Dopo il crollo dell'Urss e la dichiarazione d'indipendenza dell'agosto del 1991, la Bielorussia si è trovata al centro di una "guerra politica" concentrata sui problemi della transizione e della formazione dei nuovi gruppi dirigenti. Ed ora un appuntamento, sicuramente decisivo, è quello delle prossime elezioni presidenziali fissate (con provvedimento "urgente") per il 19 marzo. Una data che l'opposizione contesta perché avrebbe voluto una convocazione più lontana - la fine di luglio - tale da permettere una preparazione più meditata e un tempo più lungo per la propaganda elettorale. La decisione in ogni modo è stata presa e dalle urne di marzo dovrà uscire il nuovo Presidente. Che è, attualmente, Aleksandr Lukascenko il quale, in carica dal 1994, trova ampi consensi a livello popolare (viaggia in continuazione per il paese, incontra la gente, ascolta le loro lamentele, punisce chi approfitta delle proprie mansioni) e appoggi "politici" ed "economici" dalla madre-Russia, grazie anche ai buoni uffici di Putin e di molti esponenti della vecchia nomenklatura sovietica che apprezzano il suo rifiuto delle ricette riformiste ed il suo populismo, che lo rende leader nello scontro con l'Occidente. L'opposizione contro la sua leadership, comunque esiste e pur se non trova (per ora) vasti consensi, opera comunque sviluppando feroci attacchi alla presidenza. E’ un’opposizione forte soprattutto (lo ha rivelato senza mezzi termini il The Christian Science Monitor (riferendosi al Belarus Democracy Act, la legge con cui gli Usa hanno tagliato l'assistenza economica al Paese) di finanziamenti di milioni e milioni di dollari che vengono d'oltreoceano; tutti elargiti alle organizzazioni che si battono contro Lukascenko "per costruire la democrazia in Bielorussia". E tra i beneficiari di questa valanga di dollari c'è quel movimento (il più attivo) che guida la rivolta anti-Lukascenko: si chiama "Comitato nazional-democratico" ed è guidato da Anatolij Lebel'ko. Costui è un personaggio che naviga nell'anticamera della grande politica e che trova appoggi in ambienti economici occidentali. Si caratterizza per i suoi toni grotteschi e per un lessico colorito. Altra figura del complesso mosaico del "no" è Aleksandr Milinkevic il quale, appoggiato da alcuni schieramenti che si autodefiniscono "democratici", si considera già vincitore della prossima consultazione prevedendo per Minsk una sorta di fase "arancione"; una sorta di riedizione locale delle proteste ucraine che portarono alla vittoria, a Kiev, dell'anti-russo Juscenko. Segue, nella galassia dell'opposizione, Sergej Gajdukevic, leader del "Partito liberal-democratico": un populista che sta impegnandosi in una battaglia accanita, presentandosi all'opinione pubblica come "ideologo" della lotta alla gestione di Lukascenko. C'è poi, in questo variegato cartello, anche Aleksandr Kozulin, che è il segretario del "Partito socialdemocratico" e che annuncia di voler cambiare "il caos in ordine". Infine, un alto funzionario del ministero degli Esteri come Petr Kranceko, che ha alle spalle una permanenza in Giappone in qualità di rappresentante del suo Paese. Ma si tratta di un diplomatico apertamente poco diplomatico, che all'arma del colloquio e del dibattito preferisce la piazza urlante. Questo, quindi, lo scenario dei "no". Sul quale pesa l'atteggiamento negativo della vicina Polonia e dei suoi circoli reazionari. Varsavia, infatti, con la sua "politica orientale", mantiene una linea fredda nei confronti di Minsk. E i partiti polacchi, nati da Solidarnosc, appoggiano l'opposizione a Lukascenko. Dall’altra parte il fronte che sostiene il Presidente, che si compone ovviamente delle diverse forze (comunisti compresi) che si sentono rappresentate da Lukascenko, vera e propria che la figura centrale della vita politica bielorussa. Uomo d'azione, personaggio difficile, tormentato e complesso