Ormai la missione Unifil è diventata il tiro a segno di Tsahal. Un carro armato ha colpito una postazione nel sud del Libano, vicino a Kafer Kala, dove è di stanza il contingente spagnolo. “Un carro armato Merkava dell’Idf ha sparato contro la torre di guardia. Due telecamere sono state distrutte e la torre è stata danneggiata”, riferisce Unifil denunciando anche in questo caso, come negli attacchi precedenti, “fuoco diretto e apparentemente deliberato su una nostra posizione”.

Quindi il mitico esercito di Tel Aviv prosegue nella sua performance più famosa: quella di sparare a chi non può rispondere. Il contingente italiano è dunque alla mercè dell’esercito israeliano, ma soprattutto di un governo di Roma che freme di vigliaccheria. Un governo che si fa leone con la guerra ai rave e al dissenso, ma si fa coniglio di fronte a Israele. Pare che la Meloni abbia sostenuto un colloquio telefonico con Netanyahu al quale avrebbe ribadito come sparare sui soldati italiani sia “inaccettabile”. Sembra che Netanyahu abbia detto "va bene" ma abbia poi ordinato di continuare a farlo, probabilmente non intimorito dalla mimica dell’inquilina di Palazzo Chigi.

 

Il Premier israeliano sostiene di non aver nulla contro l’Unifil, per poi però subdolamente domandare: “Quanti missili di Hezbollah ha fermato l’Unifil?”. Dimentica - o meglio, fa finta di dimenticare - che la missione ONU non è un sistema difensivo per le testate missilistiche o per i razzi di varia potenza e che il suo ruolo è invece quello di garantire una fascia di sicurezza e di transito nel Sud del Libano. Che è stata messa in piedi a protezione di tutti dagli attacchi di tutti. La differenza è che Hezbollah rispetta l’integrità della missione, Israele no.

Persino la puntuale storiella sul fatto che bombarda ovunque raccontando della necessità di farlo la presenza di uno o più esponenti di Hezbollah, fa abbastanza ridere. Sarebbe come se il governo italiano, preso atto della presenza dei vertici mafiosi a Palermo o a Catania, avesse deciso di bombardare le città siciliane per risolvere il problema; o se Parigi, preso atto del radicalismo islamico nelle banlieue, le bombardasse.

Ma a sbugiardare Israele, che racconta come lo scopo dei suoi bombardamenti siano le milizie di Hezbollah, ci pensano i suoi atti, visto che non solo ha bombardato indiscriminatamente l’intero Sud del Libano ma ha bombardato persino la zona cristiana del Libano. Si conferma con ciò che Hezbollah è un pretesto: in realtà l’intenzione di Tel Aviv è cercare di distruggere la maggior parte di Beirut per poter domani, a scontri finiti, rivendicare una quota della capitale libanese come area di sicurezza in Medio Oriente.

L'intenzione di Israele, infatti, è quella di ridisegnare generale la mappa mediorientale, con centinaia di km quadrati che dovrebbero passare dagli attuali proprietari a Tel Aviv. Una squallida operazione coloniale sostenuta da un genocidio senza precedenti le cui finalità viene taciuta, grazie alla diffusione della narrazione manipolata che vorrebbe Israele vittima e non carnefice dell’area di cui godono grazie al controllo del sistema mediatico occidentale.

La missione Unifil dovrebbe tenere a giusta distanza tanto Hezbollah come Israele da quella porzione di territorio ma sarebbe sempre bene non dimenticare che Hezbollah è libanese mentre Israele non lo è e che, pertanto, il diritto a muoversi liberamente nel territorio del Libano può valere al massimo per i suoi cittadini e non certo per gli stranieri aggressori. Hezbollah è una delle componenti del governo del Libano e limitare i suoi movimenti nel territorio libanese significa ridurre la sovranità nazionale libanese.

Insomma la missione non è concepita come sostegno all’esercito straccione e codardo israeliano, specializzato nel bombardamento di ospedali, campi profughi, scuole e palazzi dove abitano civili. Un esercito formidabile quando ha di fronte inermi.

