di Elena Ferrara

Le Coree sono due, ma i problemi che si portano dietro sono tanti. In particolare quelli relativi alla divisione segnata da quella frontiera di ghiaccio attestata sul 38° parallelo come risultato della guerra del 1950-1953. Con l’armistizio di Panmunjom che è ancora l’unico documento su cui si basano i rapporti tra Nord e Sud. C’è poi la questione del nucleare del Nord che - tra alterne vicende di escalation e di distensione - continua a destare preoccupazione nella parte sud della penisola, in Asia e, praticamente, nel mondo intero. Ci sono però, in merito, alcune novità che potrebbero contribuire a segnare una svolta generale togliendo a Pyongyang l’etichetta di “stato canaglia”. Infatti il governo di questo paese ha annunciato, nelle settimane scorse, di voler completare entro la fine dell'anno quel processo di disarmo nucleare iniziato in luglio con la chiusura, già confermata dagli ispettori dell'Onu, del reattore di Yongbyon. Si è quindi sulla buona strada della trattativa reale. Come risposta a questo gesto gli Usa hanno in un certo senso modificato anche quelle loro posizioni che erano estremamente negative nei confronti della Corea di Kim. Hanno deciso di prendere alcune misure politiche ed economiche compensative, come quella di cancellare Pyongyang dalla lista degli sponsor del terrorismo e rimuovere, di conseguenza, tutte le sanzioni che erano state applicate in accordo con il Trading with Enemy Act. Cioè quella cosiddetta “lista nera” del terrorismo creata nel 1979 e che comprende una serie di Paesi ritenuti direttamente o indirettamente fiancheggiatori del terrorismo. La Corea del Nord, appunto, era stata inserita nel 2002 - dal presidente Usa George W. Bush - tra i cosiddetti paesi dell'Asse del male, in compagnia di Iran e Iraq.

Ora, pur se non ci sono ancora dettagliate conferme di queste azioni distensive da parte statunitense, sembra che ai nordcoreani sia stato chiesto di fornire una lista di «tutti» i suoi programmi nucleari. E, in particolare, di conoscere ulteriormente la tecnologia per l'arricchimento dell'uranio che Pyongyang avrebbe acquistato dallo scienziato Abdul Kadeer Khan, il «padre» del programma nucleare del Pakistan caduto in disgrazia a causa dei suoi traffici. Lo stesso Khan avrebbe confermato la circostanza al momento del suo “pentimento”. I dettagli dei prossimi passi sulla strada di questo disarmo annunciato, definito nel linguaggio delle diplomazie come “la denuclearizzazione della penisola coreana”, verranno ulteriormente discussi in una prossima riunione a sei, alla quale parteciperanno anche Cina, Corea del Sud, Russia e Giappone.

Restano comunque aperti molti dossier sulla realtà del nucleare nordcoreano. Perché secondo molti esperti occidentali Pyongyang disporrebbe ancora di un numero compreso tra le 3 e le 12 bombe atomiche. Strada, quindi, ancora in salita a partire da quella fase iniziale del 2002, quando gli Usa accusarono Pyongyang di non aver tenuto fede agli accordi del 1994, riattivando il programma nucleare che avrebbe dovuto, invece, essere congelato. Seguirono in quei tempi - da parte americana - accuse e sanzioni economiche contro il Nord. In particolare Kim Jong Il fu accusato di aver depositato in una banca di Macao fondi personali. Una vicenda poco chiara coperta però dalla crisi scoppiata, quando la Corea del Nord effettuò il suo primo test nucleare. Riuscito perfettamente sul piano tecnico-militare, ma con un effetto psicologico devastante.

In seguito si raggiunse un accordo sul disarmo con Pyongyang che, in cambio di aiuti per la sua disastrata economia, accettò di compiere passi indietro sul nucleare. E così dopo quei “colloqui a sei” (una formula elaborata dalla diplomazia di Pechino e sostenuta dalla Corea del Sud) e le trattative dirette tra Washington e Pyongyang, si è riavviato il processo per la normalizzazione delle relazioni tra Corea del Nord e Giappone. Con una nuova tappa prevista nella capitale della Mongolia, Ulan Bator.

Ora, sempre in riferimento ai processi distensivi che si delineano anche nella Corea del Nord, c’è una notizia ulteriore che confermerebbe che le due Coree - bloccate sulla linea del 38° parallelo - starebbero cercando ulteriori possibilità di dialogo grazie alla collaborazione dell’Apec (Asia-Pacific Economnic Cooperation), che è, appunto, l’associazione delegata a promuovere il commercio e gli investimenti tra dodici paesi che si affacciano sulle sponde del Pacifico.

E’ appunto l’Apec - riunito in Australia - che cerca di favorire un nuovo processo distensivo nella penisola coreana dove i due leader - del Nord Kim Jong Il e del Sud Roh - si giocano anche il loro futuro. Per Pyongyang eventuali fallimenti nel corso delle trattative potrebbero portare gli Usa a rivedere le proposte già avanzate; per Seul una nuova fase di stallo creerebbe, invece, serie difficoltà per il proseguimento della attuale gestione presidenziale.

Ma nel conto di queste “manovre” geopolitiche e diplomatiche va messo anche il fatto che Kim Jong Il intende sfruttare al meglio il desiderio dei sud coreani di intensificare i rapporti con la Corea del Nord e di creare un clima più disteso nella penisola per mantenere, di conseguenza, il proprio indiscusso potere. Il leader di Pyongyang potrebbe poi sfruttare a suo favore le contraddizioni interne al gruppo dei cinque Stati impegnati nei negoziati per la denuclearizzazione del Nord.

Perchè a quanto sembra, Cina e Russia - basandosi su disegni geopolitici precedenti - sono sì favorevoli a una risoluzione diplomatica della crisi, ma a patto che garantisca la continuità del regime di Kim Jong Il. E questo sia per sventare il pericolo che l’intera penisola coreana passi sotto l’influenza americana, sia per evitare che una massa di profughi del Nord oltrepassi la frontiera e si riversi nei propri territori, generando una crisi umanitaria di notevoli propozioni.

Una previsione del genere, tra l’altro, non è frutto della fantasia di russi e cinesi. Si ha notizia, infatti, della costruzione, da parte della Corea del Nord, di una barriera di 10 chilometri lungo la frontiera con la Cina per arrestare l'esodo della sua popolazione. La zona interessata per questo “Muro coreano” è quella che Pyongyang considera come la più vulnerabile e dalla quale, negli ultimi tempi, migliaia di nordcoreani sono riusciti ad entrare illegalmente in Cina.

Infine dal Nord Corea c’è la notizia che “il figlio prediletto del popolo” Kim Jong-Nam, primogenito del presidente Kim Jong-il tornato in patria dopo una scappatina in Giappone, é certo di poter ottenere un ruolo di primo piano nella gerarchia ufficiale. In altre parole pensa di pretendere la successione. Considerato “un burocrate senza cervello” pare però che sia decisamente migliore dei due fratelli minori, Kim Jong-chul e Kim Jong-woon. Sembra quindi di poter dire che il futuro è proprio la ripetizione dell’oggi, mentre domina la speranza che l’Apec compia almeno un piccolo miracolo.

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