che però cerca sempre di caratterizzarsi con il decisionismo, recuperando in ogni momento i temi della tradizione popolare. E, soprattutto, facendo uno sforzo per aggiornare sempre le sue posizioni sull'ora di Mosca. Ecco perché è giusto porsi alcuni interrogativi sulla figura del presidente contro il quale certi ambienti occidentali (Usa e Germania in testa) scatenano polemiche, avanzano accuse d'ogni tipo, minacciano sanzioni. Cominciamo da George W.Bush che considera Lukascenko "l'ultimo dittatore d'Europa". Questo perché il leader bielorusso non ha mai rotto i ponti con la tradizione sovietica e con la stessa costruzione dell'Urss: anzi, rivendica in ogni occasione l'unità con Mosca. Non solo, ma a differenza della Russia, dimostra un approccio diverso e ragionato alla riforma della propria economia: senza una privatizzazione di rapina, con un ruolo attivo dello Stato, mantenendo il settore agrario. Ma gli americani insistono e accusano Minsk (che, tra l'altro, è anche la capitale dei paesi della Csi) di violazioni dei diritti umani e di attacchi alla libertà di stampa presentando il Paese, di fatto, come un "potere autoritario". Per Condoleeza Rice, Minsk fa parte degli "Stati canaglia" con i già noti Iran, Iraq e Corea del Nord. Di Lukascenko dice che governa con il "pugno di ferro" e che è il regista di una serie di "rapimenti" di dissidenti. In pratica i propagandisti americani (Cia in testa, ma con forti appoggi dell'israeliano Mossad) mettono in atto la stessa campagna che utilizzarono nell'Urss prima dell'avvento di Gorbaciov e della conseguente fase della perestrojka. C'è, quindi, un preciso disegno che punta alla disgregazione della leadership di Lukascenko pur sapendo che il personaggio gode di grandi appoggi popolari soprattutto nel mondo delle campagne, dove gli agricoltori gli sono grati per non aver sospeso le loro pensioni che risalgono all'epoca sovietica.... Ma il "difetto" del presidente - notano molti commentatori ispirati dalla Casa Bianca - consiste anche nel fatto che non ama l'occidente, non si sente anticomunista né antisovietico. E che non vuole eliminare le strutture dell'economia socialista e, di conseguenza, non è disposto a seguire le leggi del mercato occidentale. Lukascenko viene anche accusato - sempre dall'occidente - di voler distruggere l'identità bielorussa attraverso una sorta di unione con la Russia e di puntare ad essere il paladino dell'opposizione all'estensione della Nato ad Est. E ancora: un altro motivo dell'isterìa antibielorussa trova le sue basi nella stizza per la mancata riuscita di quel "brillante progetto" degli strateghi americani destinato a creare il cosiddetto cordone sanitario - Mar Nero-Mar Baltico - che isoli la Russia dall'Europa. Non sorprende così che gli Stati Uniti - in relazione a questa questione geopolitica - siano avidamente interessati all'ulteriore degrado della Bielorussia sulla scena internazionale. E' in questo contesto, quindi, che Minsk va alle elezioni di marzo che sono già, per il pragmatico Lukascenko, le vere "idi di marzo". Ma a lui arrivano anche forti manifestazioni di solidarietà ed aiuto politico da una Mosca che gli è sostanzialmente amica (non va mai dimenticato, in proposito, che per l'industria bielorussa, la Russia è anche il maggior fornitore del paese di petrolio e di gas ed il maggior consumatore dei prodotti dell'industria bielorussa) con personaggi della portata del sindaco di Mosca Luzkov e del governatore di Primorje, Nazdratenko. Il quale tempo fa dichiarò apertamente che sarebbe "contento di vedere Lukasenko a capo di una nuova comunità di slavi orientali che veda unite la Russia, l'Ucraina e la Bielorussia" affermando poi che si tratta di un leader che "fa molte cose buone per il popolo e conduce una giusta politica economica". Non va poi dimenticato che a fornire un sostegno all'attuale Presidente di Minsk è Evghenij