Il suo caso è uno dei più grandi simboli di repressione della lotta per i diritti dei nativi nordamericani degli anni Settanta, sfociata in uno scandalo giudiziario. Leonard Peltier nasce a Grand Forks, nel Dakota del Nord, il 12 settembre 1944. E’ figlio di Leo Peltier, di origini per un quarto francesi e per tre quarti Chippewa, e di Alvina Robideau, di origini per metà Chippewa e per metà Lakota, e cresce in una famiglia di 13 fratelli e sorelle, nella “Anishinabe (Chippewa) Turtle Mountain Indian Reservation”. Il giovane Leonard Peltier diventa ben presto un attivista per i diritti dei nativi nordamericani ed entra nell’American Indian Movement (AIM), fondato nel luglio 1968 a Minneapolis, nel Minnesota, al fine di salvaguardare la sovranità degli Indiani d'America, la loro cultura e spiritualità, ma che in seguito diventa un movimento che denuncia i numerosi episodi di molestie della polizia e di razzismo contro i nativi americani costretti ad abbandonare la loro cultura ancestrale.

 

Tutto ebbe inizio il 26 giugno 1975, a Pine Ridge, territorio degli Oglala Lakota, una delle riserve indiane più grandi e povere degli Stati Uniti. Erano tempi di forti tensioni sociali e scontri, dove avvenivano continue aggressioni alle comunità indigene, soprattutto da parte dei Goons, cioè le bande armate formate da nativi stessi assoldati dal governo statunitense per reprimere le lotte di rivendicazione dell’AIM. Quel giorno, senza alcun preavviso, irruppe nella riserva un’automobile priva di targa con due uomini a bordo, che diedero inizio a un conflitto armato. In seguito si scoprirà che erano due agenti dell’Fbi che stavano ricercando un indiano che aveva rubato un paio di stivali.

Nel giro di pochi minuti, arrivarono sul posto centinaia di altri agenti e la sparatoria che ne seguì lasciò a terra i due agenti, vittime della loro stessa provocazione, oltre ad un nativo. Su cui naturalmente nessuno si prese la briga di indagare, come avveniva regolarmente anche per la gran quantità di indigeni uccisi in quegli anni. Tra il 1973 e il 1975, infatti, ben sessantaquattro residenti di Pine Ridge erano stati impunemente assassinati con armi da fuoco, ma per i due agenti morti invece qualcuno doveva pagare. In quanto attivista dell’Aim, l’allora trentunenne Leonard Peltier divenne il capro espiatorio perfetto.

L’arresto di Peltier avvenne in Canada, il 6 febbraio successivo agli scontri di Pine Ridge, ma l’estradizione fu ottenuta con prove fasulle e falsate a tal punto che il governo canadese protestò formalmente per il modo truffaldino in cui era stata ottenuta l’estradizione.

Eppure il destino di Peltier era già stato segnato. Il processo fu una farsa che ricalcò un copione già scritto, con prove inesistenti o costruite e testimonianze ritrattate. La giuria che condannò Peltier era formata da soli bianchi in una città, Fargo, storicamente anti-indigena e il processo venne presieduto da un giudice noto per il suo razzismo e tra le diverse contraddizioni dell’accusa si può annoverare

Dopo cinque anni, accurati esami balistici riuscirono a provare che i proiettili che uccisero i due agenti non appartenevano all'arma di Leonard, e molti dei testimoni che lo accusarono ritirarono le loro dichiarazioni, confessando di essere stati minacciati dall'FBI.

Nel 1976 Peltier fu condannato a due ergastoli, dopo un processo segnato da razzismo anti-indigeno, discriminazione e pregiudizio, dove venne accusato dell’omicidio dei due agenti dell’Fbi, Ronald A. Williams e Jack R. Coler.

Centinaia di singoli cittadini, associazioni e comitati in tutto il mondo hanno sostenuto per decenni la causa di Peltier, raccogliendo milioni di firme e sottoscrivendo decine e decine di appelli. Si sono occupate del suo caso anche personalità come Nelson Mandela, Fidel Castro, Desmond Tutu, il XIV Dalai Lama, Rigoberta Menchù Tum, Howard Zinn, artisti come Robert de Niro, Robert Redford, Robbie Robertson, Bruce Springsteen, Pete Seeger, Little Stevens, Harry Belafonte, Carlos Santana, Oliver Stone, associazioni internazionali come Amnesty International, agenzie stampa internazionali come Pressenza ed anche personalità della cultura e dell’attivismo italiani come Luisa Morgantini, Moni Ovadia, Padre Alex Zanotelli, Naila Clerici (docente di Storia delle Popolazioni Indigene d’America presso l’Università di Genova), nonché l’ex presidente del Parlamento Europeo David Sassoli, il quale il 23 agosto 2021 aveva annunciato pubblicamente con un video e con un tweet al Presidente degli Stati Uniti la richiesta della grazia per il prigioniero Lakota.

La richiesta di libertà vigilata per Peltier era stata già respinta nel 2009 e, a seguito di un’udienza iniziata il 10 giugno 2024, la Commissione Federale Statunitense per la Libertà Vigilata ha respinto nuovamente la richiesta presentata dal leader indigeno che, con ogni probabilità a causa della sua età, era l’ultima possibilità di non finire i suoi giorni in carcere da innocente.

Dopo le mancate grazie dei Presidenti democratici Bill Clinton e Barack Obama, nel 2021 a chiedere la grazia per Peltier è stato James H. Reynolds, lo stesso procuratore capo nel caso Peltier ed ex procuratore degli Stati Uniti, il quale ha scritto a Biden dicendo: “Scrivo oggi da una posizione inconsueta per un ex pubblico ministero, per supplicarvi di commutare la pena di un uomo che ho contribuito a mettere dietro le sbarre. Con il tempo e col senno di poi, mi sono reso conto che il procedimento giudiziario e la lunga incarcerazione del signor Peltier erano e sono ingiusti.”

Oggi tocca a Biden prendere una decisione in merito alla clemenza per Leonard Peltier, perché troppa ingiustizia è stata commessa su quest’uomo per la colpa di essere un attivista per i diritti della sua gente e di essere un nativo nordamericano che difendeva la sua terra dall’estrattivismo dell’opulenza occidentale. Con la prigionia politica di Peltier, durata ad oggi quasi 49 anni, gli USA hanno gettato carichi di accuse e condanne sulla resistenza indigena al solo scopo di domarla ed oggi hanno il dovere politico di dare un segnale in controtendenza prendendosi le proprie responsabilità.

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