di Raffaele Matteotti

Era Natale quando l’Etiopia cominciò l’invasione della Somalia su richiesta degli USA. Il dittatore etiope Zenawi giustificò l’invasione con il timore di una invasione dell’Etiopia da parte degli islamici somali; una scusa simile nella sostanza a quella delle armi di distruzione di massa per l’Iraq. L’Etiopia è la potenza militare regionale, un paese di sessantacinque milioni di abitanti che aveva ben poco da temere dalle forze somale, forze che peraltro a malapena controllavano parte della Somalia e che non pensavano certo, neppure nei sogni dei più malmessi, di attaccare l’Etiopia. Era capodanno, quando Zenawi espresse la volontà di ritirare le sue truppe in modo che potessero essere sostituite da quelle dell’Unione Africana; truppe che dovevano essere composte da ottomila uomini di diversi paesi, ma che alla fine si sono materializzate in poco più di mille soldati dell’Uganda, uno di quei paesi retti da un autocrate che con Bush va d’amore e d’accordo. Degli altri nessuna traccia, nemmeno di quelli che alcuni stati si erano impegnati ad inviare. Adesso è giugno inoltrato e in Somalia non è cambiato niente. Il governo fantoccio insediato da Etiopia ed USA non è più nemmeno quella caricatura di governo che era il Governo Transitorio benedetto dall’ONU, poiché gran parte dei componenti lo hanno abbandonato o ne sono stati cacciati con l’accusa di essere terroristi, mentre il paese è divorato dalle violenze e da predoni di ogni tipo.

In questo preciso momento l’Etiopia sta ancora esprimendo la sua determinazione a lasciare la Somalia. Il Governo Transitorio ha convocato una Conferenza di Pace, dalle conclusioni preconfezionate a Washington, che è stata respinta da tutti i clan somali, mentre il paese è colpito da raid aerei americani, illegali, che bombardano a caccia di terroristi che però non prendono mai. Intanto oltre un milione di somali sta vivendo l’infelice condizione di profugo interno e patendo la fame nell’indifferenza della comunità internazionale, lesta ad avallare l’illegale invasione etiope e a scordarsi dei somali.

Intanto l’Etiopia sta facendo fatica a qualificarsi come esportatore di democrazia: pochi giorni addietro una sentenza ha riconosciuto 38 membri dell’opposizione come colpevoli di diversi reati, quali minaccia alla sicurezza dello Stato, oltraggio alla Costituzione, incitazione alla violenza armata contro il governo, alto tradimento, genocidio. Accuse che potrebbero portare alcuni di loro al patibolo, ma accuse abbastanza paradossali stando ai fatti conosciuti.

La colpa degli accusati sarebbe infatti quella di aver preso parte alle manifestazioni che denunciarono i brogli con i quali Zenawi si assicurò la vittoria alle elezioni nel 2005; manifestazioni disarmate e represse nel sangue dal governo; centinaia di morti lasciati sul terreno e migliaia di arresti, con migliaia di giovani inviati in “campi di rieducazione” (lager) nel deserto. Come altri regimi anche quello etiope non teme il ridicolo e ora quelle morti diventano capi d’accusa a carico delle mancate vittime. Tutte cose che hanno spinto l’ONU a negare persino gli aiuti umanitari all’Etiopia, ma che evidentemente sono risultate benemerenze agli occhi del Dipartimento di Stato.

In Somalia, con grande scorno della nostra diplomazia, la situazione sul campo non è mutata di una virgola rispetto a sei mesi fa; e anche quanti parlavano di una vaga responsabilità del nostro paese nei confronti degli abitanti della ex-colonia italiana, sono passati ad occuparsi d’altro. Dal terzo fronte della War on Terror continueranno ad arrivare le solite tristi notizie ancora a lungo, ma non servirà a nulla. La sorte dei civili somali, come quella dei civili iracheni ed afgani, non interessa a nessuno in Occidente.

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