Quello che muove Israele è l’intenzione di non avere testimoni dell’utilizzo di armi proibite e sui bombardamenti indiscriminati sulla popolazione civile: questo è il motivo per cui Israele chiedere alla missione delle Nazioni Unite di lasciare la sua postazione. Non è un caso il fuoco contro le camere di sorveglianza Unifil.

Colpisce, in negativo, chi in Italia, dalle 9,00 alle 13.00 ricorda che Israele non può dare ordini all’Onu ma che dalle 14,00 alle 20,00 aderisce alle richiesta di Netanyahu sostenendo che sarebbe bene ritirare la missione, obbedendo così ai desiderata dell’organizzazione criminale e genocida che, convenzionalmente, viene chiamata governo israeliano. In particolare si può apprezzare la Meloni che scappa dietro alle parole per non mostrare il completo sbracamento verso Israele da parte di chi chiacchiera di popolo e sovranità ma cumula foto e sorrisi con i potenti chiunque essi siano e qualunque cosa facciano, anche contro i militari italiani, delle quali “io so’ Giorgia” si dice garante.

Ma queste sono patacche e pene della politica interna italiana, di un governo che serve a tavola i potenti e poi cerca di diffondere l’idea che a quel tavolo era seduto. Forse sì, ma solo per passare l’olio e il sale ai commensali.

Uscendo invece dal circo Barnum del governo peggiore e più ridicolo della storia politica italiana, è fin troppo evidente che un ritiro della missione Unifil comporterebbe due conseguenze pesanti.

La prima è che annullare l’applicazione della Risoluzione 1701 alla quale concorrono diversi paesi e che ha sul terreno ben 15.000 soldati (1200 solo gli italiani) porterebbe un colpo mortale al prestigio ed all’autorità delle Nazioni Unite, che continuano - piaccia o no a Israele e ai suoi sponsor politici e mediatici - a rappresentare la Comunità internazionale nel suo insieme, nonostante sia sotto gli occhi di tutti la necessità di una riforma almeno parziale del suo Consiglio di Sicurezza.

La seconda è che una simile decisione porrebbe Israele e il suo governo genocida in una  posizione di comando nei confronti dell’organismo multilaterale, assegnando con ciò un ruolo preminente di un governo che non solo non è nemmeno membro del suo organo deliberante (il Consiglio di Sicurezza) ma che ha scagliato una offensiva totale contro l’organismo e i suoi rappresentanti, in particolare il suo Segretario Generale e che dovrà rispondere di crimini di guerra dinnanzi alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, ovvero dell’unica istituzione si spessore planetario che rappresenta e difende il Diritto Internazionale.

Se a questo si aggiungono le numerose Risoluzioni ONU alle quali Israele non ottempera e che anzi viola costantemente, ecco che l’adesione alle sue richieste illegali ed illegittime sancirebbe la praticabilità dell’indifferenza alle decisioni delle Nazioni Unite da un lato e uno status di Israele in cima al resto della comunità internazionale dall’altro. Entrambi i prospetti appaiono come un gigantesco errore politico che potrebbe, tra le altre cose, stabilire un precedente al quale tutti potrebbero rifarsi.

Molto meglio sarebbe invece la modifica delle regole d’ingaggio, tanto in sede di Consiglio di Sicurezza come, nelle more, sul terreno. Insomma, una risposta di tipo militare ad un attacco militare offrirebbe una immediata inversione nella relazione fino ad ora troppo compiacente ed porrebbe Israele di fronte al rischio concreto di dover affrontare militari e non donne e bambini e civili innocenti. Rappresenterebbe per Netanyahu il primo assaggio di risposta che, preso o tardi, la comunità internazionale o parte di essa dovrà dare al colonialismo genocida di chi vive rubando libertà, vita, risorse e terre ad un popolo già martoriato, prima vittima dell’accordo politico tra USA e GB che assegnarono un territorio e uno Stato a chi non aveva titolo per averlo e che, invece di cercare ogni modalità di convivenza ha solo e sempre scelto il terreno dello scontro.

Sarebbe un modo concreto di dimostrare a Tel Aviv che un progetto genocida quale strumento di una sostituzione etnica e dell’ampliamento con la forza del proprio territorio non è permesso e che anche la supremazia militare, quando si esprime con il terrorismo di massa, può essere limitata e riportata a ragione. Con le buone o con le cattive.

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