di Carlo Musilli

L'Eurozona dà i numeri, Berlino resta immobile e finché può incassa i dividendi della paura. Negli ultimi giorni una serie di dati allarmanti ha fatto luce sulla situazione economica nell'are valutaria: disoccupazione record all'11%, produzione manifatturiera in calo da 10 mesi consecutivi, fiducia delle imprese a picco. Recessione assicurata. Purtroppo a Bruxelles l'economia reale non va molto di moda e i capi di Stato e di governo continuano a litigare su temi finanziari.

Si ripete che l'obiettivo è lavorare su due binari: sicurezza dei conti pubblici e crescita. Peccato che fino ad ora non sia stato nemmeno ipotizzato un provvedimento decisivo per far ripartire il Pil. Quanto ai bilanci, l'unica strada percorsa è quella di punire chi sta peggio con misure d'austerità che aggraveranno la recessione.

L'ostacolo più evidente verso una politica meno autolesionista è naturalmente il veto della Germania. Un'opposizione facilmente comprensibile, considerando che da mesi la prima economia del continente fa affari d'oro sulle disgrazie altrui. Con la crisi ormai generalizzata e la volatilità che domina, gli investitori puntano sui titoli di Stato tedeschi, i Bund, come veri beni-rifugio. Il risultato è che Berlino ormai si rifinanzia sui mercati con tassi d'interesse sempre più vicini allo zero (venerdì i rendimenti sui titoli biennali sono scivolati addirittura in territorio negativo).

Tutto questo contribuisce a far impennare gli spread e sottrae risorse ai paesi in difficoltà, dirottandole verso i più sicuri porti tedeschi. Ma il vantaggio per la Germania non è solo sul fronte dei conti pubblici: il dominio del Bund fa sì che anche le banche private e le aziende tedesche siano in grado di raccogliere denaro pagando tassi d'interesse pressoché ridicoli. Inoltre quegli stessi istituti di credito - pur non avendone bisogno - hanno potuto attingere all'oceano di liquidità arrivato dalla Bce, che nei mesi scorsi ha inondato il mercato bancario con prestiti triennali al tasso bassissimo dell'1%. Erano finanziamenti pensati per le banche dei paesi strangolati dalla crisi, ma pazienza. Tutti mangiano quando il buffet è gratis.

Il punto è che non si potrà andar avanti così ancora a lungo. Un avvertimento importante è arrivato da Martin Schultz, ex libraio tedesco, oggi presidente dell'Europarlamento: "Berlino deve riflettere - ha detto -. Di questo passo, con questi differenziali nei tassi, non ci sarà più un mercato per i prodotti della Germania, perché gli altri non avranno i soldi per comprarli". Sembra un'ovvietà, ma a quanto pare non lo è per chi governa al Bundestag.

La cancelliera Angela Merkel, il guru del rigore, professa la stabilità dei bilanci come una religione, ma allo stesso tempo boccia qualsiasi provvedimento a livello europeo che potrebbe aiutare a perseguire l'obiettivo. Dopo il no agli eurobond (su cui però ancora si discute), frau Merkel ha rispedito al mittente anche altre due proposte importanti: la mutualizzazione del debito sovrano e la creazione di un'unione bancaria europea.

La prima consiste nel  finanziare la parte dei debiti pubblici che eccede il 60% del Pil attraverso un fondo garantito collettivamente dagli stati dell'Eurozona. La seconda, lanciata direttamente da Bruxelles e sostenuta con forza dal presidente della Bce, Mario Draghi, prevede la centralizzazione della vigilanza sul settore bancario, la garanzia unica sui depositi e la possibilità per gli istituti di accedere direttamente ai prestiti dell'Esm, il nuovo fondo salva-Stati europeo.

Ognuna di queste idee sottintende che i rischi - e quindi le garanzie da fornire - scavalchino i confini dei singoli paesi e si allarghino all'intera Eurozona. Chi è più ricco ha più da perdere. Per questo la cancelliera continua a dire "nein".

A livello politico, la Merkel al momento è isolata fra i big mondiali, ma la sua posizione potrebbe tornare a rafforzarsi. Venerdì gli irlandesi hanno detto sì al Fiscal compact (il referendum si è chiuso con il 60% di voti favorevoli), accettando di proseguire sulla strada dell'austerity pur di incassare le prossime rate di aiuti internazionali.

Ma dopo la vittoria tutto sommato marginale incassata a Dublino, la Germania attende con ansia le elezioni legislative in Francia. In caso di sconfitta dei socialisti, il neo presidente François Hollande dovrebbe allearsi con il Front de Gauche (a meno di un'improponibile coabitazione con l'Ump gaullista), il che limiterebbe molto i suoi margini d'azione a Bruxelles. E la cancelliera si ritroverebbe di colpo senza un solo nemico credibile.

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