di Carlo Benedetti

Nuove e dure pagine di guerra “diplomatica” tra Russia ed Usa. Con Putin che da Mafra, in Portogallo - dove si svolge il vertice Ue-Russia - sferra un nuovo attacco all’America di Bush richiamando alla memoria collettiva significative pagine di storia. Tutto questo sta a significare che tra Mosca e Washington la guerra fredda - che ha registrato negli ultimi mesi una serie di atti militari estremamente gravi, caratterizzati dallo scudo spaziale americano e dai voli preventivi dei caccia russi - entra ora in una fase di glaciazione epocale. Perché mentre Bush, impantanato in Iraq e preoccupato per la situazione turco-curda, cerca di glissare sul tema del rapporto con il Cremlino, Putin alza il tiro. Annuncia un orizzonte di trasformazioni e, partendo da una metafora di carattere storico, getta una luce sinistra sulle relazioni bilaterali. Il riferimento del Presidente russo è ad una data del passato che gli storici si affrettano ad esaminare per verificare se esistono o meno paragoni validi. Tornano così nel lessico politico del Cremlino avvenimenti relativi all’ottobre-novembre del 1962 quando scoppiò quella “crisi dei missili” che vide uomini come Kennedy e Krusciov affilare le armi sotto l’incalzante successione degli eventi. Putin alza la voce per sostenere che “da un punto di vista strategico, il dispiegamento di elementi dello scudo antimissilistico statunitense in Europa crea per la Russia una situazione simile a quella in cui si trovavano gli Usa durante la crisi dei missili a Cuba nel 1962”. In pratica - secondo la tesi russa - il Putin di oggi sarebbe il Kennedy di ieri: il quale era impaurito dalla minaccia che veniva dalla eventuale presenza di missili sovietici a Cuba e, quindi, a un braccio di mare dalla Florida. Un paragone che calza più che mai dal momento che con lo scudo che gli Usa vogliono mettere in campo, nel cuore dell’Europa, le armi americane si avvicinano a pochi metri dai confini della Russia attuale. Di qui l’allarme per questo nuovo “spettro” che si aggira sul continente e che è quello di una nuova e dura crisi.

Dal punto di vista russo la situazione si ripresenta come capovolta: perché il progetto americano del cosiddetto scudo antimissilistico comporta impianti in Polonia e nella Repubblica Ceca. Bush, però, non accetta l’interpretazione del Cremlino e ribadisce che si tratta di una misura di difesa dal terrorismo mediorientale (e in particolare dall’Iran). Niente di tutto questo ribatte la Russia che considera le decisioni americane come una provocazione e un tentativo di “intimidazione” nei confronti di una Mosca che cerca di “ritrovare il suo posto nel mondo”. Ed ecco che, di conseguenza, l’Armata russa - con un repentino riorientamento delle priorità - annuncia contromisure, che comprendono la progettazione di “supermissili” e la ripresa della costruzione di quelli a medio raggio messi al bando da quell’accordo stipulato subito dopo il crollo dell’Urss. E Putin, rifacendosi alle vicende ultime, insiste: “Vorrei ricordare agli americani quanto le nostre relazioni si siano sviluppate in modo analogo a quello che vide l’Unione Sovietica stabilire una base missilistica a Cuba. Anche le tecnologie sono molto simili, sia pure a parti invertite, sono le minacce, questa volta ai nostri confini”. Non c’è quindi una disposizione al dialogo. Si va allo scontro e il pericolo consiste nel tornare indietro.

Washington, ovviamente, non ama il paragone con la crisi del 1962. E Bush non si vuole sentire un Krusciov dei giorni d’oggi che porta le sue armi sotto la casa del “nemico”. E, quindi, giudica “inappropriato” il paragone storico. Ma Putin - questa la risposta che viene dagli analisti del Cremlino - ribadisce il parallelo con gli eventi del 1962 soprattutto sul piano “tecnico” in quanto la presenza di basi militari americane nel cuore dell’Europa non è un “atto di pace” e riporta il mondo all’epoca del confronto. Rimette, in pratica, in discussione quella linea distensiva che precedette lo scioglimento del “Patto di Varsavia”, quella organizzazione militare dell’Est che era stata organizzata per contrapporsi alla Nato. La storia, quindi, fa un passo indietro.

