di Mario Braconi

A voler essere sintetici fino alla brutalità, il cosiddetto piano Fenice può essere così riassunto: si prende l’Alitalia e la si taglia in due; si regala poi la parte ancora produttiva ad imprenditori amici (in cambio di che cosa?) mettendo in conto esuberi e debiti alla maggioranza degli Italiani che non possono e forse ormai non hanno più la forza di ribellarsi. Un percorso impervio, ma non impossibile, specialmente se si procede a mo’ di carro armato, spianando la legge sulla gestione delle crisi delle grandi imprese e quelle sulla concorrenza e se si può contare su un amico fedele alla Commissione Europea. Questo lo spot: Silvio Berlusconi, non pago della prodigiosa dematerializzazione della mondezza napoletana, ha fatto un altro miracolo: primus inter pares, chiama a raccolta un po’ d’imprenditori, i quali, galvanizzati, mettono in campo i propri capitali per salvare la compagnia di bandiera e perseguire il bene comune. Pur assuefatti, come siamo, alla retorica fasulla dei sedicenti “capitani coraggiosi” sin dai gloriosi tempi della merchant bank di Palazzo Chigi, non riusciamo a non arrossire di fronte a tanta faccia tosta. Prima di tutto, vediamo chi sono questi imprenditori, alla testa dei quali si pone Roberto Colaninno, specialista nell’utilizzo privatistico dei beni degli Italiani (Telecom Italia) nonché padre di Matteo, ministro-ombra delle Attività Produttive del PD. Se è vero che in un paese in cui i conflitti d’interesse, di ogni ordine e grado, costituiscono uno stile di vita più che un’anomalia da stigmatizzare, per onestà non possiamo astenerci dal rilevare la strana dinamica rappresentata dai due Colaninno; come vedremo di seguito, la “nuova” Alitalia è un monopolio attribuito dallo stato ad una ristretta oligarchia imprenditoriale, per cui Matteo, che di cosa pubblica si occupa per lavoro, (dall’opposizione o magari come ministro) finirà per prendere decisioni politiche su temi che hanno un impatto diretto sulle finanze di suo padre e sulle sue, dato che egli di Roberto Colaninno è socio ed erede.

Ed ora un piccolo quiz: che cosa hanno in comune tre dei sedicenti “capitani coraggiosi” (Benetton, Ligresti e Fondo Clessidra)? Sono tutti azionisti di Gemina, che a sua volta detiene il 96% di Aeroporti di Roma (ADR). In pratica, gli azionisti della prima compagnia aerea italiana saranno gli stessi del primo scalo italiano (Roma Fiumicino): chapeau! Non è solo un caso unico al mondo, ma anche un modo elegante per trasferire risorse dalle tasche di incolpevoli viaggiatori in quelle di ricchi capitalisti benedetti dalle loro amicizie romane. Senza dimenticare che le tariffe aeroportuali, cioè i ricavi di ADR, sono ferme dal 2000 e che un loro adeguamento ai livelli europei (finora reso impraticabile dal raddoppio dei costi del carburante subìto dalle compagnie aeree) comporterebbe un aumento anche del 40%; e che Gemina (con un valore di mercato di circa un miliardo) ha debiti per 1,4 miliardi di euro.

Non è difficile scrivere il finale di questa storia: il Governo, grato a Benetton per aver “dato una mano” sulla vicenda Alitalia, concederà un aumento delle tariffe aeroportuali, cosa che farà molto bene ad ADR, senza danneggiare la “nuova” Alitalia. Quest’ultima, infatti, scaricherà sui biglietti aerei l’aumento dei suoi costi (avete presente la voce “tasse aeroportuali”, quella che di solito riesce a far diventare costoso anche un biglietto super-scontato?).

Nella cordata dei beneficati dal governo c’è anche Emma Marcegaglia, imprenditrice e presidente di Confindustria, ugualmente in conflitto di interesse. La Stampa del 3 settembre ha pubblicato la lettera aperta di un gruppo di economisti italiani residenti negli USA (Bisin, Boldrin, Brusco, Moro e Topa, ispiratori del sito liberale www.voicesfromamerika.it) nella quale si esprime la seguente preplessità: siamo sicuri che un presidente di Confindustria con un interesse diretto, sia pur “simbolico”, in una compagine che a tutto è interessata fuorché alla concorrenza si trovi nella miglior condizione per promuovere concorrenza e capacità produttiva nel settore dei trasporti come prevedrebbe il suo mandato?

Insomma, nonostante Antonio Tajani, forzista di provata fede, opportunamente collocato da Berlusconi sulla poltrona di commissario UE ai Trasporti, si rallegri dell’ingresso dei soci privati “perchè così cresce la concorrenza e si rafforza il mercato in Europa”, la “nuova” Alitalia non avrà concorrenti, almeno sulle tratte italiane, e che quindi potrà praticare impunemente tariffe esose: infatti, il piano “Fenice” prevede che Carlo Toto venda alla Compagnia Aerea Italiana di Colaninno la sua Air One, unica concorrente di Alitalia sulle tratte nazionali, per 300 milioni di euro, salvo poi reinvestire nel progetto un terzo della somma. All’operazione, che come capirebbe anche un bambino di cinque anni, dovrebbe essere passata al vaglio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, viene apposto dal governo un suggello di santità.

Per concludere, si deve rilevare una incongruenza piuttosto vistosa: come mai il capitan-coraggioso Carlo Toto, che solo tre mesi fa annunciava al mercato di aver piazzato su Airbus un ordine per 24 nuovi aeromobili a lungo raggio, più opzioni per l’acquisto di ulteriori 20 velivoli (commessa complessiva 8,4 miliardi di euro) si disfa della sua azienda per soli trecento milioni di euro? Che il vero valore aggiunto apportato dal signor Toto sia quello di aver ordinato nuovi aerei senza avere i soldi per pagarli? Quasi quasi ci candidiamo anche noi per un posto in cordata…

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