Il presidente turco Erdogan ha lanciato nel fine settimana un durissimo attacco contro gli Stati Uniti per la complicità dell’amministrazione Biden nella guerra genocida che Israele sta conducendo a Gaza. L’uscita pubblica di Erdogan non è la prima a sostegno della causa palestinese dall’inizio dell’offensiva dello stato ebraico nella striscia il 7 ottobre scorso. Le frequenti denunce pubbliche del regime di Netanyahu e delle complicità occidentali si scontrano tuttavia con i fatti, visto che Ankara continua a permettere il traffico di materie prime e merci verso Israele, lasciando intatti i profitti di importanti compagnie private turche, incluse alcune legate direttamente allo stesso presidente e ad altri leader del suo partito.

 

Il fatto che gli scambi commerciali con Israele proseguano indisturbati ha offerto all’opposizione politica in Turchia un’arma formidabile contro il partito di governo (AKP), soprattutto per via della fortissima inclinazione filo-palestinese della popolazione. L’ex ministro degli Esteri di Erdogan, Ahmet Davutoglu, ha ad esempio attaccato il governo in alcuni recenti interventi pubblici . Secondo i dati in suo possesso, dal 7 ottobre sarebbero partite dei porti turchi più di 350 imbarcazioni commerciali dirette in Israele, molte delle quali appunto di compagnie di proprietà di membri dell’AKP o di uomini d’affari vicini al governo.

Sempre Davutoglu ha fatto notare come le merci che arrivano in Israele dalla Turchia includano non solo prodotti di prima necessità, ma anche beni che alimentano direttamente la macchina bellica dello stato ebraico. Per l’ex capo della diplomazia turca, un terzo del fabbisogno israeliano di ferro e acciaio viene garantito dalla Turchia. Ci sono ad ogni modo pochi dubbi che le critiche dell’opposizione turca siano largamente strumentali, come lo sono in buona parte le sfuriate di Erdogan contro Netanyahu e il suo regime, dal momento che i rivali politici del presidente sono notoriamente più filo-atlantisti di quest’ultimo e del suo partito.

A fare luce sugli affari turchi con Israele è stato in particolare il giornalista Metin Cihan con una serie di post su X (ex Twitter) nei quali ha riassunto il risultato di indagini svolte su dati e informazioni commerciali di pubblico dominio. Tra le navi che hanno trasportato merci da Turchia a Israele durante i bombardamenti su Gaza c’è la Halit Yildirim, di proprietà della società Manta Denizcilik, ai cui vertici figura anche il figlio del presidente turco, Burak Erdogan. Erkam Yildirim, figlio dell’ex primo ministro e membro dell’AKP, Binali Yildirim, possiede invece una quota della società di trasporti marittimi Oras Denizcilik, anch’essa attiva sulla rotta verso Israele.

Coinvolto nei commerci verso lo stato ebraico è anche il colosso turco Limak Holding, il cui “CEO”, Nihat Ozdemir, fa parte di una ristretta cerchia di uomini d’affari vicinissimi a Erdogan e che negli ultimi anni si sono spartiti la gran parte degli appalti pubblici nei rispettivi settori di competenza. Il porto turco da cui si muovono le navi dirette verso Israele è quasi sempre quello di Iskenderun, operato da Limak Holding.

Ancora, Metin Cihan ha segnalato come un’altra società che vanta rapporti privilegiati con Erdogan, Kolin Holding, garantisca servizi di manutenzione e assistenza a una petroliera di proprietà del governo di Tel Aviv, grazie alla quale viene trasportato petrolio dalla Turchia a Israele. Acciaio e cemento sono altri beni che sono regolarmente spediti a Israele dalla Turchia viaggiando su mezzi di trasporto di società turche spesso legate all’AKP e a Erdogan.

Il presidente turco continua a sua volta a resistere alle pressioni di svariati paesi mediorientali, a cominciare dall’Iran, che chiedono la chiusura dei rubinetti del petrolio destinato a Israele. Il greggio proveniente dall’Azerbaigian tramite l’oleodotto “Baku-Tbilisi-Ceyhan” viene caricato su petroliere presso il porto turco di Adana per poi essere trasportato in Israele. Secondo alcune stime, il petrolio azero soddisfa circa il 40% del fabbisogno dello stato ebraico, così che un’iniziativa turca in questo senso potrebbe creare seri problemi al regime di Netanyahu.

Al momento, Erdogan preferisce invece limitarsi alla retorica per “contrastare” il genocidio palestinese. In parallelo, si stanno intensificando i tentativi di zittire il giornalista Metin Cihan, anche se le informazioni che quest’ultimo diffonde su X vengono da fonti accessibili pubblicamente.

A livello immediato, il contrasto tra le dichiarazioni anti-israeliane di Erdogan e la realtà dei fatti è da ricondurre agli enormi interessi materiali che toccano la famiglia del presidente e di altri esponenti di spicco del suo partito. Ciò non toglie che la feroce aggressione contro la striscia di Gaza e le stragi quotidiane di civili palestinesi abbiano creato una profonda spaccatura tra Ankara e Tel Aviv, proprio in un frangente in cui i due paesi stavano ricostruendo i rapporti bilaterali dopo anni di gelo.

Da un lato, la Turchia intende appianare le divergenze con Israele per varie ragioni di carattere strategico, tra cui la necessità di collaborare nello sfruttamento delle nuove risorse energetiche situate nel bacino del Mediterraneo orientale. Dall’altro, però, la questione palestinese è argomento talmente esplosivo per i popoli musulmani da rendere di fatto impraticabile una condotta neutra o equidistante di fronte agli eventi di queste settimane.

Questo dilemma minaccia evidentemente di inasprire ancora di più le tensioni tra la Turchia e gli altri alleati NATO, tutti più o meno impegnati a garantire il proprio appoggio al genocidio palestinese. Il prosieguo della crisi a Gaza rischia così di mettere ancora più alle strette un governo turco che, sotto la guida Erdogan, ha attuato un gioco di equilibri tra le varie potenze globali e regionali, in modo da fare leva su tutti i propri interlocutori e ricavare i maggiori vantaggi possibili per il suo paese e la sua cerchia di potere.

Quel che è certo è che a condividere le responsabilità dei crimini indicibili di Israele contro i palestinesi non sono solo gli Stati Uniti e l’Occidente, ma, almeno in parte, anche i regimi mediorientali e lo stesso governo turco che, pubblicamente, lanciano invettive quasi ogni giorno contro il regime di Netanyahu, mentre dietro le quinte continuano a garantire a quest’ultimo un’assistenza economica e strategica cruciale per il raggiungimento dei propri obiettivi nella striscia di Gaza.

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