Parla correttamente il russo ed è considerata il “cremlinologo numero uno” degli Usa. Ed ora proprio a Mosca, in una conferenza stampa organizzata al termine dei colloqui ''2+2'', annuncia una raffica di niet che piombano su una platea sempre più colpita da questa esponente dell’Amministrazione americana che parla la lingua di Puskin, utilizzando però tutti i termini più complicati del contenzioso politico-militare che esiste tra Usa e Russia. Riflettori, quindi, puntati su di lei, ospite inquietante: Condoleeza Rice, classe 1954, 66° Segretario di Stato degli Stati Uniti, prima donna afroamericana a ricoprire tale carica. Così spiega un “press releases” consegnato ai giornalisti dal quale, tra l’altro, risulta che nel 1989 entrando nello staff della Casa Bianca fu subito nominata responsabile della Direzione Russia e Paesi dell'est e, dal 1990, principale consigliere del Presidente Bush per gli affari sovietici. Biografia a parte, quello che fa scattare l’interesse delle diplomazie internazionali in questi momenti di vuoto e di incertezza, è ora il tono e il livello dei colloqui svoltisi all’interno della fortezza adagiata sulla Moscova e nella residenza di Novo Ogorevo (nei pressi di Mosca) tra gli americani Rice e Robert Gates (segretario alla Difesa) da un lato del tavolo e i russi Putin, Sergei Lavrov (ministro degli Esteri), Anatolij Serdiukov (ministro della Difesa) dall’altro. Dagli incontri è uscito solo un “niet” collettivo. E così la guerra fredda va sottozero. Tutti congelati sulle loro posizioni immerse in un oceano di parole.
I temi del contenzioso sono noti, ma meno note le soluzioni adottate. Gli osservatori tentano di decifrare lo scontro russo-americano di queste ore, nel momento in cui le priorità degli Usa sono quelle relative alla loro “sicurezza”, all’Iraq, all’Iran, al terrorismo e alla proliferazione delle armi di distruzione di massa. Mosca, però, vuole ridurre l’influenza degli Usa sulle ex repubbliche sovietiche (che continua a ritenere come area di suo dominio geostrategico…) e si oppone categoricamente all’adesione di Ucraina, Georgia e Azerbajgizan alla Nato e preme per un ritiro delle forze militari statunitensi dall’Asia centrale.
Ma torniamo al tavolo dell’incontro Rice-Putin. Al centro dei colloqui, in primo luogo, c’è stata la questione del round negoziale relativo al progetto statunitense di difesa antimissil?, il cosiddetto “scudo spaziale” che urta la sensibilità dei russi in modo particolare. A Mosca nessuno crede agli americani quando sostengono che il sistema anti-missile dovrebbe contenere un’eventuale minaccia proveniente dall’Iran. Al contrario, l’opinione generale è che esso serva a minare il deterrente nucleare russo (il sistema radar che dovrebbe essere costruito nella Repubblica Ceca, si fa notare, darebbe agli Usa la possibilità di tracciare il territorio russo fino agli Urali). Le preoccupazioni russe sono condivise in maniera crescente dalla Cina che teme (proprio in questo periodo che vede i comunisti a congresso) le implicazioni delle iniziative di cooperazione in tema di difese anti-missilistiche tra Stati Uniti, Giappone e Australia.
I russi hanno voluto ricordare che nell’aprile scorso a Praga il presidente americano gettò le basi per “posizionare” il suo scudo. Successivamente, a maggio, Putin accusò Bush di iniziare, a freddo, una corsa al riarmo. Solo allora, per stoppare le mire americane, il Cremlino diede il via al lancio di un missile intercontinentale. E ancora: nel giugno scorso Putin minacciò l’Ovest di rivolgere i suoi missili verso l’Europa. Ma era solo una mossa propagandistica perché subito dopo, al G8, si registrò una nuova fase distensiva con Bush.
Stando all'agenzia di stampa russa Itar-?ass, Putin avrebbe detto al Segretario di Stato americano ? al Segretario alla Difesa che gli Stati Uniti ? la Russia devono battersi insieme per “attribuire un carattere globale al Trattato sull'eliminazione dei missili ? media ? breve gittata” (Inf) per poi aggiungere: “Dobbiamo convincere altri ???si ad assumersi gli stessi impegni già presi da Stati Uniti ? Russia. E se l’obiettivo non dovesse essere raggiunto ??? noi sarà difficile rimanere nel quadro di quel Trattato, n?l caso altri Paesi sviluppino attivamente quei sistemi di armi”.
Putin, è chiaro, fa riferimento ? “Paesi situati vicino alle frontier? russ?”, in quella ?h? appare un? chi??? allusione all'Iran, ma an?h? in territorio ??l???? andrebbero sistemate l? batterie di missili intercettatori previste dal progetto Usa di “scudo spaziale”. Il presidente russo si affretta a ricordare che i Trattati sui missili ? medio ? corto raggio “sono stati firmati circa 20 anni fa” ? includono solo Mosca ? Washington.
