di Giuseppe Zaccagni

Sono in 57mila, parlano il Kaallisut, vivono in un paese (soggetto alla corona danese) di 2.166.086 chilometri quadrati coperto dai ghiacci, con una densità abitativa pari allo 0,03 per Kmq. Sono gli eschimesi (Inuit) che ora - pur tenendo conto di svariate considerazioni politiche ed economiche - cominciano una lunga marcia che li dovrebbe portare alla conquista della loro terra, spezzando i legami che li tengono uniti alla Danimarca. E così organizzano un referendum e alzano il tiro cercando di trovare i relativi meccanismi giuridici capaci di rendere vantaggiosa la loro eventuale separazione dalla cosiddetta madrepatria. Per ora si è all’inizio del processo pur se gli eschimesi locali sanno che il futuro è pieno di ostacoli. A cominciare dal fatto che manca una classe dirigente locale. E sono del tutto assenti i quadri tecnici che potrebbero garantire uno sviluppo autonomo. I precedenti, comunque, esistono. Perché nel passato la Danimarca decise (contro il volere della Groenlandia) di portare la regione nella Comunità europea. Vi fu un referendum - tutto danese - che nel 1972 forzò la Groenlandia a entrare nella Cee in quanto parte della Danimarca. Si arrivò poi allo statuto di autonomia che entrò in vigore il 1° maggio 1979. Successivamente il 3 aprile 1981 il Landsting (parlamento) groenlandese decise di indire un referendum a proposito della permanenza nella Cee; le votazioni ebbero luogo il 23 febbraio dell’82 e la maggioranza si pronunciò a favore dell’uscita dalla Comunità. Il Landsting decise all’unanimità di richiedere al governo danese di mobilitarsi per svincolare la Groenlandia dalla Cee.

Il 19 maggio dello stesso anno, il governo danese presentò un memorandum al Consiglio della Comunità, con la proposta di alcune modifiche ai Trattati (Ceca, Cee ed Euratom) chiedendo di ammettere la Groenlandia nell’elenco dei paesi e Territori d’Oltremare che comparivano nel Trattato Cee. Seguirono altre situazioni cariche di contrasti con la Groenlandia che, comunque, rimase legata alla Cee.

Ed ecco che ora il paese - forte soprattutto delle sue risorse energetiche e di varie materie prime - prepara il distacco. Un’operazione che se andrà in porto vedrà, per la prima volta nella storia, un paese europeo perdere una parte immensa del suo territorio. Le trattative in merito non mancano e già c’è in atto una sorta di vertice tra il premier conservatore danese, Anders Fogh Rasmussen, e il governatore-premier di Groenlandia, il socialdemocratico Hans Enoksen. Si passerà poi al referendum sul distacco e ad un voto parlamentare. Quindi l’avvio reale del processo di secessione che sarà anche “pagato” dai danesi.

I quali si apprestano a veder tagliato il loro bilancio con la perdita della fetta relativa alla Groenlandia. In compenso il paese delle aurore boreali si troverà tutto nelle mani degli eschimesi che entreranno a testa alta nella comunità internazionale. E così questi Inuit, in vista della nuova condizione nazionale e statale hanno già dato vita a strutture capaci di difenderli.

Hanno costituito la Icc (Inuit Circumpular Conference), un’organizzazione non governativa e plurinazionale, a salvaguardia della propria cultura, che rappresenta già 150.000 abitanti dei territori di Canada, Groenlandia, Alaska e Russia giunti un tempo dall’Asia quando lo stretto di Bering era ancora occupato dai ghiacci. Popolazioni che si insediarono andando ad occupare zone dalle quali scacciarono gli ultimi superstiti di un antica cultura locale. La storia riprende ora il suo cammino. Nasce sicuramente una nuova entità nazionale.

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