Il prossimo 21 aprile si svolgeranno le elezioni amministrative nei Paesi Baschi. Ovvero, il rinnovamento del Parlamento Autonomo, incluso il Lehendakari - Governatore che lo presidierà e i 75 deputati che lo integreranno. Il numero delle persone aventi diritto al voto è di circa 1.800.000, tra le province di Vizcaya Guipúzcoa e Álava. Il bacino elettorale più grande è quello biscaglino comprendente Bilbao, mentre la sede del Parlamento si trova a Vitoria-Gasteiz, capitale dell’Álava.

 

Le elezioni regionali in Spagna, come d’altronde in qualsiasi altro paese, non sono mai una questione banale. Men che meno quelle in Euskadi. Si inseriscono in una stagione particolarmente densa di ricorso alle urne, iniziata con l’appuntamento in Galizia del 18 febbraio e che continuerà, dopo la prossima domenica, con il 12 maggio in Catalogna e il 9 giugno a Bruxelles.

Che lo si voglia o meno, sono test molto significativi per comprendere non solo l’orientamento del corpo elettorale, ma anche e soprattutto per verificare le condizioni in cui versa il tessuto sociale di riferimento. Nel caso specifico del Paese Basco, in un contesto nazionale già ampiamente intossicato dallo scontro tra governo e opposizione, sembrava impossibile non comparisse ETA, il convitato di pietra di questa campagna elettorale. In effetti, non ha tardato molto a entrare in scena.

Si è trattato piuttosto di una violenta irruzione, “grazie” a una intervista rilasciata alla stazione radio Cadena SER dal candidato di EH Bildu, la formazione che riunisce partiti associazioni e organizzazioni della sinistra basca. Alla precisa domanda del giornalista, se ritenesse ETA una banda terrorista, Pello Otxandiano non ha replicato con un immediato e inequivocabile “Sì” ma ha optato per una risposta meditata e analitica, non prima di definire ETA una “organizzazione armata”. O almeno se terrorista, lo è al pari dei Gal, il corpo paramilitare formato addestrato e finanziato dallo stato spagnolo. Una pagina nera della storia e delle istituzioni spagnole che non è neanche più un tabù.

Apriti cielo, a Bilbao come a Madrid. Finora, lo spinoso tema del “terrorismo” non era neanche affiorato negli atti elettorali e nelle dichiarazioni dei candidati e degli staff che li sostengono, come neppure durante il civilissimo confronto nella televisione pubblica svoltosi la settimana passata. Forse per effetto di una tacita pax o sovrastato dagli impressionanti festeggiamenti in onore dell’Athletic Bilbao, dopo la sospirata conquista della Copa del Rey. Di fatto, le parole di Otxandiano, ritenute quasi all’unanimità (e per questo almeno minimamente sospettosa) insufficienti e irrispettose, hanno probabilmente segnato un prima e un dopo nella campagna elettorale. Non si può dire, però, quanto realmente influiranno sulle intenzioni di voto e ancor di più sul suo esito.

Vale la pena soffermarsi su un paio di punti nella spedita marcia di avvicinamento all’apertura dei seggi. Uno riguarda i famigerati sondaggi, che vedono sorprendentemente EH Bildu contendere il podio al PNV, il Partito Nazionalista Basco, eterno detentore della maggioranza. Più indietro il Partito Socialista (PSE) e Sumar, la formazione di Yolanda Diaz, Ministra del Lavoro e Vicepresidenta del Governo Sanchez, nonché “esule” di Podemos.

O di ciò che rimane di Podemos. Il partito di Pablo Iglesias e Ione Belarra, sembra infatti destinato a un cupio dissolvi politico, con una massiccia e irreversibile migrazione di voti verso Sumar a livello nazionale e verso EH Bildu a livello locale. Che poi “locale” non lo è affatto.

