di Carlo Benedetti

MOSCA. Anche il fronte del Caucaso (che registra il più grande contrasto tra Russia e Stati Uniti dalla fine della guerra fredda e dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica) ha ora il suo chek point Charlie dove si scambiano i prigionieri delle due armate e dove va in scena una sorta di “tutti i casa”: 15 tra militari e civili georgiani contro cinque soldati russi. Ma il problema di queste ore non consiste nel vedere chi sta vincendo o chi sta perdendo in questa contesa. Nulla si può dividere, perchè tutti stanno vincendo. I georgiani di Saakasvili che hanno mostrato il loro volto aggressivo uccidendo popolazioni inermi e portando acqua al mulino dell’allargamento ad Est della Nato. Hanno favorito (sino a questo momento) l’espansionismo statunitense assicurando a Bush e alla Rice il pieno controllo di Tbilisi. Hanno vinto anche gli ossetini del Sud di Kokoity perché grazie al blitz delle armate di Saakasvili (appoggiate dagli Usa di Bush e della Rice) hanno ottenuto - pagando con il sangue e le distruzioni - un palese riconoscimento internazionale. Perchè ora l’Ossezia del Sud è veramente autonoma, indipendente, anche se ancora nel mirino dei nemici georgiani. Hanno vinto i russi di Putin e di Medvedev perché grazie alla loro macchina militare sono penetrati in profondità nel territorio della Georgia puntando a distruggere le infrastrutture dell’esercito degli occupanti. E i russi hanno non solo “occupato” la “loro” Ossezia del Sud, ma si sono spinti sino alle porte di Tbilisi. E nello stesso tempo hanno mostrato al popolo ossetino di essere dalla loro parte in tutto e per tutto. Vittoria di Pirro, comunque, perché c’è anche chi ha perso realmente.

Hanno perso quelle forze che in Russia, in questi ultimi tempi, hanno spinto per soluzioni autoritarie. Per dare una punizione definitiva all’arroganza georgiana. Hanno perso vari uomini dello Stato Maggiore di Mosca i quali hanno voluto ribadire che la forza militare - quella formatasi con l’Urss - è stata messa in moto e subito frenata senza tener conto delle reazioni negative che si potrebbero registrare nello stesso esercito. E così gli alti gradi dell’esercito fanno arrivare al Cremlino l’elenco dei soldati morti e offrono poi alla stampa, dalle colonne del quotidiano Komsomolskaja Pravda, i nomi di 280 feriti. E come sempre avviene in questi casi gli argomenti dei “nemici” portano acqua al mulino delle polemiche di parte. Si utilizza così quanto dichiara Condoleezza Rice. E cioè che Mosca sta facendo un "gioco pericoloso" e che la Nato dovrà fare tutto quanto in suo potere per impedirle di trarre una vittoria strategica dal suo intervento in Georgia.

Si diceva di chi ha perso. Hanno perso anche (e questa potrà sembrare un’analisi azzardata) gli americani. I quali scaricando a Tbilisi dollari, uomini e armi, si ritrovano ora ad avere tra i piedi un cadavere vivente come Saakasvili che ha dimostrato di essere un Quisling da quattro soldi. E ha perso anche l’esercito georgiano che aveva orgogliosamente varcato i confini con l’Ossezia del Sud giocando al tiro del piccione contro gli ossetini. Ma una volta fatto il vuoto i georgiani - al pari di un’armata Brancaleone - si sono scatenati buttando via le armi, lasciando sul campo decine e decine di carri armati per occuparsi di attività ben più redditizie: un lavoro di sciacallaggio e di furto nelle case abbandonate, negli uffici e nelle banche.

