Lo scontro sulle banche si è trasformato in uno scaricabarile tra politici e funzionari a ogni livello, ma è già chiaro che nessuno ne uscirà vincitore. Il leader del Pd Matteo Renzi continua ad alimentare le polemiche nel tentativo di ricostruirsi una verginità morale, ma è destinato al fallimento perché nel ruolo di paladino dei risparmiatori non è credibile. Basta dare un’occhiata ai sondaggi per rendersene conto.

Renzi però, come al solito, combatte contro ogni evidenza, rilancia, gioca d’azzardo nella speranza di ribaltare la situazione all’ultimo secondo. Fin qui questa strategia si è sempre rivelata perdente: lo è stata un ano fa, ai tempi del referendum costituzionale, e lo è stata ancora il mese scorso, con la fallimentare crociata contro la riconferma di Ignazio Visco ai vertici della Banca d’Italia.



Ma il segretario del Pd non impara dai propri errori e continua a puntare sulle cause perse. In vista della campagna elettorale, è determinato a scollarsi di dosso l’etichetta di responsabile delle crisi bancarie. Una patente che, per la verità, non gli compete per intero, ma che ha contribuito in modo decisivo ad affossarne l’immagine, soprattutto per lo sdegno suscitato dalla vicenda di Banca Etruria. Sempre lei, quella in cui il vicepresidente era il padre di Maria Elena Boschi.

In una lettera al quotidiano La Stampa, Renzi ha tirato una nuova serie di bordate contro Banca d’Italia e Consob: “Il giudizio politico negativo sulla gestione degli organismi di vigilanza – si legge – non trae spunto da presunte difficoltà istituzionali ma da una constatazione: le cose non hanno funzionato come avrebbero potuto e dovuto. Se in questi anni le autorità della vigilanza avessero passato il proprio tempo leggendo meglio i documenti dei loro colleghi anziché parlando coi giornalisti per raccontare discutibili retroscena, probabilmente il mondo del credito e della finanza oggi starebbe meglio”.

C’è da scommettere che questa campagna lancia in resta contro le autorità di vigilanza non servirà a nulla in chiave elettorale. Chi vota con la pancia rivolta agli scandali bancari sceglie il Movimento 5 Stelle, magari la Lega, ma non certo il partito che ha governato mentre andavano in scena gli orrori del credito. Una galleria che parte con le popolari messe in risoluzione a fine 2015 (fra cui Etruria), passa per la disastrosa gestione del dissesto di Mps, da sempre roccaforte del centrosinistra, e arriva al crack delle due banche venete.

Renzi e il suo governo di colpe ne hanno molte (quante volte ci hanno ripetuto che il sistema bancario italiano era “solido”?), ma, a essere onesti, nel merito l’ex premier non ha proprio tutti i torti. Considerare Etruria come l’apogeo delle infamie finanziarie italiane è semplicemente ridicolo, se non altro per le dimensioni dell’istituto in questione. Allo stesso tempo, è vero anche che la vigilanza di Bankitalia e Consob è risultata nella maggior parte dei casi goffa, miope, carente e tardiva.

Come Renzi scarica il barile sulle due autorità, queste se lo rimpallano a vicenda, senza peraltro riuscire a fornire una ricostruzione limpida dell’accaduto che le sollevi da ogni accusa d’inefficienza. La settimana scorsa questo scontro ha toccato un livello mai visto in Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche, dove sono stati ascoltati per la seconda volta il capo della vigilanza di Via Nazionale, Carmelo Barbagallo, e il direttore generale di Consob, Angelo Apponi.

Il casus belli riguarda il dissesto di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza. Barbagallo dice che Bankitalia ha trovato incongruenze sul prezzo delle azioni fin dal 2001 e poi ancora nel 2008, ma Apponi replica che Consob è venuta a conoscenza dell’esito di queste ispezioni solo nel 2015, quando ha iniziato una sua indagine autonoma. Via Nazionale invece sostiene che la Consob aveva tutti gli elementi per agire molto prima.

Sia come sia, in questi 15 anni nessuno si è mosso, permettendo agli istituti di raggirare i propri clienti con azioni gonfiate e obbligazioni subordinate spacciate come investimenti sicuri. La mancanza di comunicazione e di collaborazione fra le due autorità è grottesca e richiede senz’altro un intervento normativo. Tuttavia anche in questo caso bisogna cercare di non cadere nella trappola del capro espiatorio: la Banca d’Italia, per quanti errori possa aver commesso, non ha i poteri d’indagine della magistratura e se banchieri astuti come Zonin vogliono nasconderle la verità ci riescono senza troppi patemi.

Arriviamo così all’ultimo scaricabarile, quello mancato. Renzi accusa Bankitalia e Consob, che si accusano a vicenda: a nessuno però viene in mente di accusare le banche stesse, che, preoccupandosi soltanto di favorire amici e amici degli amici, hanno mandato in rovina migliaia di risparmiatori. L’unica priorità è scaricare il barile. Per la serie, “io non c’ero, e se c’ero dormivo”.

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