di Carlo Musilli

Con una voce chiedono all'Italia di ridurre il rapporto debito-Pil, con l'altra avvertono la Banca centrale europea che l'Eurozona è a rischio deflazione. C'è qualcosa di stonato nell'ultimo rapporto Ocse, qualcosa che non torna. L'Economic Outlook pubblicato ieri dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico somiglia molto alla ricetta di un medico che - dopo aver constatato l'inefficacia e anzi la pericolosità della terapia - si ostina a propinare al malato sempre la solita medicina.

Partiamo dai numeri. Rispetto al loro precedente rapporto, gli esperti dell'ente parigino hanno tagliato ulteriormente le previsioni sulla crescita del pianeta nel triennio in corso. Ora le stime parlano di un +2,7% per quest'anno, cui seguirà un +3,6% nel 2014 e un +3,9% nel 2015. Per la sola area Ocse è atteso un +1,2% nel 2013, un +2,3% nel 2014 e un +2,7% nel 2015. Quanto all’Eurozona, l'Organizzazione stima un Pil 2013 in calo dello 0,4%, una crescita dell'1% nel 2014 e un +1,6% nel 2015.

Quello dedicato all'Italia è un capitolo particolarmente significativo dell'Outlook. Al di là delle revisioni marginali sull'andamento del prodotto interno lordo (da -1,8 a -1,9% per il 2013 e da +0,4 a +0,6% per il 2014), a impressionare è la rilevanza attribuita al nostro debito pubblico, che secondo l'Ocse continuerà a salire rispetto al Pil (dal 127% del 2012 al 132,7% di quest’anno, fino al 133,2% del 2014). Per "assicurarne una rapida riduzione", l'Organizzazione consiglia "un programma di risanamento in qualche misura più ambizioso".

Ovvero? Sorvolando sulle dismissioni del patrimonio pubblico - che non risulteranno mai decisive - il suggerimento dell'Ocse si può interpretare solo in due direzioni: tagli alla spesa o incremento della pressione fiscale. Sul primo fronte è al lavoro il gruppo del supercommissario Carlo Cottarelli, che punta a risparmiare 32 miliardi di qui al 2016, a fronte di un debito che supera i 2mila miliardi. Quanto alla seconda possibilità, è davvero inconcepibile ritenere che ci sia margine per alzare ulteriormente le tasse: sempre ieri la Banca Mondiale ha conferito all'Italia il poco invidiabile primato di Paese con il carico fiscale più pesante d'Europa.

La vera assurdità è che non si parli mai di una semplice alternativa: per ridurre il rapporto debito-Pil, oltre ad abbattere il debito, potremmo pensare di alzare il Pil. Peccato che le stesse organizzazioni che bacchettano il nostro rapporto d'indebitamento (la Commissione europea ci ha pensato la settimana scorsa) continuino anche a imporci vincoli di bilancio depressivi per l'economia. 

Qualsiasi programmazione economica, in teoria, dovrebbe avere come stella polare la crescita dei paesi e il benessere dei cittadini. La vulgata keynesiana insegna che per riaccendere il motore di un'economia asfittica è necessario intervenire con investimenti pubblici, accettando quindi di aumentare deficit e debito pur di creare posti di lavoro e rivitalizzare i consumi.

In Europa, invece, stiamo facendo l'esatto contrario. Consideriamo i parametri finanziari stabiliti oltre vent'anni fa con il trattato di Maastricht (su tutti il famigerato deficit al 3% del Pil) alla stregua di una legge divina immodificabile e indiscutibile. E pur di rispettarla siamo disposti a sacrificare ogni cosa, crediamo perfino che 19 milioni e mezzo di disoccupati nell'Eurozona (record toccato a settembre) siano un danno collaterale tutto sommato accettabile.

E' evidente che una dinamica del genere possa avvantaggiare esclusivamente la speculazione di banche e fondi d'investimento, messi in grado di acquistare a prezzi di saldo intere fette dell'apparato produttivo e in alcuni casi anche di quello che una volta era il welfare state. A livello generale, tuttavia, è un suicidio annunciato.

E dire che ormai se ne sono accorti più o meno tutti. Il Fondo monetario internazionale ha ammesso che la strategia attuata in Grecia era sbagliata e contro la politica miope dell'austerità si sono alzate voci dal Tesoro degli Stati Uniti, dalla Commissione europea e dall'Europarlamento.

La stessa Ocse si è resa conto che qualcosa non va, quantomeno sul fronte dei prezzi. Sempre nell'ultimo Economic Outlook, l'Organizzazione ha notato che nella zona euro "l'inflazione di fondo è attesa a livelli molto bassi, appena sopra l'1% il prossimo anno e marginalmente più alta nel 2015. Un risultato che sarebbe ben al di sotto la definizione di stabilità dei prezzi della Bce".

Il pericolo dietro l'angolo è la deflazione, ovvero l'inflazione negativa, che innescherebbe una spirale mortifera e difficilissima da invertire (chiedere al Giappone). Secondo l'Ocse, questo rischio aumenterà se la crescita economica non sarà rafforzata. Certo, se non cambiamo le regole servirebbe un miracolo. Peccato che il dio di Maastricht sia sordo da quell'orecchio. 

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