Sull’intera vicenda pesa, comunque, la minaccia americana di coprire parte dell’Europa - Polonia e Repubblica Ceca - con postazioni missilistiche che dovrebbero impedire all’Iran di far volare i suoi missili su zone che l’America di Bush ritiene di sua competenza. Mosca, in tal senso, ha già avanzato controproposte. Tra queste, quella più importante si riferisce alla eventualità di utilizzare in condominio una base radar russa situata in Azerbaigian e da poter inserire, quindi, nel quadro del sistema collettivo di difesa antimissile. Gli americani - è noto - sono andati in loco ad effettuare rilevamenti. Hanno visto e meditato. Poi, una volta a casa, hanno detto che la base azera non era adatta ai loro obiettivi.
Mosca, con una serie di interventi a livello politico-diplomatico, ha risposto che gli Usa insistono nella loro linea di guerra fredda puntando a dispiegare, ad ogni costo, componenti del loro scudo antimissile in Europa. Lo si evince - sostengono i politologi russi - anche da una dichiarazione del capo dell’Agenzia americana per la difesa antimissile, generale Henry Oberino che ha lasciato intendere che gli Usa hanno delle varianti alternative nel caso la Repubblica Ceca non volesse ospitare sul suo territorio il radar americano.
Secondo Obering esistono però altri paesi dove l’America può costruire una stazione radar, anche se le aree di possibili installazioni non sarebbero così ottimali rispetto alla Repubblica Ceca e la Polonia. Tra le alternative il generale americano ha indicato in particolare postazioni radar con basi in mare, riconoscendo al tempo stesso che in questo caso sorgerebbero una serie di problemi.
In altri termini, Washington continua a dare la preferenza ai piani per l’allestimento di una stazione radar nella Repubblica Ceca e il dispiegamento di batterie antimissili in Polonia poiché proprio da qui sarebbe più efficace controllare gli eventuali lanci dei missili strategici russi e neutralizzarli nella fase dell’accelerazione in cui sono più vulnerabili. Quanto alle affermazioni secondo cui i preparativi militari americani in Europa hanno come scopo quello di neutralizzare le minacce missilistiche da parte dell’Iran e della Corea del Nord, Mosca continua a ribadire che si tratta di una pura azione di diversione.
In sostanza, lo riconoscono anche molti specialisti americani, come il professore dell’Istituto Tecnologico Theodoro Postol, in passato specialista del ministero della Difesa degli Usa. Postol, che viene ora ampiamente citato dai russi, ha sostenuto che i piani americani per il dispiegamento di componenti dello scudo antimissile nell’Europa Orientale implicano per la Russia dei gravi problemi; se non adesso, in futuro.
Alle parole di Postol ha fatto eco un intervento del ministro degli Esteri del Cremlino, Ivanov. “Mosca - ha detto - ha già fatto a Washington la proposta di opporsi congiuntamente alle minacce missilistiche da parte dell’Iran. A questo scopo ha parlato di utilizzare congiuntamente la stazione radar in Azerbaigian. Ma se continuerà l’opposizione americana - ha aggiunto Ivanov - è bene sapere che la Russia ha possibilità e mezzi sufficienti per rispondere in modo adeguato al dispiegamento di componenti dello scudo antimissile americano nella Repubblica Ceca e in Polonia”.
A seguito di questa presa di posizione si è mosso lo stesso Putin, che si è detto pronto a puntare nuovamente i missili nucleari russi su bersagli europei ventilando l’ipotesi di schierare una batteria missilistica nell’enclave russa di Kaliningrad, stretta tra Polonia, Lituania e mar Baltico. Putin ha anche dichiarato che prenderà in considerazione il suggerimento di alcuni alti ufficiali delle forze armate di ritirarsi dal Trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio (Intermediate-range Nuclear Frces treaty, Inf), che alla fine degli anni Ottanta portò alla rimozione degli euromissili e consolidò il processo di riduzione delle armi nucleari perseguito da Gorbaciov e da Reagan. Putin ha deciso inoltre una moratoria sull’osservanza da parte russa del Trattato sulle forze convenzionali in Europa.
Ma al tavolo della trattativa russo-americana, oltre allo scudo spaziale - che copre il progetto americano di espansione all’Europa orientale del proprio sistema di difesa anti-missilistica - spuntano anche altri temi sui quali si registrano pesanti divisioni tra i due paesi: Iran e Corea del Nord. Cioè quegli stati che la Casa Bianca continua a definire “canaglia” e che minaccerebbero - sempre secondo l’Amministrazione Bush - la pace nel mondo.
