Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i manifestanti hanno ottenuto l’appoggio dei docenti, i quali hanno sospeso le lezioni per protestare a loro volta contro l’arresto di oltre cento studenti nei giorni scorsi. Esponenti del Partito Democratico e di quello Repubblicano, così come il presidente Biden, hanno denunciato la mobilitazione, rispolverando le solite accuse di antisemitismo e a minacciando l’invio della Guardia Nazionale nelle università per soffocare le dimostrazioni contro la barbarie sionista.

 

La durissima risposta delle autorità ha fatto scattare una serie di manifestazioni in altri istituti americani in solidarietà con gli studenti della Columbia. A Yale, nel Connecticut, in centinaia hanno organizzato un accampamento con una ventina di tende installate nel campus universitario. Qui come alla Columbia, studenti e insegnanti chiedono ai vertici delle università di rendere pubblici gli investimenti detenuti nelle compagnie produttrici di armi, che vengono fornite alle forze armate israeliane, e di ritirarli con effetto immediato. Anche a Yale, la polizia ha effettuato poco meno di cinquanta arresti nella giornata di lunedì.

La repressione ha avuto per ora l’effetto contrario. I fatti della Columbia e Yale hanno scatenato proteste innanzitutto in un altro campus privato newyorchese, quello della New York University (NYU), ma anche, tra le altre, nelle più importanti università dell’area di Boston, come MIT e Tufts. Accampamenti simili a quello della Columbia sono sorti poi all’Università del Maryland e del Michigan, così come a Berkeley e in altri istituti della California. Martedì mattina altri arresti si sono registrati all’università del Minnesota, sempre dopo che un gruppo di studenti si era accampato per esprimere solidarietà al popolo palestinese.

Le proteste nelle università americane contro i massacri deliberati condotti da Israele nella striscia di Gaza segnano il ritorno della mobilitazione studentesca a un livello che non si osservava da tempo ed essa è il riflesso della crescente opposizione negli Stati Uniti e in tutto il mondo al genocidio palestinese. Una realtà che si scontra frontalmente con l’attitudine della classe politica occidentale, schierata a fianco del regime di Netanyahu o, tutt’al più, impegnata nel cercare di limitare le tensioni esprimendo debolissime critiche nei confronti di Tel Aviv.

Il senso di una situazione che rischia di diventare fuori controllo ha determinato un attacco coordinato contro le proteste in corso nelle università americane. Il caso della Columbia è emblematico per l’allineamento perfetto tra i repubblicani, specialmente quelli dell’estrema destra del partito, i democratici e le forze di polizia. Lunedì, Biden ha condannato pubblicamente le proteste in corso, a suo dire di natura “antisemita”. Le stesse assurde parole le hanno usate anche il sindaco democratico di New York, Eric Adams, e la governatrice dello stato, Katie Hochul, anch’essa democratica. Quest’ultima si è poi lanciata in un’operazione di falsificazione della realtà, caratterizzando le proteste contro il genocidio palestinese come una sorta di persecuzione su base religiosa, nonostante buona parte di studenti e insegnanti in mobilitazione siano appunto ebrei.

L’offensiva contro le manifestazioni a favore della Palestina non ha risparmiato nemmeno la presidente della Columbia University, Minouche Shafik. Alcuni politici ne hanno chiesto le dimissioni, in sostanza per non avere usato metodi ancora più brutali contro le proteste. Era stata infatti la stessa Shafik a richiedere settimana scorsa l’intervento della polizia di New York sul campus, poi sfociato nell’arresto di un centinaio di studenti. Altri ancora sono stati sospesi per decisione dei vertici dell’università.

Soprattutto tra i politici repubblicani circola invece la proposta di fare intervenire contro le proteste nelle università la Guardia Nazionale, cioè di fatto le forze armate americane. Una soluzione strema invocata ad esempio dai senatori trumpiani di ultra-destra Tom Cotton e Josh Hawley, ma anche dall’organizzazione sionista americana di destra Anti-Defamation League.

Il ricorso all’accusa di anti-semitismo è una pratica consolidata per la galassia sionista e i loro sostenitori quando a essere denunciate sono in realtà le politiche criminali del governo israeliano. Anche in presenza di un genocidio, documentato oggettivamente e di fatto riconosciuto dalla Corte Internazionale di Giustizia, qualsiasi presa di posizione a favore del popolo palestinese viene così manipolata per giustificare le atrocità commesse, senza riguardo nemmeno per il fatto che, come nel caso delle manifestazioni in corso nelle università americane, a protestare siano molti esponenti della stessa comunità ebraica.

In questo modo, i crimini di Israele e la complicità di tutto l’apparato di governo americano vengono drasticamente sminuiti e passano in secondo piano nel dibattito pubblico, mentre il problema principale, su cui tutta classe politica, la società civile e, soprattutto, le forze di sicurezza e la macchina della giustizia devono concentrare i loro sforzi, diventa l’inesistente epidemia di antisemitismo che pervaderebbe la società.

I metodi repressivi utilizzati finora non sembrano comunque avere prodotto risultati. Anzi, come spiegato all’inizio, le proteste sembrano diffondersi rapidamente nei campus americani. Sempre alla Columbia, chiaramente per il timore che dilaghi la mobilitazione contro il genocidio e le stesse grandi università che traggono profitto dagli armamenti forniti a Israele, i vertici dell’istituto hanno ordinato il passaggio alle lezioni on-line almeno fino alla fine del mese di aprile. Agli studenti che non alloggiano nel campus, invece, è stato fortemente consigliato di restare presso i loro luoghi di residenza.

Mentre la classe politica americana si sta scagliando contro studenti e docenti mobilitatisi a favore della causa palestinese, il bilancio ufficiale delle vittime a Gaza – con ogni probabilità fortemente sottostimato – ha superato quota 34 mila, gran parte delle quali donne e bambini. Il regime di Netanyahu, con l’appoggio più o meno tacito dell’amministrazione Biden, continua inoltre a preparare un’invasione di terra nella località di Rafah, dove oltre un milione di profughi palestinesi trova da mesi qualche sollievo alla devastazione causata nella striscia.

Il Congresso di Washington si prepara infine a ratificare un nuovo pacchetto di “aiuti” militari per la macchina da guerra di Israele, pari a oltre 26 miliardi di dollari. Dopo un lungo stallo, nel fine settimana la Camera dei Rappresentanti ha approvato il provvedimento, che include anche quasi 61 miliardi per l’Ucraina e 8 per Taiwan.

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