Ed ecco che ora le forze russe avviano il loro ritiro dal territorio georgiano come previsto dal piano di pace messo a punto dall'Unione europea e accettato da Mosca e da Tbilisi e come si era di nuovo impegnato a fare il presidente russo Medvedev. Il ritiro è cominciato da Tsikvali, la capitale dell'Ossezia del Sud. Mentre a Mosca il Vice Capo di Stato maggiore, Anatoly Nogovitsyn illustrava le tappe di un “rientro concluso con successo". In precedenza, invece, il segretario del Consiglio di sicurezza georgiano, Aleksandr Lomaia, aveva detto alla Radio Eco di Mosca che non c’era ancora alcun segno di ritiro delle forze russe penetrate nei giorni scorsi in territorio georgiano. Secondo Lomaia militari russi sarebbero ancora visibili in molti punti in Georgia e soprattutto nei pressi di Gori. Lomaia anzi ha aggiunto che "forse i russi si stanno rafforzando proprio a Gori". Di contro Nogovitsyn ha detto esplicitamente che le forze russe stanno lasciando anche Gori. Le polemiche, quindi, non mancano.

Intanto a Tsikvali il presidente dell'Ossezia del Sud, Eduard Kokoity, ha sciolto il Governo e ha proclamato lo stato di emergenza. "Ho firmato tre decreti - ha detto - uno per lo scioglimento del governo, uno per la proclamazione dello stato di emergenza in Ossezia del Sud ed un terzo per la creazione di un comitato di emergenza che dovrà gestire le conseguenze dell'aggressione georgiana". Kokoity ha anche ribadito che non intende ospitare osservatori stranieri nel territorio sudosseto e che vuole anzi chiedere a Mosca di installare in zona una base militare permanente. Kokoity ha poi motivato il licenziamento del Governo riferendosi a una lentezza nella distribuzione di aiuti alle popolazioni colpite dal conflitto.

Problemi analoghi anche per le popolazioni georgiane. Padre Witold, il direttore della Caritas georgiana parla, in particolare, dell'urgenza di assistere settecento neonati rimasti privi di generi indispensabili nella città di Rustavi e di fornire ulteriori aiuti a circa milleottocento profughi accampati nell'ospedale del quartiere Isani a Tbilissi. La situazione resta estremamente tesa anche in Abkhazia, l'altra repubblica russofona secessionista della Georgia. Ora - a parte la drammaticità della realtà caucasica - per la dirigenza russa il problema centrale è quello di stabilire un nuovo rapporto con gli Usa per non distruggere il lavoro fatto in tutti questi anni. Ma la situazione non è favorevole.

La Russia - dice il segretario generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer - non sta rispettando il piano per il cessate il fuoco sottoscritto dal presidente Medvedev. Ed è questa una denuncia che arriva al termine del vertice straordinario dei ministri degli Esteri dell'Alleanza atlantica. Mosca non risponde. Tanto più che la stessa parola “Nato” ricorda a tutti che c’è una collaborazione tra la Federazione russa e l’organizzazione atlantica che consiste attualmente in esercitazioni congiunte in campo militare e prevede la disposizione di Mosca a far passare attraverso il suo territorio le truppe Nato inviate in Afghanistan. E così nella capitale russa c’è anche chi comincia a parlare di un Cremlino che vive una sorta di "sindrome di accerchiamento" visto anche il fatto che non c’è stato quasi nessuno tra i leader delle altre repubblice ex-sovietiche a manifestare in favore della politica russa nel Caucaso. La spiegazione di questo - si nota a Mosca - sta nel fatto che l’influenza statunitense è più che mai forte. E più che mai forti sono i ricatti economici.

C’è però anche uno spiraglio distensivo. È tornata a riunirsi l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), il cui presidente di turno, il ministro degli Esteri finlandese Alexander Stubb, ha annunciato l'invio in Georgia dei primi venti dei cento osservatori previsti, al quale hanno dato il loro assenso Mosca e Tbilisi. Infine c’è la questione relativa a Saakasvili. Contro di lui i media russi hanno già sparato a zero. Ma a colpire duro sono stati gli uomini della trojka del Cremlino - Medvedev, Putin, Lavrov - i quali non hanno perso occasione (e non la perdono) per accusare Saakasvili. E a chiedere, di conseguenza, l’apertura di un processo internazionale contro di lui.

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