di Sara Michelucci

Capitolo del grande romanzo russo, I fratelli Karamàzov, di Fëdor Dostoevskij, La leggenda del Grande Inquisitore viene riletto in teatro dal bravo Umberto Orsini che veste il doppio ruolo di narratore e inquisitore, fra memoria e finzione, nostalgia e sofferenza, aprendo la stagione teatrale al Secci di Terni. Azzeccata si rivela la scelta iniziale di rendere, solo con i movimenti del corpo e i gesti, quello che, successivamente, verrà spiegato attraverso le parole. Una sperimentazione, quella di Orsini, che riesce a pieno, rendendo il testo diretto.

Maglia scura e voce profonda, Orsini offre un’interpretazione interessante del famoso racconto dello scrittore russo, quello che, nel romanzo, Ivàn Karamàzov espone al fratello Aleksej, ambientandolo in Spagna ai tempi della Santa Inquisizione.

La parole fede e quella libertà predominano la scena, come se si volesse chiedere al pubblico che cosa sia l’una e cosa l’altra, mettendo al centro forse l’idea di una fede che si fonda proprio sulla libertà, criticando i grandi movimenti come il positivismo o il cattolicesimo. L’Inquisitore si rivolge a Cristo, che è tornato sulla terra, mettendolo di fronte al fatto che gli uomini non sanno che farsene del libero arbitrio, demandando ad altri le decisioni, perché è solo così che realmente si sentono liberi.

La regia è affidata a Pietro Babina, il quale non manca di originalità e sceglie di asciugare il testo e di affidare alle parole finali di Orsini il succo filosofico del racconto, che può essere apprezzato e compreso anche al di fuori del contesto del romanzo.

“Vivo da quarant’anni col Grande Inquisitore di Dostoevskij - afferma Orsini - da quando cominciai ad occuparmene in occasione dello sceneggiato che alla fine degli anni Sessanta fu realizzato da Sandro Bolchi per la Rai tv e che fu seguito da più di venti milioni di persone per otto settimane di seguito. Interpretavo il fratello Ivan e per anni mi sono sentito dire da generazioni di spettatori che venivano ad incontrarmi nei camerini dei teatri: “Ma quell’Ivan Karamazov! Ma cose così perché non ne fanno più? Sentendo nella loro voce un rimpianto e soprattutto una memoria sorprendenti”.

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