La pesantissima lezione impartita nel fine settimana dagli elettori francesi e tedeschi rispettivamente al presidente Macron e al cancelliere Scholz sono la diretta e inevitabile conseguenza delle politiche impopolari e, a tratti, oggettivamente suicide dei governi di Parigi e Berlino soprattutto negli ultimi due anni. I risultati delle europee nei due paesi di maggior peso dell’Unione riflettono la tendenza generale emersa da una quattro giorni di voto segnata, oltre che dall’astensionismo, dall’avanzamento dell’estrema destra populista e dalla flessione dei partiti moderati e, in particolare, dei Verdi.

Ci sono pochi dubbi che il messaggio uscito dalle urne sia di profonda sfiducia nei confronti di governi nazionali e istituzioni europee, percepite sempre più come espressione degli interessi dei poteri forti e impegnate in una vera e propria guerra contro lavoratori, classe media e piccole imprese. Anche dove i partiti di governo sono stati apparentemente premiati, come in Italia, la bassissima affluenza ha comunque confermato lo scarso entusiasmo complessivo. Sempre in Italia, i votanti sono scesi ad esempio sotto il 50% per la prima volta in una consultazione europea, ma i numeri sarebbero stati ancora più bassi se in concomitanza non si fossero tenute le amministrative.

 

La competizione di cui si è discusso maggiormente è senza dubbio quella francese. La misera prestazione del finto partito di Macron suggella un declino dell’ex banchiere Rothschild che era in pratica iniziato già pochi mesi dopo il suo primo ingresso all’Eliseo. “Renaissance” è stato doppiato e umiliato dall’ultra destra di Marine Le Pen e dell’astro nascente dei post-fascisti, Jordan Bardella. Il successore del Fronte Nazionale – ora “Rassemblement National” – ha sfondato quota 31%, costringendo l’inquilino dell’Eliso a optare per una mossa disperata.

Macron ha infatti subito sciolto il parlamento francese, verosimilmente per cercare di uscire dalla crisi con un giochetto ben consolidato. Dopo avere perseguito politiche economicamente rovinose, anti-sociali, xenofobe e guerrafondaie, il presidente intende cioè rilanciare l’appello “repubblicano” e la crociata democratica per convincere gli elettori d’oltralpe a costruire l’ennesimo argine contro l’estrema destra.

Una tattica che gli aveva permesso di ottenere un secondo mandato nella primavera del 2022, quando aveva però perso la maggioranza in parlamento, ma che non è detto funzioni anche in questa occasione. Il 30 giugno e il 7 luglio la sentenza toccherà ai francesi, anche se la posizione di Macron da qui alla fine del suo mandato molto difficilmente risulterà più solida di quella attuale. La responsabilità politica dell’avanzata della destra radicale è comunque tutta di “leader” come Macron e Scholz.

In Germania, il cancelliere socialdemocratico e il suo governo della coalizione “semaforo” hanno di fatto avallato il piano di distruzione dell’economia tedesca progettato a Washington. Il taglio delle relazioni con la Russia, a cominciare dal settore delle forniture energetiche, l’impulso folle al militarismo e la promozione di politiche ambientali estreme hanno fatto crollare i consensi dell’attuale maggioranza federale.

La SPD ha incassato alla fine il peggior risultato in decenni (13,9%), facendo anche peggio delle già disastrose europee del 2019 (15,8%). Un flop ancora più grande è stato quello della componente più ferocemente atlantista e russofoba della coalizione, ovvero i Verdi, letteralmente crollati dal 20,5% di cinque anni fa a circa il 12%. I tre partiti al potere a Berlino arrivano complessivamente a malapena ad eguagliare il risultato di CDU e CSU, attestati attorno al 30% e ora favoriti per tornare al potere a livello federale nel 2025.

Anche in Germania l’estrema destra ha messo le ali, non tanto per la popolarità del messaggio quanto per il discredito del quadro politico tradizionale e perché in grado, almeno in parte, di sfruttare la richiesta di fermare la deriva verso la guerra con Mosca e il processo di de-industrializzazione e impoverimento di massa in corso. L’Alternativa per la Germania (AfD) è il secondo partito tedesco con il 15,9% dei voti e occuperà 15 seggi nel nuovo parlamento europeo.

Tra le poche note positive del fine settimana, sempre in Germania ha superato agevolmente la soglia di sbarramento il movimento recentemente fondato dall’ex leader del partito della Sinistra, Sahra Wagenknecht. L’Alleanza che porta il nome di quest’ultima (BSW) ha ottenuto poco più del 6% (6 seggi) grazie a un programma incentrato sulla de-escalation dello scontro con la Russia e il ritorno a politiche economiche progressiste.

Per quanto riguarda ancora Macron e la Francia, lunedì la decisione del presidente di indire elezioni anticipate, oltretutto a ridosso delle Olimpiadi di Parigi, ha provocato un coro di critiche e di avvertimenti. Molti anche tra gli alleati dell’Eliseo si sono lamentati dei tempi ristretti per organizzare una campagna elettorale. Altri invece temono seriamente un successo bis dell’ex Fronte Nazionale e un governo in coabitazione guidato dal partito di estrema destra.

Ci sono infatti forti preoccupazioni che la strategia macroniana sia destinata questa volta a fallire. Il presidente è d’altra parte ormai totalmente screditato sul fronte domestico, oltre che lontano anni luce dalla stragrande maggioranza dei francesi. Basti pensare all’insistenza negli ultimi mesi sull’assurdo piano di inviare militari francesi in Ucraina come istruttori militari o, addirittura, per combattere contro la Russia, nonostante la crescente attitudine pacifista degli elettori.

Ciò che resta da verificare, a livello europeo, è quanto l’avanzata dei partiti populisti potrà eventualmente incidere sugli orientamenti di politica estera ed economica di Bruxelles. Il gruppo rappresentato dal Partito Popolare Europeo conserva la maggioranza relativa e la strada verso un secondo mandato alla guida della Commissione da parte dell’ultra impopolare e inetta Ursula von der Leyen resta percorribile. Le prospettive di cambiamento sono perciò quanto meno improbabili, né d’altra parte vi erano particolari aspettative per un’istituzione che di democratico ha ben poco.

La presidente della Commissione Europea ha a sua volta alimentato il pericolo degli estremismi – di destra ma anche di sinistra – lanciando un appello a socialdemocratici e liberali per costruire un “bastione” contro questi ultimi. Un discorso che ha ricalcato in sostanza quello di Macron che, dopo la clamorosa sconfitta di domenica, si ritroverà con poche carte in mano per scardinare gli equilibri politici a Bruxelles. Fonti francesi hanno già fatto sapere infatti che il presidente si appresta a dare il proprio appoggio formale alla von der Leyen per la più importante carica esecutiva dell’Europa.

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