di Emanuela Pessina

BERLINO.  I contribuenti di tutto il mondo la stanno pagando cara, ma il mondo della finanza non sembra intenzionato a cambiare davvero le regole del suo gioco. Questo nonostante la recente crisi finanziaria, alla quale i governi hanno dovuto far fronte sostenendo le banche con i soldi dei cittadini per evitare il collasso del sistema. E ora il  Comitato per la supervisione bancaria di Basilea ha approvato il cosiddetto pacchetto di riforme Basilea III, con cui si promettono sicurezza e tutela per il futuro. Parole, parole e ancora parole: se il regolamento avrà degli effetti concreti non è ancora chiaro.

Per salvare le proprie banche dalla crisi finanziaria, i governi dei Paesi più industrializzati hanno impegnato finora 718 miliardi di Euro: gli istituti bancari hanno investito in titoli tossici senza valore effettivo e da questi investimenti sbagliati si sono generate enormi perdite - le famose "bolle" - cui gli istituti non hanno potuto far fronte con mezzi propri. E così numerose banche si sono ritrovate sull'orlo della bancarotta: ma il tracollo degli istituti bancari significa l'abisso anche per gli innumerevoli clienti che fanno loro capo, tra cui banche minori, piccoli risparmiatori, società, enti pubblici. Una reazione a catena dal decorso diabolico, insomma, che i governi non potevano certo permettere e che hanno dovuto impedire con ogni mezzo.

In questo modo, però, gli Stati sono stati costretti a intraprendere passi più lunghi della loro gamba. La cifra astronomica adibita alla salvaguardardia delle istituzioni bancarie è andata ad appesantire valori di debito pubblico già di per sé malati: ora ogni singolo governo si trova a fare i conti con enormi buchi da colmare il prima possibile per evitare gli effetti collaterali della “fu” catastrofe finanziaria. E l'unica misura concreta contro le spese eccessive, tanto antica quanto efficace, sembra essere il risparmio: per i governi, però, risparmio è sinonimo di tagli al sociale, quindi a sanità, istruzione e ricerca. Chi ne fa le spese, in poche parole, sono i soliti "meno abbienti". Non si hanno notizie, del resto, di strette regolamentatorie sulle attività speculative delle banche, né di misure giudiziarie a fronte di responsabilità acclarate.

Si finge solo di voler cambiare qualcosa e, come d'uso ai piani alti, lo si fa in grande stile. È questo il proposito di Basilea III, un pacchetto che dovrebbe riformare il sistema finanziario in modo da rendere più sicure le istituzioni bancarie. Basilea III punta tutto sull'aumento dei requisiti minimi di capitale per le banche. Per prevenire un'altra crisi finanziaria che coinvolga risparmiatori e governi, in sostanza, gli istituti di credito devono aumentare le dotazioni di capitale proprio rispetto alle quote di denaro investite in titoli e prestiti. Se prima il rapporto era del 4%, Basilea III propone ora di aumentare la quota di capitale proprio fino al 9%.

Teoricamente, le nuove disposizioni cambiano anche la natura del capitale proprio, che d'ora in poi prenderà in considerazione solo capitale azionario e riserve di bilancio provenienti da utili non distribuiti, e non i conferimenti di “soci taciti”, i soci che partecipano all’attività di un'impresa attraverso un conferimento che confluisce nel patrimonio del socio attivo, nonché alla distribuzione degli utili. L'obiettivo è quello di rendere il capitale netto immediatamente e effettivamente usufruibile in caso di crisi: le banche, in un certo senso, dovrebbero rendersi più autonome.

Tuttavia, nonostante l'apparente integrità dei propositi e le grosse lamentele che le maggiori banche si sono affrettate a borbottare, guardati da vicino i provvedimenti di Basilea III non sembrano essere altro che l'ennesimo bluff dei maghi della finanza. Tanto per cominciare, i tempi previsti per l'aumento di capitale degli istituti sono molto lunghi: il calendario adottato fa sì che il processo di adeguamento venga completato solo nel 2018, e questa progressione ha fatto contenti grossi azionari e le lobby dei bancari. Tempi ben diversi sono quelli che gli istituti assegnano ai piani di rientro per le esposizioni di artigiani, piccole imprese o singoli cittadini.

E anche l'aumento percentuale di capitale imposto non sembra spaventare gli istituti: basti pensare che UBS e Crédit Suisse, le maggiori banche svizzere, arriveranno probabilmente a superare di tre punti percentuali il tetto minimo previsto da Basilea III in un lasso di tempo relativamente breve. Nonostante i piagnucolii degli azionisti, quindi, le grosse banche non soffriranno particolarmente dei nuovi obblighi.

La conferma arriva da Josef Ackermann, il Chief Executive Officer della Deutsche Bank. "Basilea III è un ottimo pacchetto di riforme che sosteniamo volentieri", ha commentato Ackermann, che nel contempo è anche presidente dell'Institut of International Finance (IIF). Le sue parole vanno a riassumere il punto di vista dei veri vincitori di Basilea III, grosse banche e azionisti: il pacchetto di riforme mira prevalentemente a proteggere il buon nome delle banche centrali, ma non va a toccare i veri punti deboli della Finanza, quali i processi di gestione del rischio e della disciplina del mercato. A farne le spese sono le casse di risparmio, poiché il loro capitale è costituito per la maggior parte da conferimenti di soci taciti, quei titoli che non verranno più considerati, secondo Basilea III, come capitale proprio.

Alcuni economisti hanno definito Basiela III una decisione "bancocentrica" che non tiene conto degli errori che hanno condotto alla recente crisi. Le riforme tendono a sostenere il sistema della finanza anglosassone (che dà poca importanza al sistema bancario) basato sulla vigilanza degli istituti di emissione, e che punta tutto sulle operazioni “over the counter” e sugli operatori finanziari non bancari. Quelli che, dopo le decisioni di Basilea, continuano a essere indenni da qualsiasi regolamentazione, mentre le banche vengono messe sotto tutela. E ai quali non sembrano tremare le gambe, visto l'ottimismo che ha regnato nelle Borse in questi ultimi giorni.

 

 

 

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