La paternità dell’assalto terroristico a Mosca è ancora da assegnare. Il presidente Putin si è rivolto alla nazione (e all’Occidente) assicurando che la Russia saprà scoprire e punire i responsabili senza nessun riguardo. L’attentato appare a tutti gli effetti una risposta destabilizzatrice alla vittoria politica delle elezioni della settimana scorsa, e proprio per questo mette nel mirino i peggiori nemici di Mosca, com’è ovvio che sia.

 

Gli Stati Uniti sono gli unici che sin dal primo momento successivo all’attentato si sono detti certi della responsabilità dell’Isis ma davvero non si capisce sulla base di quali certezze.

Mosca però ha proceduto a 14 arresti - dei quali 4 autori diretti dell’azione terroristica - che non sembrano confortare la tesi statunitense. Uno, di nazionalità tagika, avrebbe già iniziato a confessare ammettendo di essere stato reclutato con denaro per compiere il massacro ed avrebbero riferito di reclutamento, importi ricevuti e modalità operative simili, confermando come si ignorassero gli uni con gli altri. I racconti degli arrestati che vengono fatti filtrare dal Cremlino, e che indicano in mercenari sconosciuti tra loro gli autori, confermerebbero quindi l’inconsistenza della pista Isis.

Ma l’Isis c’è ancora? E quali sono le sue fazioni? E dispongono della forza militare necessaria ad una simile operazione? Qualcuno, evidentemente informatissimo, si spinge nel dettaglio scrivendo che gli autori sarebbero dell’Isis-Khorasan, attivo nel Caucaso. Ma le scorie rimanenti dell’Isis contano sui propri militanti e non su mercenari che, sconfitto in Siria e senza il denaro di Ryad non saprebbe nemmeno come pagare.

Conviene chiedersi perché gli USA hanno indicato con tanta certezza nell’Isis gli autori della barbarie. Diciamo intanto che questa dinamica per la quale gli USA precedono lo stesso Isis nelle sue rivendicazioni lascia come minimo riflettere sull’autenticità delle stesse. Qualcosa - e forse più di qualcosa - stona nel racconto della CIA. L’Isis puntualmente appare quando va rivendicato ciò che nessuno può avere interesse a rivendicare.

Nel caso odierno la rivendicazione è stata minima, senza l’abituale ausilio di video e di capi inneggianti, mentre qualunque fazione del Califfato per diversi motivi avrebbe tutto l’interesse ad ingigantire siffatte prove di forza nel cuore dei suoi nemici. In ragione di ciò, anche se non fossero stati loro, in presenza di un simile regalo di orrore ma dall’evidente tornaconto propagandistico, non avrebbero avuto interesse a smentire per evidenti ragioni politiche e di propaganda. Li avrebbe accreditato infatti di efficienza militare, visto che sarebbero in grado di colpire i due peggiori nemici contro i quali hanno combattuto in Siria, ovvero Russia e Iran.

L’Isis torna comodo ad ogni passaggio della guerra contro la Russia e l’Iran. Il terrorismo senza colpevoli, figlio di una sigla ormai di fatto scomparsa dopo la sconfitta in Siria, disarticolatasi in diverse fazioni, identificabili con le diverse aree geografiche dal Caucaso all’Afghanistan al Pakistan, è già sorto all’attenzione del mainstream mondiale con l’attentato di Kherman, in Iran, nel 2023, anch’esso non privo di dubbi nella rivendicazione. In comune, sotto il profilo operativo, i due attentati hanno l’esecuzione a cura di un piccolo numero di assassini vestiti in uniformi militari che irrompono ed aprono il fuoco su chiunque gli capiti a tiro. Anche in quel caso, gli USA si dissero certi della responsabilità dell’Isis, nonostante il ritardo della rivendicazione e il fatto che non venne confermata dalle indagini.

In realtà, dietro questa sigla che, come nel caso dell’attentato in Iran, presenta modalità di rivendicazione molto diverse e di molto minor impatto di quelle storiche dell’Isis, c’è da dubitare sia della sua effettiva esistenza che della capacità di effettuare le operazioni terroristiche in terra straniera e, nello specifico, in due paesi che nel controllo del territorio non hanno nulla da imparare.

