di Mario Braconi

Il presidente della Commissione Europea Barroso ha presentato così l’idea di una nuova imposta sulle transazioni finanziarie: “Negli ultimi tre anni, gli Stati membri hanno speso 4.600 miliardi di euro in operazioni di sostegno alle banche in crisi, sotto forma di liquidità o di garanzia. E’ giunto ora il momento per la finanza di restituire qualche cosa sotto forma di un contributo alla società”. Da un punto di vista dei principi, persino sotto il profilo etico, il ragionamento è ineccepibile, anche se, analizzato un po’ più da vicino, il provvedimento presenta molti punti di attenzione.

Innanzitutto, non è chiara la destinazione del denaro che verrebbe raccolto con la potenziale nuova imposta: secondo i calcoli della commissione, una Tobin Tax dello 0,1% sulle transazioni aventi ad oggetto obbligazioni e dello 0,01% su tutte le altre dovrebbe produrre, dal 2014 in poi, un gettito di 54 miliardi di euro, che dovrebbero essere utilizzate per finanziare il fabbisogno finanziario della Commissione.

Ora, è vero che la somma di cui si parla, sempre che sia realistica, paragonata ai volumi in gioco quando si tratta di effettuare interventi massici a favore dei paesi membri rischia di sembrare una goccia nell’oceano. Tuttavia, sarebbe stato politicamente più vendibile immaginare di destinare il gettito della nuova tassa ad esempio alla patrimonializzazione del Fondo Europeo di Stabilizzazione Europea; fermo restando che non è certo con una simile somma che si possono cambiare le cose.

Anche se può contare sul supporto del presidente di turno dell’Unione Sarkozy, che spera metterla in agenda al prossimo G20 di novembre a Cannes, da un punto di vista pratico la proposta non sembra avere le ali molto robuste. Per funzionare, la futura tassa dovrebbe essere applicata unanimemente da tutti e 27 gli stati membri: ed è evidente che ce ne è uno in particolare, la Gran Bretagna, che vede la Tobin Tax come il fumo negli occhi. Anche dal Ministero del Tesoro fanno sapere di non avere obiezioni di principio a questo tipo di provvedimenti, la tassa dovrebbe essere applicata in modo globale.

Tradotto: non abbiamo nessuna voglia di fare il tifo per una nuova tassa che potrebbe avere impatti negativi sulla City e soprattutto che incontra la fiera opposizione degli americani. C’è dell’ironia, peraltro, nel fatto che la Gran Bretagna, dal 1600 circa, applica a tutte le transazioni azionarie una piccola imposta di bollo: strano che gli scrupoli vengano fuori solo quando si tratta di far affluire qualche sterlina a Bruxelles.

Nonostanti le buone intenzioni del provvedimento e la sua vendibilità politica popolare (Barroso ha citato un sondaggio dell’Eurobarometro secondo cui il 65% degli Europei sosterrebbe l’applicazione della Tobin Tax nell’Area), un nodo importante è quello dell’impatto sui cittadini. Anche se alla Commissione già si sbracciano a precisare che la tassa non verrà applicata alle transazioni finanziarie chiuse con privati o piccole imprese, tutti sanno quello che accadrebbe veramente: le banche continueranno ad operare sui mercati, anticipando le tasse che gireranno a tutti i loro clienti (imprese, famiglie, istituzioni) nascondendole abilmente dietro un qualsiasi schermo di commissioni. Insomma benché i principi siano pienamente condivisibili, il modo in cui si sta muovendo la Commissione sulla Tobin Tax suscita più perplessità che ammirazione.

 

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