di Michele Paris

Secondo un recente rapporto compilato dall’agenzia di stampa americana Bloomberg, la ricchezza complessiva dei 400 uomini più facoltosi del pianeta è cresciuta di quasi 100 miliardi di dollari nel solo 2014, mentre è poco meno che raddoppiata dall’inizio della crisi economica globale nel 2008. I dati, riportati dall’annuale "Bloomberg Billionaires Index", dimostrano dunque ancora una volta che concetti come recessione, disoccupazione, precarietà o povertà dilagante in questi anni non hanno mai riguardato il ristretto vertice della piramide sociale.

Per costoro, al contrario, la crisi del capitalismo internazionale è stata un’occasione storica per incrementare in maniera sensibile la ricchezza accumulata a spese della grande maggioranza della popolazione.

Ciò che mette in evidenza la ricerca è poi il fatto che questa esplosione dei livelli di ricchezza è stata in sostanza determinata non dalle libere forze del mercato, bensì dalle politiche stesse dei governi e delle banche centrali dei vari paesi, impegnati nell’immettere quantità di denaro senza precedenti nel sistema finanziario.

Secondo l’Indice di Bloomberg, dunque, i beni dei 400 super-ricchi sono saliti di 92 miliardi di dollari lo scorso anno, raggiungendo un totale sbalorditivo di 4.100 miliardi. Questa cifra risulta ad esempio superiore al prodotto interno lordo della Germania, cioè la quarta economia del pianeta, e corrisponde a poco meno della metà di quello della Cina, la seconda economia del pianeta e un paese di oltre un miliardo e 300 milioni di abitanti.

In media, la ricchezza di ogni singolo individuo appartenente all’elenco è aumentata di 240 milioni di dollari nel 2014 ma un’analisi per ognuno di essi mostra notevoli differenze. L’investitore americano Warren Buffett, accreditato da Bloomberg della seconda posizione tra i paperoni del pianeta, ha visto crescere i propri “asset” di ben 13,7 miliardi di dollari in quella che per lui è stata senza dubbio un’annata alquanto fruttuosa.

La ricchezza totale detenuta da Buffett è assestata ora - o meglio al momento della compilazione dell’Indice - a 74,5 miliardi di dollari, ovvero poco più della ricchezza totale prodotta nel 2013 da un intero paese come la Libia.

Il modello di business che ha consentito a Buffett di competere per le prime posizioni della classifica degli uomini più ricchi del mondo corrisponde in sostanza all’acquisizione di aziende che producono profitti da record grazie al taglio senza scrupoli dei costi e del personale.

Ancor più, come già ricordato, sono state le politiche di “quantitative easing” delle varie banche centrali ad alimentare le impennate degli indici di borsa e le ricchezze di investitori/speculatori, dietro l’apparenza di strategie presentate come necessarie per stimolare la crescita economica.

La ricchezza dei 400 uomini più ricchi del pianeta è così direttamente legata ai picchi toccati dalle borse, da quella americana a quella giapponese o cinese. Il Dow Jones di Wall Street, ad esempio, ha sfondato per la prima volta i 18 mila punti alla fine dell’anno, più che triplicando il livello raggiunto nel marzo del 2009.

Tra gli altri protagonisti del Bloomberg Index spiccano i businessmen cinesi. Due dei tre miliardari che hanno guadagnato di più nel 2014 vengono appunto dalla Cina. Il primo è Jack Ma, CEO di Alibaba Group, il quale ha raccolto 25,1 miliardi in seguito all’offerta pubblica di azioni della sua compagnia di e-commerce.

L’altro è Wang Jianlin di Dalia Wanda, un gruppo operante in vari settori tra cui quello edilizio e del turismo, che ha visto crescere i propri beni di oltre 12 miliardi di dollari in un solo anno.

Gli americani sono in ogni caso ben rappresentati, con Mark Zuckerberg di Facebook che ha fatto segnare +10,6 miliardi di dollari nel 2014 per un totale di beni a sua disposizione pari a 35,3 miliardi, ma anche il solito Bill Gates (+9,1 miliardi; totale 87,6 miliardi) e Larry Ellison di Oracle (+5,7 miliardi; totale 49,4 miliardi).

In definitiva, a differenza del periodo di crescita della ricchezza seguito al secondo dopoguerra, quello attuale è sostanzialmente di natura parassitaria e quasi del tutto svincolato dall’impulso all’attività produttiva, così che non si riflette in nessun miglioramento generale degli standard di vita della popolazione. Anzi, l’economia reale continua a declinare o tutt’al più a rimanere stagnante, mentre montagne di denaro sono sottratte agli investimenti.

Al rapido arricchimento di pochi grazie alla crisi e alle politiche messe in atto dai governi corrisponde l’impoverimento di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo, come confermano numerose indagini sui livelli scandalosi di disuguaglianza raggiunti un po’ ovunque.

Mentre nel pianeta il numero di disoccupati ha toccato per la prima volta i 200 milioni e 860 milioni di persone vivono in povertà, un recente studio dell’OCSE ha messo in luce come oggi il 10% della popolazione più ricca guadagna in media 9,5 volte di più del 10% dei più poveri. Il rapporto tra le entrate del vertice e quelle della base della piramide sociale era pari a 7 a 1 negli anni Ottanta.

Tra i 34 paesi dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico le differenze sono però marcate. Se per paesi come l’Italia, il Giappone o la Gran Bretagna questo rapporto è di 10 a 1, la forbice si allarga per Grecia, Israele o Stati Uniti (tra 13 e 16 a 1) per raggiungere livelli vicini addirittura a 30 a 1 nei casi di Messico e Cile.

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