di Carlo Musilli

Costerà meno, ma non diventerà né più semplice né più equo. Per ora sono queste le sole certezze sul nuovo canone Rai. La legge di Stabilità arrivata in Parlamento la settimana scorsa prevede che nel 2016 l'importo da pagare calerà da 113,5 a 100 euro e che l'imposta sarà inserita nella bolletta elettrica. I dettagli tecnici sulle modalità di pagamento e sulle sanzioni sono demandati a un decreto del Tesoro che dovrà essere emanato di concerto con il ministero dello Sviluppo economico e con l'Autorità per l'Energia entro i 45 giorni successivi all'approvazione della manovra.

La novità del canone in bolletta dovrebbe abbattere l'evasione: le risorse così recuperate nel biennio 2016-2018 (e in eccesso rispetto ai bilanci di previsione Rai, s'intende) saranno destinate al fondo per la riduzione della pressione fiscale. Il governo, per prudenza, non quantifica il maggiore gettito che prevede d'incassare, ma la somma non deve essere irrisoria, considerando che oggi il tasso di evasione del canone è stimato al 27% (pari a 540 milioni di euro l’anno), il più alto fra quelli di tutte le imposte italiane e di tutti i canoni radiotelevisivi d'Europa. Il pagamento sarà probabilmente diviso in sei rate da 16,66 euro l'una e inizierà con la prima bolletta della luce successiva alla scadenza del pagamento della tassa sulla tv, fissata al 31 gennaio.

L’imposta sarà dovuta solo per la prima casa, partendo dal presupposto che l'esistenza di una fornitura di "energia elettrica nel luogo ove è situata la residenza fa presumere la detenzione o l'utenza di un apparecchio atto o adattabile alla ricezione del servizio pubblico radiotelevisivo". Chi non ha in casa né una televisione né una radio (tablet e smartphone, per ora, sono esclusi dalla norma) potrà richiedere l'esenzione inviando un'autocertificazione all'Agenzia delle entrate. Ciò implica che dall'anno prossimo gli evasori, oltre a dover pagare una sanzione amministrativa (fin qui si è parlato di 500 euro, ma in molti pensano che sarebbe una multa eccessiva), saranno perseguibili anche in sede penale, perché violeranno la legge 445 del 2000 sull'autocertificazione. 

Insomma, le novità non sono poche e andranno digerite in breve tempo. La difficoltà tecnica più complicata da superare riguarda l'inserimento del canone nelle bollette, visto che in Italia - dopo la liberalizzazione del 2007 - le società autorizzate a emettere fatture elettriche sono ben 461, si fanno una concorrenza spietata e (giustamente) non hanno alcun interesse a collaborare per diventare esattori dello Stato.  

Già l'anno scorso le utility coinvolte mettevano in luce diversi problemi legati a questa innovazione. Innanzitutto, con l’aggiunta del canone aumenterebbero per le imprese gli oneri di gestione e di riscossione, il che potrebbe riflettersi sulle bollette, rischiando di annullare i risparmi prodotti dalla riduzione del canone. Gli utenti, poi, sono liberi di cambiare fornitore anche più volte nel corso di un anno e ciò provocherà verosimilmente un gran caos nella riscossione dell'imposta sulla tv pubblica.

Anche l'equazione bolletta della luce = presenza di una tv o di una radio in casa, per quanto in apparenza ragionevole, rischia di risolversi in uno di quei pasticci che producono fiumi di ricorsi. In gioco ci sarebbe nientemeno che il principio di uguaglianza stabilito dalla Costituzione, visto che i contribuenti in possesso di tv o radio, ma che al contempo non sono intestatari di una bolletta elettrica, risulterebbero esentati.

D'altra parte, al di là dello sconto di 13 euro e 50 centesimi l'anno, gli stessi contribuenti hanno poco di cui rallegrarsi. Le nuove norme in arrivo, infatti, non risolvono nemmeno uno dei problemi strutturali legati al canone, che è sempre stato e continuerà a essere uno tributi più odiati dagli italiani. Almeno per due ragioni. Primo: è slegato dal reddito, perciò contraddice il principio della progressività delle imposte, anch'esso stabilito dalla Costituzione. Secondo: ora che il monopolio è un lontano ricordo e il mercato radiotelevisivo è più che aperto, quello offerto dalla Rai non è più un servizio essenziale e andrebbe pagato solo da chi vuole usufruirne. In altri termini, dovremmo essere liberi di scegliere se versare il canone e guardare la Rai, oppure risparmiare il denaro e ritrovarci con la Rai oscurata.

Si può obiettare che il servizio pubblico deve essere sostenuto da tutti perché è concepito nell'interesse della collettività e non delle famiglie Berlusconi (Mediaset Premium) e Murdoch (Sky). In teoria il ragionamento è più che giusto, ma nella pratica conviene far pace con la realtà. Davvero qualcuno crede ancora alla favola del pluralismo garantito dal servizio pubblico?

La Rai è sempre stata il regno della lottizzazione fra i partiti e la riforma della governance varata da questo governo non favorisce affatto l'indipendenza dell'azienda. Al contrario: non solo conferma il dominio della politica sulla Rai, ma accentra addirittura il potere, visto che il nuovo super-amministratore delegato sarà nominato dal Cda su proposta del Tesoro, quindi dell'Esecutivo. Quanti italiani pagherebbero 100 euro l'anno per consentire tutto questo, se potessero scegliere?

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