Una follia dal punto di vista istituzionale, politico ed elettorale. Non si può definire altrimenti la bordata che Matteo Renzi ha deciso di scagliare la settimana scorsa contro la Banca d’Italia. La mozione approvata martedì alla Camera con cui sostanzialmente il Pd sfiducia il governatore Ignazio Visco è la dimostrazione definitiva dell’incultura e dell’impreparazione del segretario dem, nonché della sua disperazione in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, che preannunciano nuove Caporetto in stile 4 dicembre.



Renzi dice che criticare Visco “non è lesa maestà”: ha ragione, ma come al solito dimentica che in politica la forma è sostanza. Il Governatore – il cui mandato scade il 31 ottobre – è sicuramente responsabile della vigilanza tardiva e disattenta sulle molte banche che negli ultimi anni hanno fatto pagare il conto delle loro gestioni dissennate ad azionisti, obbligazionisti e contribuenti. Tuttavia è impensabile che il partito di maggioranza parlamentare entri a gamba tesa in una partita in cui il Parlamento non c’entra nulla.

A differenza di quanto accade negli Stati Uniti e in Francia, nel nostro Paese il presidente della Banca Centrale viene nominato dal Presidente della Repubblica su indicazione del Presidente del Consiglio, previa deliberazione del governo e sentito il parere del Consiglio superiore di Bankitalia. Camera e Senato non hanno alcun ruolo. La mozione della settimana scorsa, dunque, ha il solo effetto di mettere in difficoltà Palazzo Chigi e il Quirinale, giustamente furibondi con Renzi per la pugnalata a tradimento.

Ma perché il segretario Pd è arrivato a tanto? Forse per vendicare la sua ex ministra e attuale sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi, il cui padre era vicepresidente di Banca Etruria (una delle popolari messe in risoluzione a fine 2015). Forse perché, con la prevedibile débacle in arrivo alle elezioni siciliane e i padri nobili del partito che tramano per non candidarlo alla premiership in primavera, Renzi ha trovato solo questo modo di reagire. Cioè ribaltando il tavolo, senza pensare con lucidità alle conseguenze.

Di sicuro, l’ex capo del Governo attribuisce alla sua presa di posizione contro Visco un valore elettorale. L’obiettivo è scaricare la pistola in mano ai grillini (che continuano ad attaccarlo per il caso Etruria) presentandosi all’elettorato come amico del popolo oppresso e nemico dei loschi poteri finanziari. Sennonché, dopo tre anni di governo e uno di segretariato, ormai è troppo tardi per ricostruirsi una verginità. Difficile che questa burattinata della mozione possa attribuire a Renzi una qualche credibilità nel nuovo ruolo (auto-assegnato) di paladino dei risparmiatori.

L’unico risultato prodotto dalla mozione della vergogna è aver impallinato Presidente del Consiglio e Capo dello Stato in un colpo solo. Paolo Gentiloni e Sergio Mattarella si ritrovano ora di fronte a un bivio scomodissimo: se confermano Visco aprono una frattura con il Pd a pochi giorni dall’approvazione della nuova legge elettorale e della finanziaria; se invece lo sostituiscono, indirettamente danno ragione alla mozione dem e gettano discredito su Via Nazionale. Cosa che non si sogneranno mai di fare, perché l’indipendenza e il prestigio della Banca d’Italia vanno tutelati a qualsiasi costo.

Basta uscire dal provincialismo renziano per capire il motivo. Gentiloni e Mattarella, d’accordo anche con il ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, sostengono da sempre che in questo momento l’Italia non possa permettersi una rottura al vertice dell’istituto centrale. Il sistema bancario è ancora convalescente (per non dire febbricitante) e il ribaltone sarebbe interpretato dai mercati come un’ammissione di debolezza. Per di più con le elezioni politiche ormai alle porte e la quasi certezza che dalle urne non emergerà alcuna maggioranza di governo stabile.

Ma ancora di più conta il ruolo di Via Nazionale nell’Eurosistema. Mario Draghi, presidente della Bce, ha manifestato il proprio sostegno a Visco lo scorso 31 maggio, presentandosi a sorpresa in prima fila alle ultime considerazioni finali del Governatore. Lo ha fatto perché dal punto di vista di Francoforte uno scossone in Bankitalia adesso sarebbe destabilizzante, visti gli appuntamenti cruciali che aspettano l’Eurotower (e l’Eurozona) nel 2018. Una lista che comincia con la progressiva riduzione del Quantitative easing (il programma di acquisto titoli della Bce che tanto bene ha fatto ai conti pubblici – e non solo – di Eurolandia), prosegue con la battaglia sulle nuove regole per la gestione dei crediti deteriorati (le banche italiane rischiano nuovi, pesanti aumenti di capitale) e finisce con la partita per il completamento dell’unione bancaria, a cui manca il tassello della garanzia comune sui depositi, invisa ai tedeschi.

Insomma, Visco non ha dato gran prova di sé, ma sostituirlo adesso è praticamente impossibile per ragioni che vanno oltre le ambizioni di carriera dei singoli individui. Chissà se Renzi ci ha mai pensato.

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