano e sono macigni. Ma anche la Cina non scherza e rilancia. Ad oggi Pechino, grazie ai fondi stanziati dallo Stato, ha realizzato 20mila chilometri di strade rurali, 214mila case popola¬ri, 445 chilometri di autostrade e 100mila metri qua¬drati di edifici aeroportuali. Tutto questo rivela che nel primo tri¬mestre di questo anno gli investi¬menti cinesi nelle infra¬strutture sono cresciuti del 102%. Nello stesso periodo negli Stati Uniti sono stati di¬stribuiti solo 69 miliardi dei 787 miliardi di dollari previ¬sti dal piano di Washington. Di questo passo, Pechino - che sta già am¬piamente sfruttan¬do il suo piano di sti¬molo da 585 miliar¬di di dollari - potrebbe inanellare l’enne¬simo primato, quello della ripartenza più bruciante, al punto di contendere agli Stati Uniti il ruolo di loco¬motiva mondiale.

Una situazione questa che assume un carattere epocale. E tutto questo fa scrivere alla stampa russa - sempre attenta a quanto avviene a Pechino - che la Cina va seguita attimo per attimo perché gli “sconvolgimenti economici” che si registrano nella sua economia sono ciclopici e, purtroppo, “incontrollabili”. E mentre va avanti e si rafforza questa competizione tra i due giganti - Russia e Cina - la strategia dell’attenzione obbliga il Wall Street Journal, con la penna dell’am¬ministratore delegato di Ca¬terpillar, Jim Owens, a dire: “Se ne¬gli Stati Uniti per aprire un cantiere servono media¬mente 9 mesi, in Cina ba¬stano 9 settimane”.

Quanto ai dati statistici risulta che l’economia cinese è cre¬sciuta del 6,1% nel primo quarto dell’anno e le attese sono per un 6,8% nel secon¬do trimestre. Ma non sono solo rose e fiori. L’obiettivo della banca centrale di una crescita dell’8% resta lonta¬no. Gli investimenti conti¬nuano a essere effettuati in gran parte dallo Stato e non dal settore privato. Le e¬sportazioni inoltre sono in calo da sei mesi consecutivi e la Cina dipende ancora dalle sorti dei suoi mercati di sbocco. Ma è pur vero - come ha annunciato Michael Spence, Premio Nobel per l'economia al recente simposio di Trento - che sarà proprio la Cina ad aprire la strada alla ripresa mondiale dimostrando, allo stesso tempo, “di essere la più veloce". Considerazioni di tenore analogo sono venute anche dal Segretario del Tesoro americano Timothy Geithner.

Ma a San Pietroburgo il discorso generale avrà ora motivi di approfondimento e di concretezza. Perchè si sa che Russia e Cina si stanno dirigendo verso una fase di alta velocità economica che dovrebbe consentire di smarcarsi dal dollaro. Ne consegue che quel tacito accordo monetario tra Washington, Mosca e Pechino è ormai superato. E tutto avviene nel momento in cui le economie di Russia e Cina si sono dotate di una strategia a lungo termine volta a sviluppare il sistema bancario nazionale, ad accrescere il mercato interno delle obbligazioni e, in definitiva, a liberalizzare gli scambi monetari.

La Cina, tra l’altro, ambisce a fare di Shangai una delle più importanti borse mondiali entro il 2020 e stima che entro il 2030 la sua economia avrà superato quella degli Stati Uniti. Di fronte a questa situazione - che é in continuo movimento - gli analisti asiatici (troviamo queste considerazioni nelle corrispondenze che arrivano a Mosca da Pechino) ritengono che il modello cinese, il quale prevede il controllo dei capitali e un mercato rigidamente regolato, sia quello più sostenibile. Sono così finiti i giorni in cui il Segretario del Tesoro Paulson poteva andare in Cina e dare lezioni ai cinesi sulla necessità di liberalizzare ulteriormente il mercato.

La Cina cerca ora di acquisire maggiore rappresentanza e maggior potere in seno alle istituzioni finanziarie internazionali, come l’IMF. Inoltre, per favorire la crescita, il governo, consapevole dei rischi derivanti da una forte dipendenza dalle esportazioni, si va sempre più rivolgendo verso il mercato interno. In qualche misura, esiste una convergenza d’interessi - nel lungo termine, quello degli Stati Uniti è di risparmiare di più e consumare di meno - ma se gli USA applicheranno misure protezioniste, i rapporti con Pechino potrebbero peggiorare.

Di qui il pragmatismo di Obama che cerca un’intesa con il presidente Hu Jintao che viene considerato come un moderno modernizzatore e con Wen Jibao, un premier con il quale gli americani non sono ancora riusciti a stabilire forme di dialogo. Intanto Putin e Medvedev, nella sede di San Pietroburgo, cercano di costruire un nuovo livello di potere economico e politico. Che per Mosca e Pechino si chiama “alta velocità”.

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