Il dominio di Amazon e delle grandi corporation sulla politica degli Stati Uniti e non solo è cosa risaputa da tempo. Una recente vicenda che ha riguardato la città americana di Seattle, nello stato nord-occidentale di Washington, ha mostrato però nel concreto quale sia l’influenza di colossi simili e, dietro l’apparente impulso allo sviluppo economico e sociale che essi sembrano garantire, la loro portata distruttiva per intere comunità o, quanto meno, per le fasce più povere della popolazione.

 

La storia in questione si è chiusa martedì con un ripensamento umiliante e senza precedenti da parte del consiglio comunale di Seattle, protagonista di un voto a larga maggioranza che ha cancellato l’introduzione di una modesta tassa destinata a gravare sulle maggiori compagnie con sede in quest’area degli Stati Uniti.

 

Questa tassa è durata nemmeno un mese. Il sindaco della città, la democratica Jenny Durkan, aveva firmato la legge il 16 maggio scorso dopo che il consiglio comunale l’aveva approvata all’unanimità (9-0) due giorni prima. Dietro le pressioni e i ricatti di Amazon e delle altre più importanti compagnie dello stato, martedì l’imposta è stata abolita con il voto favorevole di sette consiglieri.

 

Il contributo (“head tax”) avrebbe dovuto essere di 0,14 dollari per ogni ora lavorata da ogni dipendente delle aziende con un fatturato annuo superiore ai 20 milioni di dollari. Complessivamente, il costo per ogni lavoratore sarebbe stato di circa 275 dollari all’anno. Il peso della tassa per Amazon, visti i suoi più di 45 mila dipendenti nell’area di Seattle, ammontava a un importo ridicolo per le dimensioni della compagnia: 12 milioni di dollari. Il fatturato totale di Amazon è stato di 178 miliardi di dollari nel 2017 e il suo numero uno, l’uomo più ricco del pianeta Jeff Bezos, detiene beni personali pari a 138 miliardi.

 

Gli amministratori di Seattle intendevano raccogliere, grazie alla tassa, 47 milioni di dollari all’anno da destinare alla lotta contro l’emergenza senzatetto nella città. Il sindaco aveva preannunciato un piano imponente di investimenti in abitazioni popolari, rifugi provvisori e strutture sanitarie, ma, in realtà, le risorse raccolte in questo modo sarebbero state nettamente insufficienti a far fronte alla crisi.

 

Una crisi che è in larga misura da attribuire proprio all’espansione di giganti come Amazon o del settore tecnologico, la cui presenza su un determinato territorio genera un’impennata dei costi degli immobili e degli affitti che ha conseguenze devastanti sui redditi più bassi. Soprattutto per questa ragione, Seattle è oggi la terza città americana - dopo New York e Los Angeles - con il maggior numero di senzatetto. Nella città dello stato di Washington, più di seimila persone ogni notte non hanno un posto dove dormire. Secondo i dati ufficiali, nel solo 2017 sono morte ben 169 persone senza fissa dimora nella contea di King, che include Seattle.

 

Da parte loro, i membri del consiglio comunale della metropoli hanno chiarito che non esistono altri modi per reperire il denaro necessario ad adottare almeno qualche provvedimento per provare a contenere l’emergenza. Nonostante l’ostentata impotenza, ciò dipende esclusivamente da ragioni politiche e di classe, come dimostra la vicenda della tassa appena revocata.

 

Nell’area di Seattle hanno sede alcune tra le grandi compagnie americane più remunerative per i loro investitori. Oltre ad Amazon ci sono ad esempio Starbucks, Vulcan, cioè la società di investimenti del co-fondatore di Microsoft, Paul Allen, e svariate compagnie operanti nel settore alimentare.

 

Una minima parte dei loro profitti, o della ricchezza dei proprietari e top manager, sarebbe sufficiente a risolvere la crisi abitativa della città e dell’intera contea. Non solo, il sistema fiscale dello stato di Washington è considerato come il più regressivo di tutti gli Stati Uniti, ma una tassa sul reddito dei contribuenti più benestanti di Seattle è stata recentemente bocciata da un tribunale statale.

 

Per Amazon e gli altri, qualsiasi iniziativa a qualsiasi livello che intacchi i loro profitti, anche in maniera minima, viene tuttavia considerata come una minaccia inaccettabile da annientare sul nascere e, per raggiungere questo obiettivo, vengono impiegati tutti i mezzi disponibili e l’enorme influenza che le corporation hanno sulla classe politica.

 

Nel caso di Seattle, il comportamento della compagnia di Bezos è stato particolarmente cinico. La tassa sui dipendenti delle grandi aziende era inizialmente più incisiva di quella approvata nel mese di maggio, ma è stata in seguito annacquata proprio a causa delle pressioni o, meglio, dei ricatti di Amazon.

 

Malgrado il consiglio comunale della città avesse alla fine acconsentito a dimezzare l’entità della tassa, Amazon aveva subito avviato una campagna per boicottare la nuova legge, promuovendo in primo luogo un referendum che intendeva abolirla al prossimo appuntamento elettorale nel mese di novembre. In parallelo, Amazon aveva anche sospeso i lavori per la costruzione di una nuova sede a Seattle, in attesa che la questione della tassa venisse risolta a proprio favore.

 

Alla fine così è stato e l’epilogo si è consumato in un’atmosfera di farsa, con il sindaco e i membri del consiglio comunale di fatto prostrati di fronte ai grandi interessi economici della città. In maniera patetica e di fronte alle proteste dei residenti che hanno presenziato al voto di martedì, alcuni dei consiglieri hanno ribadito il loro sostegno alla tassa ma hanno affermato di essere stati costretti a votare per la revoca sia per evitare il protrarsi della polemica con le corporation nel periodo pre-elettorale sia perché la legge sarebbe stata comunque sconfitta nel referendum di novembre.

 

La questione della mancata tassazione di Seattle è infine un avvertimento a tutte quelle località americane in competizione per ospitare la costruzione del cosiddetto “secondo quartier generale” di Amazon. I vertici della compagnia intendono ottenere le migliori condizioni fiscali, logistiche e di sfruttamento dei loro dipendenti e per fare ciò opereranno senza alcuno scrupolo per le conseguenze sociali che si riverseranno sulle comunità interessate.

 

Le città “finaliste” selezionate da Amazon sono una ventina e praticamente tutte, pur di essere scelte, hanno già promesso sostanziosi incentivi fiscali che, assieme agli effetti sul mercato immobiliare della presenza del colosso di Bezos, contribuiranno a generare un impoverimento di massa dietro l’illusione di nuove opportunità di lavoro e di crescita economica.

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