Più del cosa conta il come, anche quando si parla di deficit. Il problema più grave dell’Italia è la scarsità di lavoro, soprattutto fra i giovani: su questo punto - banale, ma difficilmente discutibile - sono tutti d’accordo, eppure anche il “governo del cambiamento” non sta facendo nulla per affrontare la questione. La bozza di manovra che emerge dal Documento di economia e finanza approvato giovedì in Consiglio dei ministri non contiene alcun intervento in grado di aumentare la produttività e creare posti di lavoro.

 

Invece di puntare il dito contro questa voragine, la maggior parte delle critiche ai progetti legastellati - anche da sinistra - si è concentrata sull’aumento del deficit Pil al 2,4% (il triplo rispetto allo 0,8% previsto dall’esecutivo Gentiloni e un terzo in più rispetto all’1,6% voluto dal ministro del Tesoro, Giovanni Tria). Ma in economia fare debito non è sicura fonte di sventura: dipende da cosa si fa con i soldi spesi in deficit.

 

Diversi esponenti della maggioranza hanno parlato negli ultimi giorni di “investimenti pubblici”, peccato che la loro manovra non ne contenga. Al di là dell’opinione che si può avere sulle singole misure, è indubbio che le risorse impiegate per reddito di cittadinanza, flat tax e quota 100 siano spese correnti. La differenza non è un tecnicismo: gli investimenti pubblici studiati a dovere innescano un meccanismo di crescita (perciò, alzando il denominatore, abbassano i rapporti deficit/Pil e debito/Pil), mentre le spese previste dal Governo porteranno al massimo un modesto ed effimero aumento dei consumi.

 

Anche se ovviamente non basteranno a parlare di “scomparsa della povertà assoluta”, come ha fatto Di Maio, i soldi del reddito di cittadinanza saranno di sicuro un aiuto per molte persone che vivono in condizioni di estrema difficoltà. Ma giusta o sbagliata che sia, questa è una forma di assistenzialismo che lenirà i sintomi invece di curare la malattia. Non c’è a monte alcun progetto di politica economica, nessuna visione di quale sarà o dovrebbe essere il futuro produttivo e occupazionale del Paese.

 

Se l’Italia lanciasse un grande programma di investimenti pubblici – ad esempio, con l’obiettivo di ridurre al minimo il rischio idrogeologico – allora indebitarsi avrebbe senso. È il principio base dell’economia keynesiana (che molti stanno riscoprendo di fronte ai disastri dell’austerità): lo Stato interviene per creare lavoro e sostenere la domanda interna, incentivando la risalita di redditi e consumi, che a loro volta producono un aumento delle entrate fiscali, compensando gli effetti negativi dell’indebitamento. L’obiezione principale contro questo modello è che rischia di generare inflazione (il Freddy Kueger che infesta i sogni della Germania dal 1923), sennonché al momento abbiamo il problema opposto: i prezzi non riusciamo a farli salire abbastanza.

 

Purtroppo, il deficit del governo gialloverde non produrrà nulla di tutto questo. A ben vedere, la manovra che si prospetta non solo non aumenterà la crescita, non garantirà nemmeno una redistribuzione dei redditi, perché eviterà di toccare i grandi patrimoni e le rendite finanziarie.

 

Quanto al lavoro, sembra proprio che il ministro Di Maio non abbia alcuna idea originale né per creare nuova occupazione né per ridurre i contratti a termine. Il Decreto Dignità doveva essere la “Waterloo del precariato”, ma anziché incentivare le assunzioni sta spingendo molte aziende a non rinnovare i contratti a tempo determinato in essere e a sostituirli con contratti nuovi, sempre a termine. È il turn over del precariato.

 

Finora il governo del cambiamento ha semplicemente ritoccato ciò che già esisteva. A cominciare dal bonus assunzioni varato dal governo Gentiloni l’anno scorso: sempre il Decreto Dignità stabilisce che l’incentivo - contributi dimezzati per tre anni alle imprese che assumono - varrà per gli under 35 anche nel 2019 e l’asticella non scenderà a 29 anni (com’era previsto in origine e come accadrà dal 2020 in poi, visto che la misura è permanente). Sennonché, il bonus Gentiloni non sta funzionando come previsto, soprattutto perché impone una serie di requisiti rigidi (ad esempio, il giovane non deve aver mai avuto un contratto a tempo indeterminato).

 

Ci sono poi due strumenti coperti con fondi Ue e in scadenza a dicembre: il bonus occupazione collegato al programma di Garanzia Giovani e il bonus Sud. Dovrebbero essere rifinanziati entrambi, ma quello che sta più a cuore a Di Maio è il secondo, essendo il meridione il primo bacino di voti per i 5 Stelle. Anche in questo caso nessuna visione, nessuna strategia. Solo calcoli elettorali. Fatto così, il deficit serve solo a scaricare i benefici accordati oggi sulle tasse di domani.

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