Quanto all’Iran Mosca, pur con una serie di distinguo, continua a collocarsi dalla parte di Teheran sostenendo che un eventuale attacco americano scatenerebbe un inferno in tutto il Medio Oriente. In tal senso il Cremlino torna ad insistere sulle responsabilità di Israele che - appoggiato dai falchi americani - continua la sua pressione ed aggressione nei confronti del mondo arabo e dei palestinesi in particolare. Sulla Corea del Nord, invece, i toni si vanno abbassando visti i recenti passi tra il Nord e il Sud relativi alla creazione di una “area di pace”.
Ma mentre la guerra fredda est-ovest si raffredda sempre più, sale il livello dell’attacco che l’intelligence di Mosca sferra contro gli agenti dell’M16 inglese e della Cia. Perché il capo dei servizi segreti russi Nikolai Patrushev punta il dito contro le intelligence di Londra e di Washington, accusandole di voler destabilizzare la politica interna della Federazione. A Mosca si parla di una rinnovata ed intensa attività di spionaggio svolta dai due paesi che si servono di tecniche già sperimentate con la guerra fredda degli anni sovietici.
A denunciare la campagna lanciata dalle strutture di punta di un occidente antirusso - che tenta di destabilizzare una Russia che vive la vigilia delle elezioni legislative e presidenziali - sono proprio le forze del Cremlino addette al controspionaggio. Si parla così di numerosi casi di “corruzione” e di “ricatto”. Con l’impiego di cittadini russi (soprattutto nella comunità degli emigrati in Gran Bretagna) che hanno commesso reati e che “si stanno nascondendo alla giustizia russa”. Oligarchi e “nuovi russi” della diaspora ebraica, in particolare, che sarebbero mobilitati per “influenzare le questioni interne del Paese”.
L’agente russo numero uno, Patrushev, (un fedele di Putin) dichiara in proposito ad un noto settimanale della capitale (Argumenty y fakty) che questi agenti ingaggiati nelle ultime settimane da americani ed inglesi sono dotati di sofisticati gadget e di sistemi di comunicazione nascosti nel caricatore di un laptop e con un software sofisticato che consente di usare i computer senza lasciare traccia sul disco rigido. Patrushev ribadisce che l’MI6 non sta solo raccogliendo informazioni sulle dinamiche del vertice russo, ma sta cercando “soprattutto” di influenzare la situazione politica interna.
Sale, quindi, la tensione. Con il capo dell’Fsb che insiste dicendo: “Il nostro dossier sulle attività di intelligence britanniche è enorme. Conosciamo i loro punti di forza e di debolezza. Dai tempi della Regina Elisabetta I, l’intelligence ha operato in base al principio che il fine giustifica i mezzi. Il loro metodo principale di reclutamento sono i soldi, la corruzione, il ricatto e l’immunità da procedimenti giudiziari”. Mosca sferra così un attacco a quei “nemici della Federazione” che vivono all’estero, naturalmente a Londra, come l’oligarca russo Boris Berezovsky e il capo ceceno Akhmed Zakayev.Ma nell’elenco ci sono anche paesi come Israele e, ovviamente, gli Usa. E ancora, Patrushev ricorda che le spie straniere sono solite utilizzare le organizzazioni non governative sia per ottenere informazioni di intelligence che come strumento per avere influenza sui processi politici. Il capo dell’Fsb definisce infine i golpe “colorati” compiuti negli ultimi anni nella ex Jugoslavia, in Ucraina e Georgia come “un prodotto di queste attività”.
L’attacco è chiaro e diretto. Sotto accusa finiscono varie Ong straniere che operano in Russia e che, secondo l’intelligence del Cremlino, coprirebbero gruppi terroristici internazionali al fine di dare un supporto alle forze della guerriglia nel Caucaso del Nord. In questo processo a tutto campo il Cremlino ribadisce che sia la Cia che l’MI6 “confidano attivamente sui servizi di Polonia, Georgia e stati Baltici per compiere attività di spionaggio contro la Russia”. Ma sarebbero gli agenti britannici i più attivi, seguiti dai turchi, i quali stanno tentando di far crescere il dissenso nelle aree musulmane della Federazione.
Quanto ai risultati del controspionaggio russo, il Cremlino fa notare che sono stati già individuati 270 ufficiali dei servizi segreti stranieri e 70 agenti sono stati arrestati, di cui 35 cittadini russi. Tutto sta a dimostrare che resta molto alta la tensione fra Russia e Gran Bretagna esplosa lo scorso anno dopo l’assassinio dell’ex agente del Kgb-Fsb, Alexandr Litvinenko. E così nel complesso panorama Est-Ovest si registra sempre più il clima di un enigma avvolto nel mistero. In gioco c’è la distensione che, attualmente, sta perdendo la sua guerra santa contro la guerra fredda
RICE E PUTIN UNITI DAL “NIET”
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