di Fabio Bartolini

Circa duecento attivisti appartenenti all’associazione Greenpeace hanno bloccato la settimana scorsa gli ingressi dell’edificio che ospita il Consiglio europeo, dove si doveva svolgere un incontro dei ministri europei per la pesca e l’agricoltura per discutere delle quote massime previste per l’anno 2008 per lo sfruttamento delle risorse ittiche marittime da parte dei paesi dell’unione europea. Gli attivisti hanno improvvisato, armati di cazzuola, un muro su cui e stato appeso uno striscione recante le parole “chiuso fino a quando gli stock di pesce si ripopolano”. I manifestanti si sono poi seduti davanti al muro opponendo resistenza allo spostamento forzato messo in atto dalle forze dell’ordine accorse in numero elevato. La protesta di Greenpeace porta in risalto il problema mai risolto dell’eccessivo sfruttamento delle risorse ittiche da parte dell’uomo che sta conducendo ad un collasso dell’ecosistema marittimo in tutto il mondo con il conseguente rischio d’estinzione per molte specie marine. "I Consigli della pesca sono stati un grande disastro per la pesca - ha dichiarato la responsabile della politica marina di Greenpeace Saskia Richartz - a meno che non avvengano dei cambiamenti e non sia ceduto del potere ai ministri europei dell'Ambiente, la pesca europea dovrà affrontare un collasso economico e di biodiversità". La proposta avanzata da Greenpeace é quindi vedere i ministri dell’ambiente dei paesi europei prendere le redini della situazione per tutelare i mari e gli oceani dallo sfruttamento incondizionato messo in atto dal mercato economico.

La riunione dei ministri per decidere le quote per l’anno 2007 si era conclusa con l’assunzione da parte delle istituzioni di un impegno concreto per limitare lo sfruttamento degli stock più a rischio e di sottrarre alle future quote di pesca tutti i quantitativi pescati in eccesso. Questo principio non e sempre stato applicato nonostante la garanzia di più controlli.

La mancanza di un serio sistema di monitoraggio del pescato per arginare il fenomeno della pesca illegale al di fuori delle quote stabilite o addirittura senza nessuna quota, e l’insufficiente penalizzazione ricevuta dai soggetti colti in reato non ha diminuito l’accentuarsi della crisi degli stock a rischio.

Gia nel marzo del 2007 la Fao, nel rapporto biennale sullo stato della pesca e dell’acquicoltura nel mondo, (denominato SOFIA) aveva lanciato l’allarme per molti stock di pesci migratori messi a rischio dall’eccesso di sfruttamento e fortemente impoveriti dal sempre maggiore prelievo da cattura. Ichiro Nomura, direttore del Dipartimento della pesca e dell’acquicoltura della Fao, ha affermato che quasi la metà degli stock marini è sfruttato al massimo della capacità ovvero al limite della sua produzione sostenibile e solo una piccolissima parte è in fase di recupero dopo una situazione critica.

Le zone a destare maggiore preoccupazione sono l’Atlantico orientale, il Pacifico Sud-orientale, e le zone di pesca d’altro mare dei tonni in entrambe gli oceani. Questo andamento conferma che il potenziale di cattura degli oceani ha quasi raggiunto il suo limite con una cifra record di 95 milioni di tonnellate l’anno. Tale cifra, secondo stime dell'International Food Policy Research Institute è destinata ad aumentare fino a 116 milioni di tonnellate entro il 2020.

L’aumento indiscriminato e non regolato della pesca rischia cosi di mettere a serio rischio la sopravvivenza della biodiversità marina mettendo a repentaglio l’integrità dell’ecosistema marino. Il ripopolamento degli stock ittici é una necessità, secondo il rapporto della Fao, e va effettuato prima che l’ecosistema sia irrimediabilmente compromesso. Nel rapporto sono suggerite alcune strategie per consentire il ripopolamento delle zone ipersfruttate come la diminuzione in modo rilevante, o addirittura l’interruzione temporanea, della pesca nelle zone più a rischio, oltre che l’aumento dell’acquicoltura che può sopperire alla diminuzione di produzione da cattura.

C’e ancora molto da fare per riequilibrare l’ecosistema marino ed evitare che la situazione si aggravi e non c’e così tanto tempo prima che si arrivi alla saturazione dello sfruttamento delle risorse ittiche marine. Un costo alto che pagheremmo tutti.


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