Con una debordante vittoria elettorale di Vladimir Putin, si è conclusa la consultazione elettorale russa. Le operazioni di voto sono durate tre giorni, necessari per coprire il Paese più grande del mondo: un territorio immenso di oltre 17 milioni di chilometri quadrati, 11 fusi orari diversi e 112 milioni di elettori su 146 milioni di abitanti. Il dato che balza immediatamente all’attenzione è quello relativo alla partecipazione: un record storico, con il 77% degli elettori che ha votato, mentre in Occidente, mediamente, non si arriva al 50%. Dopo l’annunciato crollo dell’economia e la certa sconfitta militare in Ucraina, l’elenco dei desideri frustrati dell’Occidente si allarga.

La partecipazione al voto era infatti uno dei test che il mainstream atlantista e russofobo assegnava alla credibilità ed affidabilità del processo elettorale e la sua percentuale ha dimostrato come i russi non siano affatto intimiditi dalle campagne mediatiche occidentali, che nell’intento di scoraggiare la partecipazione avevano annunciato possibili attentati, disordini ai seggi, proteste eclatanti contro Putin. Il fallimento delle ipotizzate proteste ha dimostrato anche come l’apparato spionistico occidentale abbia le unghie spuntate, che viva una crisi nella sua campagna di reclutamento.

 

C’è un dato sociologico, nel voto, di cui non si può non tener conto: il risultato dimostra come il sostegno a Putin non venga da alcuni settori della società, che si vorrebbero quelli più garantiti. Le proporzioni del voto assegnano invece al consenso per Putin una trasversalità sociale, culturale e territoriale, che tiene insieme le regioni più isolate con quelle più centrali, le aree urbane con le campagne. L’unico dato diverso dalla media, ovviamente significativo dal punto di vista politico, è quel picco di consensi che Putin ottiene precisamente nelle zone del Donbass liberate dalla ferocia del neonazismo ucraino, con punte che arrivano al 94% dei voti.

C’è stato anche quello che in politologia si chiama “voto di bandiera”, ossia il consenso patriottico che emerge nel momento in cui il Paese si trova in un conflitto internazionale. Sì, è stato anche un voto di guerra, un voto di compattezza interna di fronte ad un nemico esterno. Esprime la solidarietà con i concittadini russofoni ucraini fatti segno ad 8 anni di bombardamenti ed aggressioni dei nazisti di Kiev e ricorda che le sanzioni contro la Russia non hanno avuto inizio con l’Operazione Militare Speciale ma hanno inizio più o meno dalla rinascita russa dopo la penosa parentesi eltsiniana.

I russi indicano che si sentono protetti dal Cremlino, che si riconoscono nella prova di forza e di resistenza di fronte a minacce militari, sanzioni e tentativi di isolamento internazionale che vengono contenuti e respinti. Si identificano con la linea politica fin qui seguita da Putin e ritengono che il confronto con l’Occidente non sia decisione di Mosca ma che mai possa vedere un suo cedimento.

Poi, certo, il voto esprime tanto la soddisfazione per i risultati dell’economia, che per la prima volta nella storia compete con quella occidentale e non resta schiacciata dal peso delle sanzioni, quanto la percezione precisa che i russi hanno del contesto internazionale, dell’ipocrisia occidentale che mentre parla di pace circonda la Russia di basi NATO e tentativi di golpe, di manovre militari e di sostegno alle formazioni ed ai governi apertamente ispirati alla nostalgia per il nazifascismo.

Il risultato elettorale rappresenta quindi un successo assoluto per la leadership del Paese. Spesso in Occidente si dice “la Russia di Putin”, ma è un grossolano errore di analisi. E’ Putin che è figlio della Russia, della sua identità culturale, politica e persino religiosa, della sua sete di sovranità e indipendenza e della sua ambizione ad un ruolo da protagonista nella governance internazionale. I russi si sentono un popolo che, per meriti storici e per dimensione, è in credito con il mondo, al quale ha garantito la sconfitta prima dell’impero napoleonico e poi del nazifascismo. Se oggi in Europa si può ipocritamente parlare di Unione Europea, di democrazia e di elezioni, è solo grazie al sacrificio dei russi. E questo non c’è revisionismo che possa occultarlo.

I russi hanno votato anche affinché la NATO venga fermata, meglio ancora retrocessa dalle posizioni che ha conquistato comprandosi la classe dirigente di alcuni dei paesi slavi, ridando fiato alle nostalgie naziste presenti nell’Europa dell’Est e in particolare in Polonia e paesi Baltici oltre che in Ucraina. In fondo è il ricorso storico di quanto esistente negli anni ’30 e che rappresentò il ventre molle dell’Europa che lasciava allargare Hitler fino a trasformarlo in minaccia mortale.

Oggi, vista dai russi e pur con le ovvie differenze, la situazione appare dotata di alcune preoccupanti similitudini in ordine al tentativo di comprimere la Russia e trasformarla in un immenso mercato schiavizzato e a disposizione dell’Ovest. Difficile sostenere che questa lettura sia figlia di una psicosi collettiva, visto che è suffragata dagli ultimi 25 anni di allargamento ad Est della NATO. Appare evidente come il disegno imperiale statunitense preveda la sconfitta russa prima e quella cinese poi e che l’estensione della NATO ad Est sia destinata a proseguire. I russi hanno votato per Putin anche perché gli riconoscono l’abilità e l’autorità politica necessarie per fronteggiare l’espansionismo occidentale e tutelare gli interessi russi.

Il mancato riconoscimento da parte di UE e di USA dei risultati è indifferente per i russi e per il loro establishment. Tanto meno li incupisce sentir dire alla Casa Bianca che il voto è irregolare quando il suo ex-inquilino, Donald Trump, ha affermato a più riprese che le elezioni negli USA sono fraudolente.

Il voto avrà un riflesso diretto sul conflitto in Ucraina che va considerato. L’investitura popolare ottenuta da Putin peserà in forma determinante sulla possibile trattativa per il cessate il fuoco in Ucraina e sui contenuti di un qualsivoglia accordo tra Russia e NATO. Forte di questo consenso Putin potrà negoziare tutti gli aspetti che concernono la sicurezza russa in un quadro di sicurezza regionale e globale.

I paesi atlantisti, come in tutte le occasioni in cui perdono, possono anche dire pubblicamente che il voto è falsato, che non gli si riconosce il valore politico, ma sanno perfettamente che non esistono maniere per produrre un consenso così vasto e profondo se non esiste nella realtà.

I russi hanno votato ed hanno espresso un plebiscito per il loro Presidente che in nessun paese occidentale è immaginabile. Governare con una minoranza di voti e interessi di minoranza e definire non democratico il voto di maggioranze e gli interessi nazionali è un paradosso della narrativa occidentale. I russi hanno votato per riaffermare l’autorità politica della Russia e la sua invulnerabilità, oltre che il rispetto della sua sfera d’influenza attraverso lo stabilimento di una dimensione di sicurezza che non può essere turlupinata dagli inganni dell’Occidente.

Di questo si è trattato, questo c’è nelle urne russe. Da qui deve partire qualunque valutazione che non sia una brodaglia ideologica senza sapore. Da oggi Vladimir Putin è più forte. Piaccia o meno.

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