In Germania, nelle elezioni appena celebrate nei Lander di Sassonia e Turingia, i neo nazisti della AfD hanno ottenuto un forte risultato. Non meno significativa l’affermazione del BSW di Sahra Wagenknecht, che ha fondato un partito di sinistra alternativa, anticapitalista, pacifista e anti-atlantista che dopo soli nove mesi ha raccolto il 15,8 dei voti in Turingia e l’11,8 in Sassonia. Sono voti presi ai Verdi (i più atlantisti della costellazione ecologista europea) ai Socialdemocratici (nella versione suicida di ciò che fu un tempo il partito di Brandt) e a Die Linke (esempio di mutazione genetica atlantista della ex sinistra).

Il mainstream mediatico eurocentrico si dichiara preoccupatissimo per l’avanzata dell’estrema destra, ma l’establishment atlantico è perfettamente cosciente di due cose: 1) l’estrema destra non è nemica e, tendenzialmente, non è nemmeno estranea, viene dallo stesso album di famiglia; 2) i neonazisti non saranno mai in grado di rappresentare una opzione di governo senza che il deep state euro-statunitense glielo consenta.

Proprio nei giorni precedenti Manfred Weber, esponente della CDU e capogruppo del centro destra al Parlamento Europeo, esprimeva appoggio totale a Giorgia Meloni che lo ha ricevuto a Roma. E anche in Olanda i centristi governano insieme a destra ed estrema destra senza che questo abbia impensierito nessuno. Insomma la minaccia non viene da destra. Nessuna destra continentale risulta incompatibile con lo schema vigente delle élites europee. Il cosiddetto "sovranismo" ci mette un amen a diventare ultra-atlantismo.

 

Come dimostra Meloni in Italia, l'estrema destra va d’accordissimo con l’impero dell’Occidente Collettivo: ha un’idea diversa sulla guerra alla Russia, ma non dal punto di vista ideologico o concettuale (la russofobia è iscritta nel suo patrimonio genetico) ma solo perché inutile, costosa, errata nella tempistica e destinata alla sconfitta.

Certo, per la destra è prevista l’improponibilità di simboli e slogan, perché l’estetica del dominio non vuole scene di cattivo gusto o minacciose che producano, anche solo per reazione, una ricomparsa della sinistra alternativa, che è l’unica, vera minaccia per le élites europee. Ma quanto ai contenuti destra, finta sinistra o centro conta poco: sebbene alcuni processi di cambiamento appena accennati possano indurre a credere che cambiare sia nell’ordine delle possibilità, in realtà si consentono solo mutazioni estetiche, non di sostanza. Non sono ammessi - se non in misura ininfluente – processi politici che alterino gli indirizzi fondamentali.

Soprattutto chiunque entri nelle stanze del potere deve comprendere la differenza che c’è tra essere al governo e detenere il potere, quello vero. Quest’ultimo esige uno schema non discutibile: fonti energetiche, corpi intermedi e gangli del controllo sociale, l’insieme della Pubblica Amministrazione - quindi degli apparati politici, militari, delle forze di sicurezza, dell’intelligence e della magistratura - e sistema mediatico, non possono che vedere l’assoluta subordinazione verso gli Stati Uniti.

Scholz chiama alla mobilitazione, ma è appunto una ipocrisia, perché la Germania non teme l’estrema destra, anzi. Può lanciare allarmi ma sa che la marmaglia nazi è cresciuta anche grazie al suo governo, il peggiore dal dopoguerra, che rompendo con la Russia ha distrutto la politica energetica ed ha ridotto la locomotiva tedesca a triciclo statunitense.

La preoccupazione occidentale la si legge invece nei molteplici articoli che, con toni che vanno dal disprezzo alla preoccupazione, dipingono a tinte fosche la vittoria dei comunisti tedeschi guidati da Sahra Wagenknecht (verso la quale è iniziato il processo di demonizzazione) intravvedendo nella sua proposta un importante calamita per lo scontento sociale tedesco e non solo. La si lega (com’è ovvio che sia, sebbene vi siano diversi) con il successo in Francia di Melenchon e con la crescita di altre formazioni di sinistra nel continente. Insomma si racconta pubblicamente la paura della destra, ma sono già all’opera operazioni di ricatti e minacce incrociate per evitare che vi siano possibili governi con un ruolo decisivo per la sinistra.

