di Mario Braconi

Sono molte le ragioni per le quali la probabile approvazione del trattato commerciale multilaterale ACTA da parte del Parlamento Europeo dovrebbe interessare non solo gli adepti del pensiero libertario ma tutti i cittadini del continente. Come ricorda l’associazione per le libertà digitali AccessNow, il trattato, concepito in un contesto rigorosamente protetto da ogni forma di controllo democratico, costituisce un grave vulnus ai diritti civili degli europei.

Se verrà approvato anche dall'Europarlamento, sottoporrà l’esercizio della libertà di parola e di espressione al capriccio di società private; trasformerà gli Internet Service Provider in una polizia privata delle multinazionali, incoraggiandoli all’impiego di tecniche di sorveglianza pesanti per capire in ogni momento che cosa stiano facendo i loro clienti sulla Rete. E, soprattutto, costituirà una minaccia potente all'innovazione tecnologica e alla creatività: le innovazioni software vengono sviluppate in un contesto di “area grigia” per quanto concerne il rispetto dei diritti d’autore.

Se ACTA verrà approvato dal Parlamento Europeo diventerà illegale anche il remix, ovvero quella forma di creatività basata sull'utilizzo libero di opere coperte da copyright al fine di riassemblarle e riorganizzarle per dare vita a qualcosa di nuovo.  E che dire del modo disinvolto in cui ACTA interpreta il danno economico teorico subito dai detentori dei diritti d'autore?

A dar retta all’accordo commerciale internazionale contro la “contraffazione”, ogni file MP3 scaricato “illegalmente” costituisce di per sé un mancato guadagno per la major che detiene di quel brano musicale. Come se la fruizione della musica dovesse passare inevitabilmente attraverso una transazione economica. Non è forse, di per sé, questa offensiva interpretazione un paradigma della misera visione del mondo che le multinazionali dell'intrattenimento sono determinate ad imporre all'universo mondo, con le buone o con le cattive?

In ogni caso, se ci fossero ancora dubbi su come potrebbe diventare il nostro mondo dopo la sua approvazione definitiva, basterà forse aggiungere che in un aeroporto si potrebbe essere arrestati perché nel disco fisso del nostro portatile c'è un film o della musica scaricata da un torrent. Non sfuggano, sotto questo profilo, gli effetti devastanti che una simile regolamentazione potrebbe produrre in Paesi dove i meccanismi giuridici a tutela dei diritti dei cittadini siano meno robusti e sofisticati di quanto non sia nei paesi occidentali ...

Pare che perfino i superburocrati del Parlamento Europeo ad un certo punto si siano accorti di quale tipo di immondizia liberticida stavano per approvare. Lo studio “ACTA, una valutazione”, commissionato lo scorso giugno ad un gruppo di esperti dal Direttorato Generale per le Politiche Esterne dell’Unione, ha significativamente concluso che è “difficile evidenziare un qualsiasi vantaggio che il trattato ACTA possa apportare ai cittadini europei rispetto del quadro normativo internazionale preesistente”.

Come se non bastasse, il documento conclude sconsigliando il Parlamento Europeo di approvare incondizionatamente il trattato, “in considerazione delle problematicità rilevate nella versione attuale dell’ACTA.” Una voce particolarmente critica è stata sempre quella dell’Eurodeputato socialista Kader Arif, capo negoziatore al Parlamento Europeo. Già in un’intervista al Guardian, a fine gennaio, aveva stigmatizzato il deficit di democrazia del processo che ha generato ACTA, nonché denunciato il sospetto attivismo delle destre che hanno calendarizzato le sessioni di discussione in modo molto fitto per favorire una spedita ratifica. In quell'occasione Arif, inoltre, aveva spiegato che, benché gli estensori (americani) del trattato lo vorrebbero spacciare come uno strumento contro la contraffazione, l’accordo in realtà mira solo a proteggere il copyright.

