di Carlo Musilli

Uscire dall'oscurità non vuol dire necessariamente camminare verso la luce. Purtroppo esiste anche la penombra. In questa sorta limbo si trova al momento l'Eurozona, sospesa fra una recessione ormai alle spalle e una ripresa difficile da pronosticare. Secondo le ultime stime preliminari pubblicate da Eurostat, dopo sette trimestri consecutivi con il segno meno, fra aprile e giugno il Pil dell'area valutaria è cresciuto dello 0,3% rispetto ai tre mesi precedenti (un risultato migliore delle previsioni, che non andavano oltre il +0,2%), mentre su base annua ha registrato ancora una contrazione dello 0,7%. Allargando lo sguardo all'intera Unione europea, il Pil ha segnato un +0,3% su trimestre e un -0,2% su anno.

I numeri complessivi sembrano incoraggianti, ma nascondono al loro interno profondi squilibri fra i diversi Paesi. L'Italia, ad esempio, è rimasta in territorio negativo, facendo segnare un -0,2% su trimestre e un -2% su anno.

Male nel confronto con il periodo gennaio-marzo anche la Spagna (-0,1%), l'Olanda (-0,2%) e Cipro (-1,4%). A trainare la ripresa sono invece Germania (+0,7%, il risultato migliore da un anno a questa parte), Gran Bretagna (+0,6%) e Francia (+0,5%, record dal primo trimestre 2011). Quello di Parigi è un balzo inatteso (+0,1% le previsioni), che porta il Paese fuori dalla recessione dopo due trimestri in rosso.

Su base annua le contrazioni più gravi sono quelle di Cipro (-5,2%) e della Grecia (-4,6%), mentre la crescita più significativa si registra in Lettonia (+4,3%) e Lituania (+4,1%). Germania e Francia hanno segnato rispettivamente +0,5% e +0,3%.

"Chiedo ai politici europei, così come ai partner sociali, ai capi d'azienda, agli accademici e ai commentatori di cogliere questa opportunità - ha scritto Olli Rehn, vicepresidente della Commissione europea -. Una ripresa sostenuta ora è alla portata, ma solo se persevereremo su tutti i fronti della nostra risposta alla crisi: mantenendo il ritmo della riforma economica, riprendendo il controllo sulla nostra montagna di debiti, pubblici e privati, e costruendo i pilastri di una vera unione economica e monetaria senza quelle scappatoie in cui banchieri irresponsabili o politici miopi possono prosperare".

Digeriti i numeri e gli ammonimenti, resta da capire per quale motivo sia ancora avventato parlare di ripresa. Innanzitutto, uno sguardo al lavoro: secondo i dati diffusi da Eurostat a fine luglio, i disoccupati nell'Eurozona sono 19 milioni 266 mila.

A giugno il tasso medio di disoccupazione nell'unione valutaria si è attestato al 12,1% (stesso dato dell'Italia), ma anche in questo caso le differenze fra i vari Paesi sono macroscopiche: in Spagna e Grecia i senza lavoro sono rispettivamente il 26,3% e il 26,9%, mentre in Germania  e Austria la percentuale scende al 5,4% e al 4,6%. Nel nostro Paese a preoccupare sono soprattutto i giovani, in cerca di occupazione nel 39,1% dei casi. In un quadro così frammentato, rimane quanto mai difficile ipotizzare soluzioni comuni a livello europeo. 

Strettamente connesso al dramma del lavoro è il tema del credito alle imprese, che - secondo le rilevazioni della Banca centrale europea - si è irrigidito ulteriormente nel secondo trimestre. La Royal Bank of Scotland, inoltre, ha calcolato che le banche dell'Eurozona dovranno ridurre le proprie attività (crediti inclusi) di circa 3.200 miliardi di euro nei prossimi 3-5 anni. E questo aumenta il rischio di una nuova contrazione dei prestiti, minando uno dei pilastri su cui dovrebbe poggiare la tanto vagheggiata ripresa.

Sempre più colpite dal credit crunch, le aziende continuano a ridurre i loro investimenti: nel primo trimestre dell'anno il tasso calcolato da Eurostat è calato al 18,8%, dal 19,5% registrato negli ultimi tre mesi del 2012. Si tratta del nuovo minimo storico da quando l'istituto di statistica ha iniziato le rilevazioni.

Quanto ai consumi, sono ancora troppo deboli: a giugno le vendite al dettaglio nell'Eurozona hanno subito una contrazione dello 0,5% su mese e dell’1,1% su anno.

Tutti questi segnali di debolezza non esauriscono certo i fronti su cui bisognerebbe agire, ma danno la misura di quanto fragili siano le basi della futura crescita, anche per la diversità dei problemi e delle soluzioni richieste nei vari Paesi dell'Eurozona. Dal buio pesto siamo passati alla penombra, ma il famoso tunnel è tutt'altro che finito.  

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