 

Un nuovo Luigi XVI?

In Francia un Presidente di minoranza impedisce la formazione di un governo di maggioranza. Macron, estremista liberista, si rifiuta di prendere atto del risultato elettorale e della conseguente nuova composizione del Parlamento e, infrangendo il dettato costituzionale e la prassi politica consolidata, rifiuta l’incarico di formare il governo a Lucie Castets, economista e funzionaria pubblica, candidata del vittorioso Nuovo Fronte Popolare che ha in France Insoumise, il partito principale. Il presidente dimezzato chiuso nel suo labirinto, ribadisce che il voto popolare non ha valore di fronte alla sua volontà e assegna l’incarico al 75enne Michel Barnier, esponente gradito alle banche ma non agli elettori, dato che appartiene al partito meno votato del Paese. Macron pone quindi la volontà degli elettori diversi piani sotto a quella dell’establishment politico, militare e finanziario che lo ha messo all’Eliseo, ignorando il voto e la composizione del Parlamento, con ciò dichiarando superata la democrazia della cui genesi e affidabilità Parigi si vanta da sempre.

Non si tratta di bonapartismo d’accatto o della riedizione del gaullista “lo Stato sono io”: i tratti di Macron sono riscontrabili semmai in Luigi XVI. Il bilancio della sua presidenza è devastante per la Francia, ma resta il peluche della Banca Rothschild, da dove viene e dove tornerà. Le banche sostituiscono la politica e Macron esprime compiutamente il teorema e i danni che esso produce.

La democrazia occidentale regna anche in Ucraina, dove Zelensky, il cui mandato presidenziale è scaduto da diversi mesi, che sfascia e ricompone il governo a suo esclusivo interesse, ha deciso che le elezioni non si terranno. Non perché in guerra sia difficile votare (la Russia lo ha fatto ordinatamente) ma perché sa che le perderebbe clamorosamente. Dopo aver cancellato partiti, sindacati e media, ha proibito anche la professione religiosa cristiano ortodossa a cui partecipano circa i due terzi del Paese. Niente da dire se sei dalla parte dell’Occidente: proibire la libertà di pensiero, di espressione, di organizzazione e di culto è consentito e il nazista di Kiev viene ancora celebrato some icona della democrazia. Mai le insegne naziste hanno trovato braccia più adatte.

Macron e Zelensky, notoriamente legatissimi, hanno in comune un disprezzo fiero per le regole democratiche, m questo non riduce l’incondizionato sostegno dell’Occidente Collettivo, che chiede di osservare immaginifiche regole non scritte ma poi disapplica quelle reali e scritte.

Qui, come in altri snodi, si svela l’idea profonda che l’impero unipolare ha della democrazia: la stessa che ha degli affari, della libertà e dei diritti umani. Ovvero che sono concetti a valore variabile, perchè valgono per alcuni e non per altri.

Viene meno la “superiorità morale” che l’Occidente si autoassegna. Ucraina e Gaza esprimono alla perfezione l’asimmetria politica nel conteggio dei torti e delle violazioni, la loro portata relativa ed assoluta, il loro impatto locale e generale. Mostrano la contabilità truccata che libera i suoi interessi e imprigiona gli altrui diritti. Ormai la democrazia risulta scomoda proprio per chi dice di averla inventata. Sequestri di beni, di conti, di aerei, di persone e di democrazie ricordano come sulla tolda vi siano pirati e non uomini di Stato.

Alla fine, tanta doppiezza e tanta ipocrisia diventano la cifra estetica ed etica del comando imperiale unipolare e generano altrettanto rifiuto. Ciò crea una progressiva perdita di peso politico che tentano di fermare con operazioni che vanno dai furti ai colpi di Stato, dalle aggressioni al genocidio. Questa è la riva melmosa sulla quale fa argine un modello ormai condannato alla sua totale riformabilità o alla sua scomparsa.

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