di Mario Braconi

Anche se la strada per la risoluzione della crisi dell’euro indotta dalla speculazione internazionale è chiara, l’ostinazione tedesca rischia di condurre un intero continente al disastro. In effetti, la crisi finanziaria che sta attanagliando l’Europa e che inevitabilmente si propagherà per il resto del mondo, rappresenta il fallimento della politica. A queste amare conclusioni si viene indotti apprendendo l’esito dell’incontro dell’Eurogruppo (i ministri finanziari dei 17 Paesi dell’area Euro), tenutosi l’altro ieri.

L’unico dato certo è l’intransigenza tedesca a contrastare ogni tentativo di trasformare la Banca Centrale Europea in prestatore di ultima istanza sul modello della Federal Reserve americana. In presenza di questo tabù imposto a centinaia di milioni di cittadini di altri stati-partner (?) da un unico governo in vena di dominio mondiale, l’unica strada possibile è puntare sulla EFSF (European Financial Stability Facility).

Peccato, davvero, che la dotazione del fondo sia insufficiente a contrastare la marea ribassista della grande speculazione, che continua a buttare giù i corsi dei titoli di stato dei Paesi sotto attacco. Non avere una vera rete di protezione contro i tentacoli degli speculatori e le reazioni isteriche dei tarantolati dal panic selling significa portare a casa un debito pubblico sempre più caro. Il conto degli interessi futuri (multipli rispetto a pochi mesi fa) si abbatte come un ariete sulla fragile architettura delle manovre finanziarie disegnate per riportare in pareggio i bilanci, trasformando lo scenario di lacrime e sangue in una Apocalisse della finanza pubblica.

L’Italia deve garantire quasi l’8% di interessi per farsi prestare denaro a tre anni mentre sul mercato secondario un BOT con vita residua di 4 mesi circa rende più del 5%: non è dunque fuori luogo il monito di Olli Rehn, capo economista della Commissione Europea, il quale ha avvisato Monti che l’Italia dovrà assumere ulteriori misure rispetto ai piani già adottati per riuscire a conseguire l’obiettivo del pareggio nel 2013. Ma questo non interessa alla signora Merkel, decisa a tutto, pur di non mettere in discussione il dogma di fede germanico di una Banca Centrale Europea che non potrà mai essere prestatore di ultima istanza; e, naturalmente, a punire puntigliosamente i cittadini dei paesi governati da buffoni dalle mani bucate.

I risultati di questa politica brillante si vedono: la grande idea partorita dal summit dell’altro ieri è stata, niente meno, quella di bussare alla porta del Fondo Monetario Internazionale, cui si chiede, ormai in modo esplicito, un aumento del supporto indiretto (tramite la EFSF) che diretto (mediante la negoziazione di “bilaterali” con i Paesi in difficoltà).

A conferma dell’infimo livello della politica europea bastano le parole del capo di EFSF, Klaus Regling, il quale ha confidato alla Reuters di avere seri dubbi sul fatto che gli investitori metteranno molto denaro nel Fondo nei prossimi giorni o nelle prossime settimane, aggiungendo di non essere in grado di tirare fuori una stima su quanto potrebbe valere a regime la potenza di fuoco dello strumento.

Non proprio il genere di discorso che possa far scaldare il cuore ai mercati. Non è stato da meno Jan Kees de Jager, ministro delle finanze di un altro Stato a tripla A, l’Olanda: “Dobbiamo guardare al FMI, che potrebbe rendere disponibili denari per il fondo di emergenza. Credo che i paesi europei e non dovranno prepararsi a versare più denaro al Fondo Monetario”.

In effetti, a dispetto dell’oltranzismo della Germania, qualcosa si sta muovendo dietro le quinte, se è vero che secondo il 40% degli economisti sentiti da Reuters per un sondaggio, è possibile che entro sei mesi la Banca Centrale Europea farà “quantitive easing” ovvero stamperà moneta per assorbire emissioni obbligazionarie di euro-stati in difficoltà.

Come scriveva ieri sul Guardian l’economista Mark Weisbrot, quella che stiamo vivendo è, più che una crisi del debito, una crisi dettata dall’incapacità dei politici europei, le cui mani sono legate da idee obsolete e pericolose: non aver soccorso la Grecia un anno e mezzo fa ha già scatenato una crisi disastrosa, di cui tutti i popoli europei dovranno pagare le conseguenze in termini di austerità, tagli allo stato sociale, tasse più elevate, erosione dei diritti.

La folle politica del “rischio calcolato”, condotta dalla Germania, è interamente centrata sull’obiettivo di ricondurre all’ordine gli altri Paesi, senza alcuna considerazione per ciò che è veramente necessario: stimolare la crescita all’interno e all’esterno dell’Area. Weisbrot ricorda come dal 2008 la Federal Reserve americana abbia “creato” oltre 2.300 miliardi di dollari poi usati per comprare titoli-carta straccia: perché la BCE non può fare altrettanto?

Se non si sono verificati problemi di inflazione negli USA, si può ritenere che lo stesso potrebbe accadere anche in Europa. L’inerzia della politica europea è un rischio anche per le economie esterne all’Area euro. Per questa ragione, Weisbrot sta raccogliendo firme alla sua petizione con la quale chiede alla Federal Reserve di dare il buon esempio, comprando essa stessa titoli di stato europei. Una provocazione? Forse, ma se fossero un po’ più responsabili, i politici europei dovrebbero prenderla in considerazione.

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