di Carlo Musilli

Certi giorni la Borsa è un luogo incantato, regno della speranza. Ieri è stato uno di quei giorni. Eppure le premesse lasciavano presagire tutt'altro. L'agenzia di rating americana Moody's aveva evocato possibili "default a catena" nell'Eurozona, mentre dall'Ocse erano arrivati drammatici tagli alle stime di crescita per il 2012. In risposta, i listini europei hanno registrato un boom che non si vedeva da tempo, ben oltre il solito "rimbalzo tecnico" che tradizionalmente fa seguito a un'infilata di chiusure in rosso. Parigi ha guadagnato addirittura il 5,46%, Francoforte e Milano il 4,6%, appena un centesimo sotto Madrid (+4,59%).

Sembra una follia, considerando lo scenario lugubre che si apre di fronte alle nostre economie. Ma nel regno della fantasia tutto è possibile, specialmente quando si tratta di far salire il prezzo delle azioni. Come al solito, si compra sulle voci. Non sulle notizie.

Stavolta la trionfale cavalcata borsistica è stata propiziata dalle indiscrezioni comparse sulla stampa tedesca e italiana. Domenica il quotidiano La Stampa ha scritto che il Fmi avrebbe concesso al nostro Paese un prestito da 600 milioni nel caso in cui la crisi dei conti pubblici si fosse ulteriormente aggravata. I fondi sarebbero stati restituiti con interessi molto vantaggiosi, compresi fra il 4 e il 5%, ben al di sotto dai rendimenti di mercato, e avrebbero dato al governo Monti 18 mesi di tempo per varare le riforme necessarie. Una manna dal cielo, peccato che ben presto sia arrivata una secca smentita: "Non ci sono colloqui con le autorità italiane su un programma di finanziamento", facevano sapere ieri mattina dall'istituzione con sede a Washington.

Parole che non sono bastate a calmare l'euforia dei mercati, galvanizzati in modo decisivo da un altro motivo di speranza. Secondo il sito internet della tedesca Bild (il giornale più letto d'Europa), da giorni sarebbero in corso trattative segrete fra Angela Merkel e Nicolas Sarkozy per arrivare a una modifica lampo dei trattati europei. La rapidità sarebbe garantita dal modello degli accordi di Schengen: una serie di intese bilaterali fra i Paesi disposti a dare subito l'ok.

Poi chi vuole si aggrega alla comitiva. Lo scopo sarebbe di creare un nuovo Trattato di Stabilità europea da approvare già all'inizio del prossimo anno. Pare che nel testo siano previste sanzioni contro gli Stati che non rispettano le regole di bilancio (fino alla perdita di sovranità per i casi più gravi) e controlli comunitari sui conti di ogni paese.

Queste voci hanno iniziato ad avere una qualche concretezza soltanto ieri pomeriggio, quando in un comunicato dei più vaghi il governo di Berlino ha ammesso che, al prossimo vertice Ue del 9 dicembre, Francia e Germania "presenteranno proposte comuni". Insomma, nessuna smentita. La febbre da rialzo pareva a questo punto giustificata, tanto più che nel frattempo Jens Weidmann, il presidente della Bundesbank, per la prima volta si era detto possibilista sull'emissione degli eurobond, fino ad allora tanto vituperati dai tedeschi.

D'altra parte, che questo ambizioso progetto possa davvero realizzarsi, per giunta in tempi così stretti, è tutto da dimostrare. Perciò adesso mettiamo da parte la fantasia e leggiamo un po' di dati Ocse. Numeri gelidi, impietosi, ma - questi sì - calcolati su base scientifica. Secondo l'organizzazione internazionale, "le economie avanzate stanno rallentando e l'eurozona appare in lieve recessione". Rimangono "seri rischi di peggioramento legati alla possibilità di un default sovrano e dei suoi effetti sui creditori, alla perdita di fiducia nei mercati del debito e nell'unione monetaria stessa". Prospettive particolarmente buie per l'Italia, che l'anno prossimo vedrà contrarsi il suo Pil dello 0,5% (contro il +1,6% prospettato solo sei mesi fa). La disoccupazione, invece, aumenterà all'8,3%.

A questi oscuri presagi si affiancano quelli di un'istituzione per sua natura meno credibile, ma ben più minacciosa. L'agenzia Moody's ha lanciato un allarme catastrofico: le probabilità di più default fra i paesi dell'area euro "non sono più insignificanti". E una serie di fallimenti "aumenterebbe significativamente la possibilità che uno o più paesi, oltre al default, escano da Eurolandia".

Tutti segnali ignorati ieri dai mercati finanziari. In ogni caso l'exploit borsistico di un lunedì finalmente roseo non è sufficiente ad allentare la tensione sul mercato obbligazionario. Lo spread sui nostri titoli di Stato rimane ancora pericolosamente vicino ai 500 punti e nell'ultima asta del Tesoro i Btp a 15 anni sono stati piazzati con un rendimento del 7,30% ( ben oltre quel 7% considerato dagli analisti come soglia di non ritorno).

Oggi e domani Monti sarà a Bruxelles per partecipare a Eurogruppo e Ecofin in qualità di ministro dell'Economia. Quando tornerà, dovrà limare le misure da mettere in campo il prossimo 5 dicembre, quattro giorni prima del vertice europeo. Insomma, non ci rimane molto da attendere. Ancora un paio di settimane e sapremo se ieri le borse hanno avuto ragione.

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