di Giuliano Luongo

Dopo le diatribe politiche di qualche mese fa riguardo il rinnovo del Trattato di Bengasi - discussa intesa fortemente voluta dal magico duo Berlusconi e Gheddafi in tema di immigrazione e soprattutto di economia - da circa una settimana si parla nuovamente di Libia, stavolta strettamente a livello di imprese: il fondo sovrano LIA (Libyan Investment Authority) ha comunicato l’acquisto del 2,01% della nostra Finmeccanica, facendo un nuovo passo avanti nella colonizzazione inversa da parte di Tripoli negli affari italiani.

Non che questo debba stupire, specie tenendo a mente i precedenti non solo al livello delle relazioni internazionali tra i due paesi, ma proprio in tema di accordi tra le due imprese: è già dai tempi del lancio del Trattato di Bengasi nel 2008 che i libici hanno provato interesse per il gruppo di piazza Monte Grappa, ed è dalla metà del 2009 che è stata ventilata questa acquisizione.

Come riportava il Sole 24 Ore il 5 luglio 2009, il LIA puntava all’acquisizione di circa il 2% di Finmeccanica, tramite un’operazione per il valore di “appena” 112 milioni di Euro. All’epoca dei fatti, da Finmeccanica ci fu una secca negazione della potenziale vendita, nonostante già da qualche tempo aleggiasse dai palazzi di governo l’idea di qualche intesa più forte a livelli di imprese, sull’onda di quanto reciprocamente accordato in quel di Bengasi l’anno prima. Lo stesso Ministro Frattini prospettava numerose intese con la Libia, vista come un partner affidabile da non ostracizzare a causa delle sue “abitudini politiche”.

In ogni caso, l’accordo non si concretizzò in una compravendita, ma in un più generale memorandum of understanding, che gettava le basi per la costituzione - nell’arco di un anno - di una joint venture 50/50 formata da Finmeccanica e LAP, altro fondo libico controllato dalla Libyan Investment Authority. Naturalmente, non ci si è fermati qui. La Finmeccanica, infatti, ha imposto la propria presenza in Libia attraverso sue società come la Selex Sistemi Integrati - società che produce sistemi e radar per la difesa aerea, la gestione del campo di battaglia e in generale “prodotti per l’homeland security” - la quale, nell’ottobre del 2009, ha dato il via ad un accordo da 300 milioni di euro per la protezione e sicurezza dei confini. Ad agosto dell’anno successivo, la compagnia di piazza Monte Grappa si è aggiudicata una serie di commesse per un valore pari a 247 milioni di euro attraverso il Consorzio costituito da Ansaldo Sts e Selex Communications Zarubezhstroytechnology (società controllata dalle Ferrovie Russe) per realizzare infrastrutture sul territorio libico, in particolare sulla tratta da Sirth a Bengasi.

Prima di chiudere la parentesi di background, riportiamo un ultimo fatto che può fungere da interessante anello di collegamento tra presente e passato (prossimo). Tra i vari dubbi (e discussioni) generati dalla potenziale acquisizione, si parlava della cifra che sarebbe andata nelle mani libiche: il governo italiano, infatti, forte del suo 30% in Finmeccanica, deve dare il proprio placet per ogni acquisizione che superi il 3%.

E torniamo all’oggi. I libici sono ormai in Finmeccanica. Tiepide le reazioni degli analisti, che pur non vedendo particolari cattivi auspici in merito alla transazione, nemmeno stappano lo champagne. In media il titolo viene mantenuto con un target tra i 9 e gli 11 euro, ed in particolare UBS non ritiene che ci siano particolari motivi per ritenere che il 2011 debba essere un anno positivo per la compagnia. Nonostante questo, gli stessi analisti prevedono un’ulteriore intensificazione delle relazioni commerciali bilaterali tra i due paesi coinvolti, tenendo bene a mente quanto le ultime intese siano state benefiche per Finmeccanica stessa e Ansaldo (più di un miliardo di ordini per ambo le ditte negli ultimi due anni).

Contrariata da questa ennesima liaison italo-libica è la Lega Nord, che non ha mai visto di buon occhio gli eccessi di Gheddafi non solo in tema di folklore, ma soprattutto in tema di economia: la scalata libica ai nostri gruppi bancari è stata causa di grande indignazione da parte degli unti del Po, con tanto di tentativo di ri-colonizzazione tramite loro stessi esponenti o affiliati. In ogni caso, stavolta sembrano esserci davvero delle osservazioni da fare sulla violazione della prima citata regola del 3%: il quotidiano La Padania fa notare che indirettamente tale regola sarebbe stata infranta dai libici, vista la loro partecipazione in Mediobanca che ha a sua volta una quota pari all’1% di Finmeccanica.

Invero può apparire macchinoso, ma le autorità hanno comunque deciso di approfondire, visto che alla Consob stanno già occupandosi della faccenda; per alcuni comunque il problema non sussiste, visto che, a norma di legge, per calcolare se un soggetto superi o meno una soglia del 3% del capitale di un altro, si conteggiano le azioni della controllante e dei soggetti collegati, ossia che controllano il 10% del capitale si tratta di società quotate, anche con l'adesione a un patto di sindacato. In ogni caso, andrà comunque atteso il responso dell’autorità competente.

Prima di chiudere, vengono alla mente le solite riflessioni che si prospettano ogni volta che il nostro paese si lega sempre più strettamente ad un ingombrante, scomodo ma redditizio partner mediterraneo come la Libia: continuiamo a far espandere un paese dittatoriale e generalmente scorretto in tema di politica internazionale nella nostra economia, dandogli per giunta accesso a tecnologie del settore militare. In cambio, sfruttiamo le sue flebo finanziare per ridare gas al nostro sistema economico sempre troppo traballante. Finché l’attuale governo “vivrà”, questo sembra alle alte sfere un trade-off accettabile, mentre per molti non lo sembra affatto, a cominciare dai nazionalisti coinquilini dei palazzi del potere. Anche sotto questo punto di vista, le conseguenze saranno tutte da vedere.

 

 

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