di Giuliano Luongo

Ormai è ufficiale: dopo Grecia ed Irlanda, il Portogallo é il terzo paese europeo a chiedere un bail out gigantesco - 75 miliardi di euro - per venir fuori da una situazione economica disastrata, raggiunta grazie al solito mix di politiche economico-finanziarie allegre. E’ d’obbligo riassumere in poche parole quali brillanti strategie governative abbiano portato sull’orlo della bancarotta il paese guidato dal governo del socialista José Socrates: il mix di crisi globale e crisi europea, sommato alla latente stagnazione dell’economia portoghese alla quale faceva eco una disoccupazione crescente, aveva costretto il governo ad adottare una sorta di “pacchetto per l’austerità”, come del resto andavano facendo altri governi europei.

Sulla base di un infame deficit del 9,4% (ricordando che il Patto di Stabilità e Crescita pone il tetto al 3%, “appena” sei e mezzo maledetti punti percentuali prima), a metà 2010 il governo puntava a migliorare la situazione grazie ad un mix di incremento della tassazione, riduzione dei servizi pubblici e tagli agli stipendi dei dipendenti statali: tutto ciò per ridurre questo iniquo valore numerico di 5 punti percentuali per la metà del 2011. In ogni caso, “misteriosamente” la spesa pubblica continuava a mantenersi alta, innescando un richiamo sia dall’Ecofin che dall’OCSE per rafforzare le misure restrittive: il governo sembrò ubbidire, andando però contro il 99% delle promesse elettorali.

A peggiorare la situazione della reputazione dell’Esecutivo contribuì un dettagliato report del quotidiano Diario de Noticias, che spiegava la “ricetta” della disastrata situazione economica nazionale, esplosa nell’ultimo triennio a causa della congiuntura internazionale: assunzioni statali fasulle e stipendi gonfiati, bolle speculative edilizie innescate da oscure connessioni tra settore pubblico e privato, gestione truffaldina dei fondi europei e, dulcis in fundo, ristrutturazione fallace delle finanze statali tramite erogazione di bond troppo onerosi.

Risultati? Un paese di fronte alla bancarotta che non potrà pagare i 9 miliardi di euro di bond che matureranno nei prossimi due mesi. Magra consolazione rimane la sfiducia verso Socrates, mentre si attende il suo sostituto che uscirà dalle elezioni del 5 giugno prossimo; senza dimenticare che gli ultimi tentativi di adottare misure restrittive sono sfumati a causa della mancata convergenza parlamentare.

L’avventura della richiesta del prestito di emergenza è iniziata il 7 aprile, quando il Ministro delle Finanze lusitano, Fernando Teixeira dos Santos, ha dichiarato di avere in agenda un incontro (l’8 aprile in Ungheria) con i vertici di 16 paesi comunitari per discutere dei dettagli del prestito stesso. Un passo necessario se non obbligatorio? A quanto pare sì, a voler prendere per buone le parole dello sfiduciatissimo (non solo metaforicamente) Socrates, che ha messo il suo paese nella tipica non felice situazione finanziaria di chi si trova prima ad erogare bond con interessi clamorosi, per poi a non avere i soldi per pagarli.

Il perché è presto detto: un titolo di stato lusitano decennale offre un interesse del 5,9%, di gran lunga più di quanto possa offrire un titolo trentennale dello Stato tedesco. In questa fase preliminare di richiesta di prestito, nodo cruciale della faccenda era l’ammontare del tasso d’interesse da applicare sulla restituzione del prestito. Una prima proiezione lo vedeva in potenza da definire sulla base di quello affibbiato agli amici ellenici, che si troveranno a pagare il 3,5% per i primi tre anni, e poi il 4,5% per i seguenti.

In ogni caso, il meeting di Budapest ha portato risultati in linea con le aspettative della vigilia. I Ministri delle Finanze europei si sono trovati d’accordo sulla necessità di supportare il Portogallo, decidendo d’inviare a Lisbona una commissione congiunta - composta da membri della Commissione Europea, della BCE e del Fondo Monetario Internazionale - allo scopo di negoziare l’accordo per il prestito entro il 16 maggio, tre settimane prima delle elezioni politiche portoghesi.

Le stime preliminari vedono l’ammontare del prestito a 80 miliardi di euro, da erogare a condizione che il Portogallo metta in pratica un pacchetto revisionato di misure economiche restrittive: dovrà essere garantita l’efficacia dei tagli alla spesa pubblica e, soprattutto, dovrà essere effettuata una forte deregulation finanziaria per facilitare la ripresa. Come nei precedenti bail out, il prestito sarà erogato per due terzi dell’Unione Europea e per un terzo dal Fondo Monetario Internazionale. Va notato come al desiderio di “velocità d’esecuzione” espresso dal numero 1 del Fondo Dominique Strauss-Kahn (“il Fondo è pronto a muoversi rapidamente”) fanno potenzialmente da controcanto le voci del Ministro delle Finanze francese Christine Lagarde (già alquanto scettica su tutti i negoziati) e della mitica cancelliera Angela Merkel, la cui posizione politica traballa sempre più: un ulteriore atto di supporto economico all’estero potrebbe innescare una dura reazione elettorale nei vari fronti conservatori e antieuropeisti del suo paese.

Sarà interessante notare anche come la classe politica portoghese prenderà l’onere di far passare una larga serie di misure restrittive altamente impopolari, per il lobbista più corrotto come per l’elettore medio. Secondo il Presidente portoghese Cavaco Silva sarebbe utile iniziare con delle misure “ad interim” (cioé non troppo dannose per i politici che le prendono ndr) per poi mollare la patata bollente al governo che uscirà vincitore a giugno. In ogni caso, dal 12 aprile Bruxelles ha già messo, i propri uomini in Portogallo per valutare le modalità dell’implementazione del pacchetto di misure e l’erogazione del prestito stesso. In questo frangente, come detto, bisognerà aspettare ancora qualche settimana per avere delle informazioni adeguate.

Eppure qualcosa già si muove, se spostiamo lo sguardo sui mercati limitrofi. L’invio di questo vistoso SOS da parte dei lusitani ha avuto un effetto positivo sui mercati europei delle obbligazioni di stato, facendo passare il messaggio che se il Portogallo riceve aiuto il contagio non si propagherà più di tanto (leggasi: non si propagherà alla Spagna ndr), aiutando il valore dei bond iberici in primis e di altri paesi comunitari, tra cui quelli tedeschi. Sarà, ma in ogni caso, anche dopo l’aiuto all’Irlanda il Portogallo si riteneva potenzialmente salvo, quindi francamente il preoccuparsi continua ad essere un’abitudine.

A voler avere un minimo d’occhio critico, infatti, basterà notare come il disastroso malgoverno portoghese non è pratica sconosciuta anche agli altri paesi europei mediterranei a rischio, com’è abitudine nota quella di sfruttare i bond per uscire dai guai. E’ quantomeno evidente che rassicurare il mondo economico sullo stato di salute delle casse statali degli altri paesi a rischio contagio è un tentativo per mantenere accettabile il valore delle obbligazioni di questi ultimi, onde evitare un quarto e quinto episodio di bail out: necessario per non annegare a breve, disastroso in lungo periodo, perché si fomenta un comportamento da truffatore da strada da parte dei governi. Per ora, comunque, non resta che attendere di vedere cosa - e come - sarà deciso sul Portogallo: la catena di eventi economici che scaturiranno da questi negoziati è ancora tutta da definire.

 

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