Ad ogni modo, venissero rispettati il 22 aprile i dati dei rilevamenti di oggi, si profilerebbe un governo a trazione PNV - PSE, costituito ad hoc per arginare l’avanzata della sinistra abertzale – indipendentista. Una delle tante contraddizioni che costellano il sistema politico spagnolo, sebbene anche in questo caso non sia una loro esclusiva; Bildu, al pari di altri partiti indipendentisti catalani come ERC (Sinistra Republicana) e Junts (il centrodestra di Puigdemont), ha sostenuto dall’esterno il PSOE nella formazione del governo dopo le elezioni del 23 luglio dell’anno passato, aggregatisi a loro volta per scongiurare una maggioranza Partido Popular-Vox. Nelle competizioni delle comunità autonome si ritrovano dunque avversari e spesso con toni aspri, con pesanti accuse vicendevoli fino a un vero e proprio scambio di insulti, nel solco di ogni democrazia occidentale che si rispetti. La risposta, o non-risposta, a seconda della prospettiva con cui la si consideri, fornita dal candidato di EH Bildu sulla complicata materia del terrorismo/lotta armata/ETA ha scoperchiato un gigantesco vaso di Pandora.

Sulle “scandalose” considerazioni di Pello Otxandiano si sono famelicamente avventati gli altri candidati, a eccezione di Podemos, a cui va riconosciuto che con le poche risorse disponibili sta comunque cercando di resistere alla inevitabile e ipocrita ondata di condanna e stigmatizzazione. Si sa che sfumature, approfondimenti e onestà intellettuale sono poco compatibili con la retorica elettorale, e che la Memoria è fragile e inadatta al marketing politico.

Tutti, indistintamente, dallo stato maggiore del PNV alla oscena candidata di Vox, rivendicano i propri trascorsi e ricordano gli orrori della “banda terrorista”, dimenticando che molti e molte delle militanti di EH Bildu hanno combattuto “da dentro” ETA e più di qualcuno lo ha pagato con il carcere. D’altro canto, la Memoria ha ancora un peso nella cittadinanza e nelle (difficili, quando non disattese) decisioni che periodicamente è tenuta a prendere?

Da un lato, e questo è l’altro aspetto interessante, sembrerebbe di sì, anche a giudicare dall’enorme aumento dei consensi, rispetto a meno di dieci anni fa, della coalizione izquierdista e ancora tenacemente indipendentista fondata nel 2012 con la fusione di gruppi storici come Sortu ed Eusko Alkartasuna. Una Memoria che si potrebbe definire originale, rinverdita, al passo con i tempi, giacché la percentuale giovanile è fuor di dubbio molto consistente. E se non sarà l’ago della bilancia nel momento dello scrutinio, di sicuro dirà la sua in una contesa che non lesina i tipici tradizionali colpi bassi ed evoca catastrofici scenari novecenteschi. “ETA, sigla di Euskadi Ta Askatasuna (Nazione Basca E Libertà), formazione politico-militare nata nel 1959 da una scissione del Partito Nazionalista Vasco”, ipse dixit Enciclopedia Treccani per evitare interpretazioni ingannevoli e strumentali, ha deposto le armi nel 2011 e nel 2018 ha ufficialmente comunicato il proprio scioglimento. Non esiste più l’ETA da sei anni e da più di una decade non scorre sangue in nome dell’indipendentismo basco.

Come per altre simili esperienze in diversi angoli del mondo, sottoposti a crudeli dittature militari o a regimi repressivi mascherati da democrazia, la Storia avrà il compito di stabilire da dove provenga e a chi sia diretto il “terrore”. Senza fare sconti a niente e a nessuno, aprendo gli archivi segreti dello Stato e abbattendo la cortina dei misteri. La Politica, qualora esistesse con la maiuscola, dovrebbe dare sostegno a un simile percorso, fuori dalla facile, e meschina, retorica della vittoria del Bene sulle forze del male. Uno sforzo comune che rafforzi la Giustizia e non alimenti la vendetta. Che rispetti le vittime, qualsiasi parte le piangano. Assistiamo invece troppo spesso, e in forma passiva, al simulacro di una democrazia in declino; a una sua rappresentazione secondo i canoni e le convenienze della classe dominante. O peggio, alla sua degenerazione nella dimensione falsamente moderna della post-verità e del revisionismo storico.

Nel territorio colonizzato del digitale dove si fabbricano rassicuranti comfort zone al riparo delle continue sfide che lancia la realtà. Vent’anni fa, in un passaggio storico incomparabilmente più drammatico, l’allora presidente spagnolo José Maria Aznar, del Partido Popular, accusò ETA del tragico attentato ad Atocha. Per puro calcolo elettorale. Una menzogna che pagò a caro prezzo qualche giorno dopo, uscendo sconfitto dalle urne a vantaggio di José Luis Zapatero, del PSOE. La Storia continua a presentarsi come tragedia e poi come farsa, ed è sempre magistra vitae.

      

 

 

 

 

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