Il fronte diplomatico che vede al centro dell’interesse la Repubblica Islamica continua a essere caratterizzato da un certo fermento a poche settimane dal cambio della guardia alla Casa Bianca che potrebbe far precipitare nuovamente le relazioni tra Teheran e l’Occidente. Le vicende si intrecciano al conflitto in corso a Gaza e in Libano, con gli Stati Uniti e l’Europa che cercano di indebolire la posizione dell’Iran in Medio Oriente, possibilmente senza fare esplodere un conflitto su vasta scala. In questo quadro, il recente voto di condanna in sede AIEA e la risposta del governo iraniano sono solo gli ultimi sviluppi di una trama che, in attesa di Trump, sembra essere ancora tutta da scrivere.

Lo scorso fine settimana, la Repubblica Islamica ha fatto sapere di avere attivato centrifughe di nuova generazione per l’arricchimento dell’uranio presso i propri siti nucleari civili. La decisione è stata presa subito dopo il via libera alla mozione contro l’Iran da parte del “Consiglio dei Governatori” dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, motivata ufficialmente dalla insufficiente trasparenza delle attività nucleari di questo paese. Il voto aveva seguito l’incontro a Teheran tra il direttore generale dell’agenzia, Raphael Grossi, e il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi. Quest’ultimo aveva chiarito senza ambiguità che una risoluzione di condanna all’AIEA avrebbe costretto il suo governo a prendere provvedimenti, come è poi puntualmente accaduto.

 

Il voto è l’ennesimo intervento tutto politico delle potenze occidentali per esercitare pressioni sull’Iran. Questo atteggiamento non rappresenta una novità, ma è tanto più grave in quanto si inserisce in un contesto regionale già caldissimo e in previsione di un possibile ritorno alle rovinose politiche di “massima pressione” su Teheran con il secondo mandato di Trump alla presidenza USA. Oltre alla mozione AIEA, vanno ricordate anche le recenti nuove sanzioni introdotte da UE e Regno Unito contro la compagnia aerea Iran Air e il settore dei trasporti marittimi della Repubblica Islamica per via delle presunte forniture di armi iraniane alla Russia.

Le accuse rivolte all’Iran in relazione alle attività nucleari si riferiscono agli impegni disattesi sottoscritti con l’accordo di Vienna del 2015 (JCPOA). Teheran avrebbe dovuto limitare il proprio programma nucleare in cambio dell’allentamento delle sanzioni internazionali. Nel 2018, però, l’allora presidente Trump decise senza motivazioni valide di ritirare unilateralmente gli Stati Uniti dall’accordo, per poi tornare alla politica delle sanzioni. L’Iran aveva stabilito di continuare temporaneamente a rispettare i vincoli, in attesa che i paesi europei coinvolti nelle trattative diplomatiche concordassero un piano d’azione congiunto per ridurre l’impatto delle sanzioni USA.

Sotto pressione da Washington, l’Europa era rimasta tuttavia paralizzata, spingendo alla fine le autorità iraniane a riprendere l’arricchimento dell’uranio oltre i livelli previsti dal JCPOA e a implementare altre iniziative che avrebbero dovuto essere sospese in base all’accordo. Nonostante la Repubblica Islamica fosse pienamente legittimata ad agire in questo modo, sia dall’Europa sia dagli Stati Uniti, nel frattempo con la nuova amministrazione Biden, le responsabilità americane non sono mai entrate nelle discussioni sulla possibile riattivazione dell’accordo sul nucleare.

Al contrario, gli interlocutori di Teheran hanno invece sempre chiesto come condizione preliminare il ritorno dell’Iran al rispetto dei limiti fissati dal JCPOA, come se la decisione di andare oltre a essi non fosse legata a quella presa da Trump nel 2018. Su questo punto si sono arenate precocemente le trattative sia con l’Europa sia con l’amministrazione Biden.

La malafede dell’Occidente è dovuta in primo luogo alla mancata risoluzione delle problematiche geopolitiche che ruotano attorno alla posizione e all’influenza dell’Iran in Medio Oriente. In altri termini, i governi occidentali continuano a puntare al ridimensionamento strategico della Repubblica Islamica e la questione del nucleare, quasi del tutto irrilevante in quanto tale, viene usata in modo strumentale per raggiungere questo obiettivo.

Malgrado l’estrema diffidenza reciproca, l’Iran da una parte e Francia, Germania e Regno Unito (E3) dall’altra si incontreranno il prossimo 9 dicembre, probabilmente a Ginevra, per un’altra tornata di colloqui. Secondo il ministero degli Esteri iraniano, le discussioni toccheranno vari argomenti, non solo il nucleare, ma anche quelli relativi alle vicende mediorientali. Le intenzioni europee sono comunque abbastanza chiare e poco incoraggianti. Un portavoce del ministero degli Esteri tedesco, in una recente conferenza stampa, ha confermato che la questione del nucleare verrà affrontata, ma, a suo dire, “molti aspetti ci preoccupano dell’Iran”, a cominciare dal “ruolo [di Teheran] nella regione”.

La rete di alleanze della Repubblica Islamica e le strategie della Resistenza in una regione che rischia di esplodere a causa dell’aggressione sionista, con conseguente ridimensionamento della posizione di USA ed Europa, sono in sostanza al centro delle “preoccupazioni” occidentali. I negoziati e le minacce sono dunque solo un mezzo per cercare di riassestare a proprio favore gli equilibri in Medio Oriente.

Equilibri che continuano a spostarsi a beneficio dell’Iran, come testimonia anche il recente annuncio della prossima firma di un rinnovato accordo strategico tra questo paese e la Russia. La notizia è circolata sempre in questi giorni e ha senza dubbio contribuito a irrigidire le posizioni occidentali in vista del vertice con il governo di Teheran. Esponenti dei ministeri degli Esteri di Russia e Iran hanno spiegato che la partnership bilaterale rafforzata sarà a tutto campo, fino a includere anche gli ambiti della difesa e della sicurezza. In un clima regionale infuocato dagli attacchi militari reciproci tra Iran e Israele, quest’ultimo particolare potrebbe stravolgere i calcoli dello stato ebraico e dei suoi alleati.

La rinnovata pressione su Teheran da parte occidentale, con ogni probabilità su input del regime di Netanyahu, ha anche un altro obiettivo non dichiarato, ma che il governo iraniano ha immediatamente rilevato. Nei prossimi mesi scadono i termini previsti dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza ONU 2231, approvata dopo la firma del JCPOA, in relazione a un elemento cruciale. Se cioè l’Iran verrà considerato in violazione degli impegni stabiliti dall’accordo sul nucleare, potranno essere reintrodotte le sanzioni internazionali, abolite dallo stesso JCPOA, attraverso il cosiddetto meccanismo dello “snapback”. La mozione di condanna dell’AIEA appena approvata potrebbe perciò rappresentare la giustificazione per rimettere in piedi l’apparato punitivo contro la Repubblica Islamica, ufficialmente con la benedizione ONU anche se di fatto una manovra delle potenze occidentali.

È evidente che una simile iniziativa, assieme all’eventuale ritorno alla “massima pressione” da parte dell’amministrazione repubblicana entrante a Washington, rimetterebbe tristemente le lancette indietro di un decennio nei rapporti Occidente-Iran. L’effetto immediato, fanno sapere da Teheran, sarebbe l’uscita dal Trattato di Non Proliferazione nucleare (NPT) e, da questo punto, la strada sarebbe ancora più spianata verso uno scontro militare che infiammerebbe definitivamente l’intera regione mediorientale.

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