di Giuseppe Zaccagni

Da Baden in Austria - dove per la questione del Kosovo si è riunita la trojka dei mediatori degli Usa, dell’Unione europea e della Russia - arrivano notizie che segnano, in negativo, lo stallo delle trattative. E tutto, di conseguenza, producendo instabilità, disordine e disgregazione, slitta verso un nuovo e breve periodo di consultazioni: prima del 10 dicembre quando il rapporto sullo stato della situazione dovrà arrivare sul tavolo del segretario delle Nazioni unite Ban Ki-moon. Fase finale, quindi? Punto di arrivo? Momento di scelta? Per ora c’è solo da registrare un’intesa sul non accordo con dichiarazioni di questo genere: “La Serbia non permetterà l’usurpazione di un millimetro del suo territorio” dichiara il presidente del governo della Repubblica di Serbia Vojislav Kostunica. “Il Kosovo non intende essere ostaggio degli avversari dell'indipendenza” risponde il presidente albanese-kosovaro Fatmir Sejdiu il quale fa notare che le posizioni delle parti - e cioè Belgrado e Pristina - “sono il più lontane possibile” e lancia, di conseguenza, una seria minaccia per la stabilità europea. Kostunica ribatte sottolineando che le trattative si chiuderanno solo davanti al Consiglio di sicurezza a New York: “E’ lì - dice - che sono cominciate ed è lì che devono concludersi”. Nessun passo avanti, quindi. I kosovari-albanesi (puntando sul nazionalismo e sulle minacce di un rinnovato terrorismo guidato dal loro leader Thaci) non sono disposti a fare marcia indietro sulla rivendicazione di indipendenza e i serbi ribattono di non essere disposti a cedere un centimetro del proprio territorio. Siamo al muro-contro-muro mentre si registra l’assordante silenzio delle diplomazie dei paesi dell’area come Grecia, Ungheria, Bulgaria, Romania… Tutto è così segnato dalla linea politica che Tirana ha deciso di sviluppare con il pieno appoggio degli americani. E cioè che il Kosovo va staccato dalla Serbia e posto nell’orbita occidentale. In pratica, quindi, la guerra contro la Yugoslavia è ancora in atto. E lo sarà sino a che non saranno stati posti i paletti di confine tra il potere di Belgrado e la nuova realtà nazionale del Kosovo.

Su tutta questa vicenda di trattative “diplomatiche” cala la nuova proposta presentata da Belgrado (ma da sempre respinta da Pristina) che prevede ampie competenze per il Kosovo con la Serbia che, comunque, conserverebbe il controllo della politica estera, di difesa, e la rappresentanza presso Onu, Osce e Consiglio d'Europa. Il Kosovo potrebbe disporre anche di una sua gendarmeria ma non di un suo esercito. Pristina, però, respinge al mittente le proposte. Tutto avviene mentre la Russia, potenza con diritto di veto al Consiglio di sicurezza e tradizionale garante degli interessi di Belgrado, propone attraverso il suo negoziatore di proseguire i colloqui anche dopo la scadenza del 10 dicembre. Invece Stati Uniti, Unione europea e Pristina sono contrari a prolungare i colloqui. La "troika" ora dovrebbe recarsi in visita a Belgrado il 3 dicembre e cominciare - subito dopo i colloqui di Vienna - con la stesura del suo rapporto al segretario generale dell'Onu.

Si annuncia, di conseguenza, una forte campagna serba in favore del rispetto della integrità territoriale. All’attacco parte Slobodan Samardzic, ministro per il Kosovo e Metohija, il quale contesta il fatto che la Serbia vorrebbe restituire al Kosovo quello status che aveva prima del 1999 impedendo anche lo sviluppo economico della provincia. L’esponente di Belgrado, sostenendo poi che i serbi sono per l’integrazione degli albanesi-kosovari, anticipa la decisione di proporre all’Onu un accordo generale. Che dovrebbe prevedere garanzie istituzionali con una presenza civile e militare internazionale. Non ci sarebbe, quindi, motivo per gli albanesi del Kosovo di sentirsi minacciati da Belgrado in un eventuale cambiamento di situazione. Samardzic, in tal senso, cita gli esempi delle Isole di Oland (al largo della costa orientale svedese) e del Sudtirolo. E poi, circa la distribuzione delle competenze per l’autogestione funzionale, Samardzic si rifà all’esperienza di Hong Kong e a parti d’Europa come i Paesi Baschi e la Catalogna.

Ma il punto forte dei serbi è quello che si riferisce alle condizioni generali dell’intera trattativa. I riferimenti sono al diritto internazionale. Con precise posizioni che stabiliscono che il Kosovo “è parte inseparabile dello Stato di Serbia in base agli attuali documenti costituzionali e internazionali”. In tal senso la sovranità e l’integrità territoriale della Serbia sono garantiti non solo dalla Costituzione ma anche dalla Carta delle Nazioni Unite, dall’Atto finale di Helsinki e dalle rispettive risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. E qui il riferimento è a quella nota risoluzione 1244. Ogni soluzione per il futuro status del Kosovo - come ribadiscono gli uomini di Belgrado - deve partire da questi principi fondamentali rispettandoli poi nell’esito finale.

Su tutto arriva, infine, una nuova e dura dichiarazione del ministro degli Esteri serbo, Vuk Jeremic, il quale sostiene che gli eventuali passi unilaterali nella soluzione della crisi nel Kosovo possono portare all’apertura del Vaso di Pandora nella regione dei Balcani occidentali e in altre regioni del mondo. Si annuncia, questa la realtà, una nuova fase di grandi tensioni balcaniche. E va qui tenuto conto che la recente vittoria elettorale del terrorista Thaci (capo del famigerato Esercito per la liberazione del Kosovo, Uck) mette sempre più a rischio la stabilità della regione e non facilita certo trattative distensive. Ed è appunto Thaci a ribadire che con o senza l'approvazione della comunità internazionale ufficializzerà la secessione non appena l'ennesimo round negoziale giungerà al termine. Naturalmente il leader del terrorismo locale si sente forte soprattutto per l’appoggio che gli viene dalle truppe d’occupazione della Nato e dagli americani, che lo hanno già aiutato bombardando, con azioni criminali che dovrebbero essere oggetto di indagine di un Tribunale internazionale. Speranza vana, purtroppo.

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