 

I sospetti sull’Ucraina

Le modalità di fuga dei terroristi poi arrestati non hanno certo fatto intravvedere l’idea del martirio sunnita, anzi. Ma è chiaro che senza disporre di velivoli, percorrere gli 841 chilometri necessari per raggiungere il confine con l’Ucraina è impresa difficilissima se non si hanno facilitazioni logistiche nel percorso, e passarlo indenni diventa impossibile se non viene aperta una finestra che favorisca l’esfiltrazione, come ha denunciato Putin.

L’Ucraina, ovviamente, rifiuta qualunque assunzione di responsabilità. Non può e non vuole far altro, dato che le ripercussioni che ne verrebbero sia da parte dei russi che dai suoi stessi alleati occidentali sarebbero disastrose per Kiev. Le reazioni russe chiuderebbero la fase dell’operazione militare speciale che prevede di non colpire obiettivi politici, in persone e strutture nella capitale. L’Occidente vedrebbe difficile il proseguire con gli aiuti ad un governo che si macchia di un simile terrore e le rispettive opinioni pubbliche europee e statunitensi, già stanche di un appoggio costoso quanto inutile ad un regime cleptomane, obbligherebbero ad una marcia indietro nel sostegno politico, militare e finanziario, almeno pubblicamente.

Ovviamente gli Usa sono corsi a ribadire l’estraneità di Kiev, col chiaro intento di tutelare quel che resta del governo ucraino e i suoi interessi, ma nonostante il controllo di CIA e Pentagono sulle strutture militari e paramilitari ucraine, così come sulle organizzazioni dei mercenari NATO e di compagnie private da essa contrattate, non può certo garantire oltre ogni ragionevole dubbio l’estraneità ucraina. Del resto, prendendo in esame i precedenti, si può facilmente riscontrare come Kiev non abbia mai rivendicato le sue azioni terroristiche in Russia, esibendo sempre identico sdegno verso le accuse russe. Peccato che poi, dopo diversi mesi, le indagini abbiano dato ragione a Mosca.

Fu così con Denis Kireyev, il negoziatore ucraino assassinato. Kiev diede la colpa ai russi ma a fine 2022 le indagini pubblicate dalla stampa occidentale indicarono in Kiev la responsabilità. Poi l’esplosione del ponte di Kearch in Crimea, nell’Ottobre del 2022. I russi accusarono direttamente il capo dell’intelligence ucraina, Kirill Budanov, di esserne l’organizzatore. Kiev si disse estranea ma nei mesi successivi, in seguito anche alla pubblicazione di alcuni leak di intelligence, la responsabilità dei servizi segreti ucraini nell’attacco si delineò chiaramente. E ancora il secondo attacco allo stesso ponte nel Luglio del 2023, stesso copione con Kiev che nega ma poi è costretta a tacere. Per non parlare del gasdotto, fatto saltare dalla NATO che incolpò i russi.

Quindi il terrorismo a Mosca. Il 20 agosto del 2022 viene collocato esplosivo sotto la macchina di Daria Duguina, giornalista e colpevole di essere figlia di Alexander Duguin, ideologo nazionalista russo, presumibilmente obiettivo dei terroristi. Mosca accusa i servizi ucraini e Kiev smentisce indignata; addirittura parla di frange interne al FSB. Ma due mesi dopo il New York Times riporta voci di alto livello dei servizi statunitensi che si dicono certi della responsabilità ucraina, specificando che se fossero stati previamente consultati avrebbero tentato di fermare l’operazione.

Gli USA sanno perfettamente come operano i servizi ucraini perché li dirigono insieme agli inglesi ed è fortemente dubbio che vi possano essere azioni senza il consenso di Langley o del MI-6. La tattica di Kiev è usare il terrorismo e negare di farlo. Ma le strade dell’attentato portano a Kiev e la rivendicazione posticcia dell’Isis serve a non alienare il consenso degli europei adesso che la guerra è entrata nella fase più dura, che trasformerà la dimensione dell’operazione militare speciale in guerra, con tutto ciò che questo comporta nell’utilizzo della forza.

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