di Maurizio Musolino

Le nuove immagini provenienti da Abu Ghraib e la richiesta delle Nazioni Unite di chiudere il lager di Guantanamo, riportano prepotentemente alla ribalta il tema del diritto, o meglio la violazione sistematica dei diritti da parte del Pentagono. Il risultato della commissione indipendente dell'Onu, consente al Palazzo di vetro di ritornare protagonista della scena internazionale; un fatto non scontato anche se dovuto, specie dopo le immagini trasmesse da una televisione australiana sulle torture nel carcere di Abu Ghraib e a pochi giorni dal video che ha fatto il giro delle televisioni del mondo, che riprende soldati britannici picchiare dei ragazzini iracheni. La richiesta dell'Onu agli Stati Uniti, di scarcerare o processare tutti i prigionieri detenuti a Guantanamo, è pertanto un atto coraggioso, aiutato da queste immagini, vergognose, che hanno di nuovo scosso le coscienze, spesso smemorate o addormentate, delle società occidentali che troppo velocemente si erano dimenticate, ad esempio, che il carcere di Abu Ghraib è a tutt'oggi sotto il diretto controllo degli americani. In barba delle dichiarazioni di autodeterminazione rilasciate da esponenti del parlamento iracheno e dell'amministrazione Bush dopo le recenti elezioni politiche. Una richiesta che ha ricevuto l'immediata risposta da parte della leadership Usa che ha ricordato che gli investigatori dell'Onu si sono rifiutati di visitare la struttura carceraria in terra cubana. Immediata anche la controreplica degli esperti del Palazzo di vetro, che spiegano di non aver accettato l'invito perché Washington non concede l'autorizzazione ad intervistare i detenuti. Un viaggio inutile, quindi, privo di ogni possibilità ispettiva.

Questi i fatti di questa ultima settimana appena trascorsa. Ma gli abusi di Guantanamo e Abu Ghraib non sono isolati. La pratica della violazione dei diritti civili dopo l'11 settembre è ben più vasta e colpisce moltissimi Paesi. Per sfuggire alle convenzioni internazionali, infatti, gli Usa affidano i prigionieri della "guerra al terrorismo" catturati a quegli stessi paesi che pubblicamente vengono criticati dagli Usa. L'amministrazione Bush ha elaborato una politica che gli consente di tenere in piedi un sistema di prigioni segrete situate all'estero fuori da sguardi indiscreti e dalla portata di un'adeguata supervisione internazionale. Il mistero che circonda questi luoghi consente l'uso all'interno di metodi di detenzione "particolari" e abusi di ogni genere. "In queste strutture - ha denunciato qualche mese fa Human Rights First - non vengono rispettate le norme internazionali in materia di trattamento dei prigionieri e tanto meno la Convenzione di Ginevra che regola il trattamento dei prigionieri di guerra". Per Human Rights il totale di questi centri di detenzione per la tortura in appalto a terzi ammonterebbe a venti. Un esempio è la prigione di al-Jafr in Giordania, ma sono molti i Paesi arabi considerati amici da Washington ai quali vengono affidati detenuti considerati pericolosi e soggetti ad interrogatori "speciali". Un caso tra i tanti è quello di Mohammed Saad Iqbal Madniz, arrestato in Indonesia e trasportato in Egitto con un volo speciale dov'è tuttora detenuto lontano da sguardi indiscreti. E si potrebbe continuare a lungo.

Sarebbe un errore però pensare che queste pratiche riguardano solo paesi arabi e regimi asiatici compiacenti. Sembra ormai accertato che, dal 2001 fino almeno al 2004, la Cia abbia trasportato clandestinamente prigionieri afgani in centri segreti di detenzione e interrogazione in Polonia e Romania. Lo denunciò Mark Garlasco, americano di origine italiana, che fino all'aprile 2003 lavorava al Pentagono come analista militare. Secondo l'analista statunitense esistono anche in Europa dei veri e propri "buchi neri", luoghi dove la Cia gestisce una rete di prigioni segrete. A confermare queste dichiarazioni sono arrivati poi alcuni piani di volo degli aerei fantasma della Cia. Sono aerei che l'intelligence Usa affitta per effettuare, senza dare nell'occhio, trasporti di prigionieri dall'Afghanistan e dall'Iraq verso i cosiddetti black spots, prigioni segrete sparse per tutto il mondo. Garlasco parla di "di 33 velivoli utilizzati a tale scopo". Alcuni di questi voli - ricorda Garlasco - "riguardano due aerei della Premier Executive Transport Services, compagnia privata del Massachusetts che in realtà è un'azienda di copertura della Cia. Uno dei velivoli, un piccolo jet Gulfstream, risulta usato per i voli nell'area del Medio Oriente. L'altro, un grosso aereo passeggeri Boeing-737, numero d'immatricolazione N313P, risulta che il 22 settembre 2003 abbia volato da Kabul a Guantanamo, facendo due scali a dir poco sospetti: all'aeroporto militare di Szymany, nel nordest della Polonia vicino a Szczytno, e alla base aerea di Mihail Kogalniceanu in Romania, vicino a Costanza sul Mar Nero, struttura spesso usata dalle forze Usa. Poi ha fatto un ultimo scalo in Marocco per ripartire alla volta della destinazione finale: Guantanamo".

Di fronte a queste notizie sorprende il silenzio assordante che si espande nel mondo. Un silenzio che rappresenta, insieme alla stessa esistenza di questi luoghi, un fenomenale brodo di coltura per quell'estremismo che a parole si afferma di voler combattere.

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