di Bianca Cerri

A New Orleans circola una storiella di quelle che gli adulti raccontano quando i bambini sono già andati a letto. Tre uomini bendati palpano un elefante senza sapere di che animale si tratta. Il primo gli sfiora i fianchi e dice che è una mucca, il secondo afferra la proboscide e dice che è un serpente, il terzo, beh, afferra i genitali dell’elefante e dice che è un rinoceronte. Ecco, forse il paragone è goliardico ma descrive perfettamente come è oggi New Orleans, una città che ciascuno descrive a seconda delle proprie sensazioni sapendo che comunque non tornerà più come era una volta. Le ferite che le hanno inferto sia la natura che gli uomini saranno difficili da sanare. Il 30 agosto del 2005, quando i venti che avevano cambiato per sempre la fisionomia delle coste della Louisiana si placarono, il fruscio prodotto da miliardi di dollari in arrivò attirò stormi di multinazionali come Hulliburton, Bechtel, Kellog Brown, ecc. che si gettarono come avvoltoi sul business della ricostruzione. Due anni dopo, molti dei lavoratori arrivati da vari paese del mondo, aspettano ancora di sapere cosa ne sia stato dei loro salari. Almeno la metà fu assunta in nero - o vis-a-vis, come si dice da queste parti - e costretta a lavorare con la paura di essere deportati perché privi del permesso di soggiorno. In stati come la Louisiana o il Mississippi, dove la classe operaia non ha mai potuto contare su grandi garanzie, il passaggio di Katrina aveva spazzato via anche i pochi punti fermi, ad iniziare dai minimi salariali previsti dalle leggi nazionali. Le multinazionali, pur avendo strappato contratti per miliardi al governo, approfittarono della combinazione letale un capitalismo portato all’estremo e disastro naturale per succhiare letteralmente il sangue ai lavoratori. Uomini di 45-50 anni venivano costretti a fare turni di 12 ore al giorno per sette giorni alla settimana in cambio di un salario che non superava i 230 dollari. Senza contare che, al pari degli abitanti delle cittadine e dei villaggi abitati in prevalenza da pescatori e dalle loro famiglie, i lavoratori hanno continuato ad ammalarsi a causa delle sostanze tossiche presenti nell’aria.

Tanti gli anziani e i bambini che si ammalano invece per i materiali impiegati nella costruzione delle roulottes e delle case prefabbricate montate dalla protezione civile. Uno dei disturbi più frequenti sono le congiuntiviti, ma stanno aumentando anche patologie come nevralgie del trigemino, astenia, edemi degli arti inferiori, riniti allergiche. A soffrirne di più sono naturalmente le persone che vivono molte ore della loro giornata all’interno degli alloggi. Almeno uno su due dei 257.000 sfollati si è ammalato a causa della formaldeide impiegata nella fabbricazione di pareti, porte ed infissi, risultata fatale per alcuni soggetti al di sopra dei settantacinque anni di età.


I giornali americani stanno bene attenti a non fare il nome dei costruttori, che pure non sono difficili da rintracciare. Si chiamano Gulf Stream, Fleetwood Enterprises, Monaco Coch, ecc. Solo14.000 delle centomila roulottes e case prefabbricate che la protezione civile ha acquistato da loro sono state costruite impiegando grandi quantità di formaldeide. La cangeronicità di questo materiale è già stata accertata e molti stati americani ne vietano oggi l’uso in edilizia. E’ fin troppo facile intuire che il disastro di New Orleans è stato un’occasione d’oro per gli industriali del settore che ne hanno approfittato per liberarsi dei fondi di magazzino facendoli peraltro pagare a peso d’oro.

Le autorità delle zone lungo la costa del Golfo sanno che la mancanza di alloggi a prezzi abbordabili è una delle grandi barriere al rientro delle migliaia di persone che a due anni dal passaggio di Katrina sono state evacuate in stati lontani anche migliaia di chilometri. La colpa, questo va detto, non è solo di Bush e della sua amministrazione. Anche le cosiddette “organizzazioni umanitarie” hanno la loro parte di colpa nella disgregazione del tessuto sociale delle zone devastate. Dai racconti dei residenti è facile intuire che la corruzione si è insinuata in modo capillare tra gli operatori della “solidarietà”. Si tratta per inciso di agenzie le cui entrate annue collettive superano i 500 miliardi di dollari.

Si dice spesso che gli americani sono poco generosi nei confronti delle vittime di eventi drammatici come le calamità naturali. Ovviamente si tratta di un’affermazione priva di qualsiasi fondamento, forse dovuta al fatto che molti americani non si fidano più delle organizzazioni umanitarie, a partire dalla Croce Rossa e dall’Esercito della Salvezza che hanno trattenuto nelle loro casseforti i quasi quattro miliardi di dollari raccolti a favore delle migliaia di abitanti della costa del Golfo che due anni fa persero tutto ciò che avevano. Per paura che i soldi finissero nelle “mani sbagliate” o venissero spesi in “droghe e generi voluttuari”,anche altre organizzazioni non hanno devoluto gli aiuti raccolti. Quella di instillare nel pubblico la convinzione che la gente di New Orleans sia incapace di gestire direttamente gli aiuti è stata una buona trovata che ha permesso a tanti operatori “umanitari” di dirottare altrove montagne di denaro.

Sarebbe invece bastato guardare al risanamento della zona di Safe Street operato dagli stessi abitanti con l’aiuto degli attivisti di Critical Resistance per accorgersi che è possibile ricostruire un ambiente vivibile ed allontanare la microcriminalità anche con investimenti medi ma mirati. Una piccola vittoria forse ma tanto più significativa perché ottenuta prestando attenzione soprattutto ai bisogni della comunità locale e non al prestigio di questa o quella organizzazione umanitaria.

Diceva tanti anni fa Fannie Lou Hamer, energica attivista di colore nella lotta per i diritti civili: “Sospetto sempre di chi parla di uguaglianza razziale seduto su una poltrona di pelle in un ufficio di New York mentre io sono all’inferno”. Una frase che ben si adatta alla condizione della gente della Louisiana costretta a vivere in alloggi fatiscenti e a compiere a piedi lunghi percorsi per recarsi al lavoro, spesso sentendosi sfrecciare accanto le auto degli “operatori umanitari”. Dal 29 agosto del 2005, i contractors hanno realizzato guadagni pari al tre volte il prodotto interno lordo di Louisiana e Mississippi messi assieme ma non è andata male neppure per alle non meglio identificate “organizzazioni umanitarie”. A 40 anni dalla lotta per i diritti civili, il numero delle sedie di pelle negli uffici di New York è aumentato di molte unità, mentre la solidarietà e l’impegno hanno dichiarato bancarotta.


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