Primakov, figura di spicco della politica russa, ex premier ed ex ministro degli Esteri della Russia il quale - con tutta la forza della sua immagine sia a livello interno che internazionale - fa rilevare all'opinione pubblica (con un'intervista alla moscovita Argumenty i fakty) che Lukasenko è appoggiato dalla maggioranza della popolazione e gode di grande popolarità. “Non solo - aggiunge Primakov - ma anche l'economia di quel Paese non va male. Si sviluppano buoni rapporti con le regioni della Russia. Per quanto concerne poi il ruolo internazionale della Bielorussia Primakov precisa che Minsk è nell'Onu sin dal momento della sua formazione e che, quindi, è un paese che va rispettato anche per questo”. Insomma il Presidente bielorusso ha certamente avversri potenti, ma i suoi estimatori internazionali hanno peso e potere. Come del resto gode di popolarità notevole anche all’interno. Una sorta di consenso popolare che si è andato trasformando in questi anni in un vero "plebiscito permanente", perché Lukasenko è riuscito a trasformare quella base popolare generalmente amorfa, in parte attiva contro le ambizioni di determinati gruppi oligarchici legati alle mafie russe e internazionali. Notevoli anche i suoi sforzi per adeguare il linguaggio alla realtà del Paese. Perché a differenza dell'opposizione che parla di inflazione, di stagnazione, di deficit finanziario, di budget, di emissione di moneta (cose incomprensibili per la gente semplice), Lukasenko lotta contro la disoccupazione, paga stipendi e pensioni rispettando le scadenze. Restano ancora nell'ombra le forze religiose del Paese. Ma non ci dovrebbero essere grandi sorprese dal momento che gli ortodossi (dell'Est) sono l'80%. Una "opposizione" al potere attuale (filorusso ed ortodosso) potrebbe venire da Cattolici, Protestanti, Ebrei e Musulmani che arrivano, in percentuale, al 20%. Per Lukascenko, quindi, le "idi di marzo" (pur se con un po' di ritardo) non si presentano come un fatto negativo. Potrebbe uscire nuovamente vittorioso dalla consultazione - conservando la propria riconoscibile identità - e far così perdonare, a chi crede ancora nei valori della costruzione "sovietica", quel gesto che fu compiuto dal bielorusso Suskevic, il quale nel dicembre 1991 - insieme al russo Eltsin e all'ucraino Kravciuk - decise la fine dell'Unione Sovietica. Lukascenko, in sostanza, torna a presentarsi sulla scena mondiale non come personaggio di facciata ma come vero e proprio esponente di un establishment sociale, politico e finanziario di un ex paese sovietico che vive, come tutti gli altri, la difficile, complessa, intricata fase di transizione. Ma si tratta, comunque, dell'unico paese, all'interno della Csi e dell'Europa orientale, che si è sempre schierato contro ogni tipo di aiuto ispirato a princìpi e idee occidentali. Battendosi per una sua originale via di sviluppo autonoma, capace di rispettare le tradizioni nazionali. Pur se tra tutti i paesi slavi orientali è proprio la Bielorussia il più povero economicamente. Si può dire, comunque, che è sulla sua testa che si giocano gli interessi degli Usa e della Russia. Per ora agli attacchi di Bush il capo del Cremlino ha solo risposto con accenni di amicizia e, soprattutto, di "comprensione". Non va, infatti, dimenticato che per Mosca è sempre aperta la questione di quell'area russa schiacciata tra la Polonia e la Lituania: l'enclave strategica di Kaliningrad (Konigsberg) affacciata sul mar Baltico. In questa regione vivono molti bielorussi che sentono forte il legame alle tradizioni sovietiche. E a questi bielorussi che vivono in terra di Russia che si rivolge sempre Lukascenko - che quanto a nazionalismo non ha niente da invidiare ai grandi russi - sottolineando la forza dell'unità slava. Che tra un mese si misurerà nelle urne.
LE IDI DI MARZO DI LUKASCENKO
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