di Carlo Benedetti

Mintimer Sajmiev Nella scena politica della Russia post-sovietica emerge un personaggio che potrebbe segnare pagine destinate a sconvolgere la geopolitica locale, favorendo lo sviluppo dell'Islam pur conservandone una propria e riconoscibile identità sociale, politica, culturale e religiosa. E' un uomo che, con carisma e pragmatismo, sta ricostruendo la carta etnica dell'intero Paese. Si muove con estrema cautela e tesse, perfezionando e sviluppando tecniche di penetrazione, una rete che va oltre i confini russi.
Il suo nome è Mintimer Sajmiev. Musulmano di Kasan, nato nel 1937 ed attualmente Presidente della Repubblica del Tatarstan. Da anni leader incontrastato della regione dove, accanto al tricolore di Mosca, la bandiera verde dell'Islam sventola su un'area di 68mila chilometri quadrati con una popolazione di oltre cinque milioni, in stragrande maggioranza musulmani. Sajmiev - ingegnere meccanico - viene come tutti dalle fila del Partito Comunista. E' stato funzionario, poi Segretario regionale e membro del Comitato Centrale. Ed è arrivato alle più alte cariche istituzionali. La Repubblica dei tartari deve a lui la "Dichiarazione sulla sovranità nazionale" ed una linea politica centrista basata sulla stabilità e sullo sviluppo delle tradizioni locali, su valori e consuetudini che sembravano perduti per i cittadini del Tatarstan. Tutti valori che per l'intera regione sono quelli che si riallacciano all'Islam. Ma Sajmiev sa bene che la carta della "religione" non va svenduta e non può divenire merce di scambio con il potente Cremlino di Putin. E così si muove - da gran giocatore di scacchi quale è - con estrema cautela in conformità ad una visione fondata sul lungo periodo che consenta strategie successive, di vasto respiro. Rivaluta, quindi, la storia e la religione. Punta sulla cultura e sulla tolleranza. Non lascia spazio ad estremismi ma segue quanto avviene nel mondo islamico con l'attenzione tipica di chi studia i fenomeni e cerca soluzioni. Da qui la sua attenzione al movimento islamista sopranazionale. Ma - questa la "filosofia" attuale - sempre nel quadro di norme statali capaci di garantire l'ordine sociale e la gestione delle risorse (la Tataria è ricca di petrolio…).
Si può quindi dire che questo personaggio della periferia russa guarda lontano, ma si sente già forte perché sono venti milioni i musulmani che vivono in Russia rappresentando il 14% dell'intera popolazione. E tanti quelli che abitano nelle nazioni asiatiche che un tempo erano comprese nell'Urss.

A Kasan si sa bene che il complesso mondo dell'Islam ha un suo ruolo all'interno della Csi, quella Confederazione degli Stati Indipendenti nata sulle ceneri dell'Urss. Questo vale per il Tagikistan dove i sunniti occupano posti di primo piano; vale per l'Usbekistan dove l'Islam ha una ricca e antica storia con le città di Samarcanda e Buchara da sempre centri autorevoli della formazione culturale islamica. C'è poi la Kirghizija a stragrande maggiorana sunnita…
E ancora: il Turkmenistan con i suoi legami con il mondo dei Talebani. E poi il Kasachstan con oltre un 47% di sanniti… Ma è alla realtà della Russia che gli ideologi di Kasan guardano con maggiore attenzione studiando le tante e diverse realtà locali interne segnate dall'Islam.
Non sfugge agli uomini di Sajmiev il fatto che nell'intero Paese guidato da Mosca operano forze wahhabite che sono particolarmente attive in zone come il Dagestan, la Cecenia e la regione di Karachaevo-Cherkassia. Notevoli le influenze wahhabbite anche nella capitale e in città come Volgograd, Uljanovsk, Astrachan. Per giungere sino alla lontana Jakuzia dove, col denaro delle "Opere pie" dei paesi del Golfo Persico, sono state organizzate scuole per lo studio del Corano e centri culturali islamici.