Putin, a Mafra, non si limita solo al contenzioso sui missili in Europa. Fa sapere che la Russia potrà entrare nella Wto - l’Organizzazione mondiale per il commercio - soltanto quando “le condizioni finali di adesione rispetteranno l’interesse nazionale” del Paese e “la decisione finale sarà presa soltanto se le condizioni finali di adesione rispetteranno il nostro interesse nazionale”. Quanto ai diritti umani (tema sul quale l’Ovest insiste particolarmente) Putin (senza mostrare sensi di smarrimento) annuncia di avere proposto la creazione di un istituto euro-russo per i diritti umani. L'istituto, ha detto, potrebbe avere sede a Bruxelles o in un'altra città dell'Ue. Bush, dinanzi a queste proposte che vengono dalla dirigenza di Mosca, mantiene un atteggiamento di cauto sospetto; ritiene che il leader russo punta esclusivamente al suo pubblico interno lasciando gran parte della gestione della situazione agli esperti del suo ministero degli Esteri.

Ed ecco che l’attenzione americana si sposta su un avvenimento di carattere eurasiatico che ha avuto in questi giorni come epicentro la città cinese di Harbin (capoluogo della provincia di Heilongjang, in Manciuria). Qui si è svolto un vertice dei capi dei dicasteri diplomatici della Russia, dell’India e della Cina. I tre esponenti - il russo Serghej Lavrov, il cinese Jan Zseci e l’indiano Pranab Mukergi - hanno esaminato un’ampia cerchia di problemi internazionali, appoggiando l’idea di un mondo multipolare e l’approccio multilaterale alla soluzione dei problemi attuali. In pratica una prima e decisa risposta all’egemonia statunitense partendo dal fatto che c’è un grande disordine nel paesaggio geopolitico.

A Harbin si è registrata una particolare attenzione alla cooperazione nell’Asia Orientale, nella regione Asia – Pacifico e nell’ambito dell’Organizzazione per la Cooperazione di Hangar, alle prospettive del lavoro al livello globale nei confronti dei problemi inerenti al mutamento del clima e all’intensificazione della lotta contro il terrorismo internazionale. Nessuna decisione, comunque, sulle questioni militari. I tre ministri hanno fatto notare di non avere piani relativi alla creazione di un’alleanza difensiva. E il russo Lavrov ha rilevato che i problemi chiave della sicurezza “vanno risolti attraverso la promozione del dialogo multilaterale dei politici per via diplomatica”. Un discorso questo che molti osservatori hanno interpretato come un tentativo di far balenare agli americani l’idea che il Cremlino, tutto sommato, fa la voce grossa, ma vuol pur sempre mantenere contatti distensivi e di ampiezza planetaria…

Comunque sia nella Dichiarazione adottata al termine dell’incontro di Harbin è stata formulata una posizione collettiva sui problemi della difesa antimissile e sui metodi di neutralizzazione delle sfide e minacce d’oggi. Si è detto che i piani degli Usa per il dispiegamento di componenti dello scudo spaziale e per il coinvolgimento del Giappone nella loro realizzazione non solo non possono liquidare le preoccupazioni delle parti, ma anzi possono compromettere l’equilibrio della stabilità nella regione. E su questo aspetto si è soffermato con forza il capo della diplomazia cinese Jan Zseci. Il quale, tra l’altro, ha comunicato che Pechino ha proposto di dare vita ad un meccanismo di consultazioni al livello dei ministeri degli Esteri dei tre paesi con la partecipazione degli esperti dei relativi dicasteri per lo sviluppo della cooperazione economica.

Nella Dichiarazione adottata si sono poi poste altre questioni. E precisamente quelle del rafforzamento dell’Onu; di sviluppare sempre più il diritto multilaterale internazionale; di riconoscere le realtà dei rapporti multipolari con la democratizzazione dei rapporti internazionali. E si è anche insistito sulla necessità di risolvere i problemi mondiali con gli sforzi collettivi. E da Harbin il russo Lavrov ha mandato a dire a Bush che “nel mondo non c’è un’altra alternativa alla cooperazione paritaria, se vogliamo reagire con efficacia alle sfide e alle minacce d’oggi”. Ma tutto questo a patto che il presidente americano non voglia tentare la carta della sorpresa. Come, appunto, fece Krusciov nel lontano 1962.

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