di Carlo Musilli

Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sulla convenienza dell’Ape, ora gli elementi per giudicare ci sono tutti. Alla fine della scorsa settimana il Governo ha chiarito che il nuovo anticipo pensionistico non prevede il pagamento della tredicesima. Le rate da versare per il successivo rimborso, invece, saranno 13 l’anno, come le mensilità dell’assegno previdenziale. Il motivo? “L’Ape è un prestito - spiegano da Palazzo Chigi - non una pensione”.


A voler essere precisi, l’Ape è un prestito bancario assicurato. Questo significa che, quando scatta la pensione effettiva, si è chiamati a restituire non solo il capitale, ma anche gli interessi bancari e il premio assicurativo. Il Governo sostiene che si tratti comunque di un credito più vantaggioso di quelli proposti dal mercato, dal momento che il 50% dell'assicurazione e degli interessi è a carico dello Stato.

Questa considerazione sarebbe valida se usassimo quei soldi per comprarci un’automobile. Se invece parliamo della vita dei pensionati, l’Ape è quanto di meno conveniente si possa immaginare. Anzi, ha un costo davvero alto, che può mettere a rischio la stabilità finanziaria di molte persone.

Per rendersene conto è sufficiente dare un’occhiata alle slide pubblicate sul sito del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini. In queste schede, infatti, la squadra economica del Governo propone un esempio piuttosto allarmante, cadendo anche in contraddizione.

Poniamo che Martina (la chiamano così) abbia diritto a una pensione media netta certificata dall’Inps di 1.286 euro al mese; un trattamento che equivale a 16.718 euro l’anno, visto che la pensione effettiva prevede 13 mensilità.

Ora, sempre da Palazzo Chigi fanno sapere che nel decreto del Presidente del Consiglio in arrivo a gennaio sarà stabilito un importo massimo per l’Ape pari al 95% della pensione certificata mensile per un anno di anticipo, al 90% per due anni e all'85% per tre.

Questo significa che se Martina accede all’Ape per andare in pensione tre anni prima del previsto, fino alla data del pensionamento effettivo non potrà ricevere più di 1.093 euro, cioè l’85% di 1.286 euro. Ma, come abbiamo detto, l’Ape viene versata solo per 12 mensilità, per cui alla fine Martina incasserà per ciascuno dei tre anni di anticipo 13.116 euro, pari non all’85%, bensì al 78,45% della pensione cui avrebbe diritto (16.718 euro).

“Poco male - dirà Martina - tre anni di sacrifici mai poi, con la pensione, sono tranquilla”. Invece no: tutto il contrario. È proprio quando finisce l’Ape e scatta il pensionamento che iniziano i veri guai. Da quel momento e per i successivi 20 anni, Martina deve restituire il prestito ottenuto per l’Ape, che, come abbiamo detto, comprende anche interessi bancari e premio assicurativo.

Quanto le costerà? Su questo punto la vicenda diventa fumosa. Sulla slide numero 8 di Nannicini si legge che “chi accede volontariamente all’anticipo avrà un costo contenuto anche grazie alla detrazione fiscale (circa 4,6%-4,7% per anno d’anticipo)”. A guardare i numeri della tabella successiva, però, i conti non tornano.

Sempre secondo i calcoli del Governo, la rata a carico di Martina ammonta a 258 euro (pari addirittura al 20% della pensione di partenza), su cui però si applica una detrazione che riduce il conto a 208 euro (il 16,2% della pensione). In altri termini, per ogni anno di anticipo Martina si vede ridurre la pensione del 5,4% e alla fine l’assegno scende da 1.286 a 1.078 euro al mese: ancora meno di quanto percepiva durante i tre anni di Ape.

Insomma, quel 4,6%-4,7% è solo una media, che per Martina - non certo una pensionata ricca - si trasforma in 5,4%. Alla fine, per andare in pensione tre anni prima del previsto e vivere il resto della propria esistenza con poco più di mille euro al mese, nell’arco di 20 anni Martina dovrà restituire/pagare in tutto 54.080 euro. A questo punto la domanda è una sola: cara Martina, ma chi te lo fa fare?

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