Si va così disegnando una nuova carta etnica della Russia che Putin deve affrontare con estrema attenzione. Non può più bollare - come ai tempi sovietici - l'attività delle religioni come "oppio dei popoli". Si deve affrontare la realtà. Una realtà che si fa sempre più complessa dal momento in cui il Patriarca ortodosso Aleksei II sta riprendendo con forza il controllo della Russia. E tutto questo tenendo conto che i russi non sono maggioritari al sud (regione caucasica) né tra il Volga e gli Urali (Tatarstan, Baskirostan).
E' chiaro che la carta religiosa ritaglia etnicamente il paese. Una Russia d'origini cristiane ortodosse (occidente e regioni di colonizzazione russa) si contrappone ad una Russia d'influenza musulmana (soprattutto dove si trovano i turcofoni), senza dimenticare l'esistenza dei buddhisti (buriati, calmucchi). E Putin è obbligato, in questo contesto, a ricordare sempre che fra le religioni non cristiane il primo posto era sempre spettato all'Islam che aveva "coperto" le regioni dal Caspio agli Altai con una prevalenza di sunniti.

Anche per quanto riguarda l'incendio ceceno il Cremlino è obbligato a ricordare gli insegnamenti della storia. E cioè che un risveglio dell'Islam sunnita era stato, comunque, sempre presente. Domato per un certo periodo da quell'espansionismo coloniale moscovita che sancì, nel 1859, la sua vittoria nel Caucaso. Ma le fiamme erano spente solo in superficie. Perché i ceceni si sono sempre più mostrati sensibili alle infiltrazioni dei wahhabiti portatori di un islam integralista. Certo, oggi Putin (anche per contrastare eventuali mosse di Kasan) esalta la rinascita religiosa, presentandola come una conquista della sua gestione. Ma nello stesso tempo sa che le organizzazioni islamiche della Cecenia denunciano vaste persecuzioni.
Tutto questo porta la Russia a doversi confrontare pacificamente con il mondo musulmano e lo fa anche attraverso iniziative come la normalizzazione dei rapporti con l'Arabia Saudita o il mantenimento di buone relazioni con l'Iran, l'Iraq e la Cina. Più difficile, in questo contesto, il "dialogo" con la Turchia, un paese che, secondo Mosca, è il principale alleato degli indipendentisti ceceni. Oggi, infatti, in Turchia vivono circa tre milioni persone d'origine cecena, circassa, abchasiana: tutte popolazioni che - sin dai tempi dell'impero ottomano - hanno avuto legami molto stretti con la Turchia islamica.

Per tornare alla realtà di Kasan - capitale dei tartari - va rilevato che è proprio qui che gli uomini di Sajmiev disegnano il futuro dell'Islam nei territori ex sovietici. La questione fondamentale consiste ora nel capire come si possa essere musulmani devoti e, nello stesso tempo, impegnati a favore dell'unità nazionale russa e del rapporto con quell'occidente che, per Mosca, è essenziale per lo sviluppo dell'intero Paese. Da qui la necessità sia in Russia che nel Tatarstan di un chiarimento accompagnato da fatti, i soli in grado di parlare un linguaggio convincente anche per il più testardo dei pragmatici. Tutto questo perché l'ottica di lungo periodo unisce Putin allo sconosciuto Sajmiev. Un personaggio che potrebbe assumere, col tempo, un ruolo sempre più importante in settori chiave della vita politica della Russia e dell'intera regione dell'Islam. Divenendo una sorta di Putin in versione "musulmana". Appunto: ex comunista, riformatore ed ortodosso islamico capace di portare ad una "democrazia coranica", trovando nel Corano e nella Sunna valori applicabili ad un mondo moderno, convincendo quegli strati della società che - nel nome d'Allah - sentono sempre più la necessità di abolire privilegi e sfruttamento.

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