di Antonio Rei

Si dice che le previsioni macroeconomiche servano a rivalutare gli astrologi. È vero, ma la loro prima funzione è manipolare l’opinione pubblica per scopi elettorali. Lo dimostra la tarantella che si è scatenata dopo la pubblicazione della nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza, in cui il governo stima che nel 2017 il Pil italiano crescerà dell’1%.

In realtà, quella del governo è una revisione al ribasso pesante, visto che soltanto la scorsa primavera le previsioni per l’anno prossimo parlavano di un +1,4%. Il taglio non sembra però sufficiente, considerando che il risultato è ancora più alto rispetto alle stime di tutti i centri di ricerca più importanti e delle istituzioni internazionali. Per intenderci, Ocse e Prometeia collocano il dato allo 0,8%, mentre il solo Fondo monetario internazionale si spinge fino allo 0,9%. Confindustria addirittura si ferma allo 0,5%.

Ora, è normale che un esecutivo nazionale spari più in alto degli analisti privati o stranieri. Tuttavia, in questo caso il governo è stato contraddetto anche dalle stesse istituzioni interne. A manifestare perplessità e dubbi su quell’1% sono state la Corte dei Conti (da sempre ignorata da tutti), la Banca d’Italia (che da Banca Etruria in poi non è in buoni rapporti con Palazzo Chigi) e soprattutto l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, un organismo indipendente creato nel 2014 proprio con il compito di svolgere analisi e verifiche sui numeri del Def.

Il ministro Padoan ha provato a difendersi in ogni modo. “I numeri che produciamo - ha detto ieri - sono basati su un’attenta valutazione degli impatti della manovra, non sulla fantasia. Sono aspettative realizzabili”. E come? Per giustificare questa ambizione il numero uno del Tesoro ha giocato la carta della manovra, che secondo lui sarà talmente espansiva “da avere un impatto importante sulla crescita”. Insomma, la legge di Stabilità - che resta da completare - è l’asso nella manica con cui il governo stupirà tutti. Ed è solo un colpo di fortuna che dai calcoli dei tecnici sia venuto fuori proprio quel dato, l’1%, appena oltre la soglia psicologica dello “zerovirgola”. Abbastanza alto da rassicurare, ma non troppo alto da risultare ridicolo. Dobbiamo crederci?

La storia non lascia molti dubbi. Lo scorso gennaio Renzi aveva definito “assolutamente alla nostra portata” per il 2016 una crescita dell'1,6%. Poi in primavera ha abbassato l’asticella all’1,2%. Ora ammette che non andremo oltre il +0,8%. La meta di quanto pensava a gennaio.

D’accordo, nel frattempo c’è stata la Brexit, il rallentamento del commercio internazionale, le varie crisi geopolitiche, i venti solari e l’invasione delle cavallette. Va bene tutto, ma la cantonata presa quest’anno non è per nulla una novità: dal 2002 al 2016 i vari governi italiani, ogni anno impegnati a vaticinare sul Pil dell’anno successivo, hanno sbagliato 14 previsioni su 15. E in 12 casi l’errore è stato per eccesso, nel senso che la realtà si è rivelata peggiore delle aspettative.

Perciò, a ben vedere, la storia ci suggerisce che le previsioni macroeconomiche governative siano una burattinata di cui i cittadini potrebbero tranquillamente fare a meno. Il problema è che non ne può fare a meno il governo. Meno che mai questo, appeso com’è al filo di un referendum. 




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