Il sogno americano del momento è di fiaccare l’economia europea, cominciando da quella tedesca che da anni viene portata a esempio agli altri Paesi europei. Ci stanno riuscendo. Ne è una conferma il terzo mese consecutivo di calo della fiducia dei consumatori tedeschi. Essi temono la contrazione del mercato mondiale, legata alle guerre commerciali intraprese da Trump che, con la Cina sta mettendo in forte difficoltà la prima economia del Continente europeo e a cascata l’intera Eurozona come dimostrano i dati sul Pil francese del secondo trimestre.

 

 

L'ipotesi di una recessione tedesca si fa largo anche fra le parole, di solito prudenti, dei grandi centri di ricerca e della Bundesbank. Infatti, ad inizio giugno la Banca centrale aveva previsto una crescita dello 0,6 per cento che è una catastrofe, se si pensa che nel dicembre 2018, essa ipotizzava una crescita dell'1,6 per cento per entrambi gli anni. Naturalmente nessuno si immaginava il  rincaro dei dazi americani, e pertanto la sorte dell'economia tedesca dipende "dalla flessione del settore industriale", avverte la Bundesbank., confermando che l'industria soffre per la crescita dei dazi commerciali, per le  tensioni tra gli Stati Uniti e l'Iran e per la minaccia di una Brexit disordinata.

 

A terrorizzare i lavoratori delle industrie dedicate alle esportazioni, come quella automobilistica e come quelle dei suoi fornitori del Nord Italia, ci ha pensato l'Istituto Ifo di Monaco di Baviera, un "market mover" molto seguito, perché considerato il termometro dello stato di salute della prima economia europea. Infatti, l’economista Timo Wollmershäuser, esperto di congiuntura, non usa mezzi termini quando afferma che il settore manifatturiero fortemente orientato all'export e che rappresenta un quarto del valore aggiunto, è in recessione, e pertanto - conclude - se ci sarà crescita nei prossimi trimestri, essa non supererà lo 0,30 per cento. Una miseria!

 

Del resto una conferma della recessione arriva dall’indice di acquisto manifatturiero di luglio - elaborato dallo Ihs Markit - che è a 43,1, il minimo da 84 mesi, cioè da sette anni. A pesare sarebbero appunto le prospettive del settore auto. Infatti, la Germania, dopo aver registrato una crescita del manifatturiero tra la metà del 2016 e la metà del 2018, risulta in calo tra la metà del 2018 e il primo trimestre 2019.

 

Pertanto non si capisce dove si fonda l’euforia del governo italiano giallo verde che in questi giorni parla di economia ripresa, dal momento che la nostra economia  è legata a doppio filo con quella dei nostri vicini oltre le Alpi, di cui siamo - Industrie Nord Italia - i primi subfornitori di tutto quello (o quasi) appartenga alla meccanica. Come funziona è semplice: i tedeschi, comprano pezzi in Italia, li assemblano ai loro e vendono in tutto il mondo, con la potenza di imprese come Volkswagen, Bosch, Siemens.  Morale: se Trump decide di fare una guerra commerciale a Germania e Cina, le due potenze mercantiliste che più danno fastidio alla manifattura americana, l’Italia rischia di implodere.

 

Una visione affatto esagerata perché in Germania si è già cominciato con il taglio degli esuberi - guarda caso - nelle grandi aziende del manifatturiero. Tagli tra 5mila e 7mila unità nella Daimler, 6mila nella Basf, 6mila nella ThyssenKrupp, 12mila e700 nella Siemens, 3mila nella Sap e 4mila e 500 in Bayer, 4mila nella Bmw. Altro esempio: a giugno  la produzione di autovetture è stata ridotta del 24 per cento, che equivale a un taglio di 340mila unità. E’ soltanto l’inizio - avvertono - poiché sono 85mila i dipendenti a tempo pieno che - si prevede - verranno espulsi dalla produzione, inclusi i bancari.  La Deutsche Bank ha annunciato il licenziamento di 18mila dipendenti, Commerzbank (la seconda più grande banca della Germania,dopo la Deutsche Bank), 5mila e 300.

 

Ci vuol poco a capire che i tagli nella produzione e dell’occupazione che abbiamo finora elencati dipendono dalla guerra commerciale (crescita dei dazi) scatenata da Trump che, colpendo la Cina contrae l’export della Germania, suo massimo fornitore, e la condanna alla recessione. Si tenga a mente che la Germania con il 44 per cento delle esportazioni totali europee, rappresenta il primo partner commerciale della Cina. Vi ha esportato nel 2018,  beni  per un valore complessivo di 95 miliardi di euro, precedendo Francia (21 miliardi), Regno Unito (23 miliardi), Italia (13 miliardi) e Olanda (10 miliardi). Insomma, mettere in difficoltà il primo player europeo sul mercato cinese, significa - lo si sta vedendo - mettere in crisi tutta l'Eurozona.. Più chiaro di così! Il sogno americano è più che un sogno.

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