Un farmaco prodotto in un Paese in via di sviluppo troppo povero per sottostare al racket delle case farmaceutiche non è un  contraffatto, ma piuttosto un farmaco generico. ACTA ovviamente la vede in modo diverso e promette ai paesi bisognosi un periodo buio di miseria e malattia. Arif, infine, ha sottolineato che assegnare agli ISP la vigilanza degli utenti sia espressamente vietato dalla legge europea e ha paventato un possibile inasprimento dei controlli (veri o strumentali, aggiungeremmo) alle dogane, finalizzati al “sequestro” di materiale copiato (che è, ripetiamolo, cosa diversa da “contraffatto”).

Il tutto a dispetto delle tesi contenute in un documento prodotto dai pochi ma potenti fan di ACTA (major dell'intrattenimento e case farmaceutiche) dal titolo “I dieci miti sorti attorno ad ACTA”: secondo questo testo, un simile scenario non è concreto, dato che obiettivo del trattato sono i trasgressori industriali del diritto d'autore, non i singoli “pesci piccoli”.

Il 26 gennaio Arif si è dimesso dal suo incarico di rapporteur, “disgustato” da quella che ha definito una pagliacciata: “Questo accordo potrebbe avere conseguenze molto gravi sulla vita dei cittadini, eppure si sta facendo di tutto perché il Parlamento Europeo non dica la sua su questo tema. Per questa ragione oggi voglio mandare un segnale forte ed allertare l’opinione pubblica su questa situazione inaccettabile.” Quello stesso giorno, che ha visto l’approvazione del trattato da parte di 22  paesi dell'Unione Europea, in alcuni di essi si sono registrate contestazioni più o meno clamorose.

Ed è così che le cronache hanno raccontato di parlamentari che, in Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia (stato non firmatario) si sono presentati in seduta con il volto paludato da una maschera di carta Guy Fawkes; di manifestazioni di piazza da qualche centinaio di persone in Svezia, Repubblica Ceca, Lituania e Slovenia; di alti rappresentanti delle istituzioni in stato di confusione, come l’ambasciatrice slovena in Giappone, che ha sostenuto di aver firmato per leggerezza; ed il primo ministro rumeno, incapace di dare una spiegazione coerente dell'adesione del suo paese.

Nel frattempo, poco più di due milioni di firme digitali si sono ammassate sotto la petizione online contro l’approvazione di ACTA da parte del Parlamento Europeo, lanciata dal sito Avaaz.org, mentre la meno nota Action Now ne ha raggranellate circa un quarto. Insomma, si può dire che i cittadini europei, forse distratti dalla crisi finanziaria, certamente poco informati dai media che boicottano questa storia giornalistica, e magari anche un po’ assuefatti, per non dire rassegnati, alle intromissioni dello stato nella loro vita privata, non hanno dato vita ad una mobilitazione di massa paragonabile al caos scatenato negli USA contro le proposte di legge SOPA e PIPA (assai simili, anche se complessivamente più equilibrate di ACTA).

Considerata la localizzazione geografica delle contestazioni più clamorose, verrebbe da dire che la rivolta si è concentrata soprattutto nell'Europa orientale, dove ancora bruciano le ferite prodotte dai regimi totalitari crollati dopo il 1989 e dove dunque la sensibilità nei confronti delle limitazioni alla libertà faticosamente conquistata risulta più alta.

L'Italia, spiace dirlo, si è dimostrata particolarmente ignava. Benché il nostro paese sia tra i 22 stati europei che hanno firmato l'accordo a Tokyo lo scorso 26 gennaio, titoli di giornale se ne sono visti pochini, analisi nemmeno a parlarne, mentre la mobilitazione non è stata entusiasmante. Aspettarsi dal governo Monti un intervento contro le multinazionali è, effettivamente, peccare di eccesso di ottimismo.

Non che in Germania le cose vadano molto meglio: Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, Ministro della Giustizia tedesco, che non ha ancora firmato il trattato per motivi meramente formali, ha dichiarato che lo farà solo dopo l'approvazione da parte del Parlamento Europeo, specificando che in quella sede dovrà essere affrontata la questione del perché esso sia veramente necessario. Si vedrà, ma certo queste posizioni salomoniche non aiutano più di tanto.

In ogni caso, mentre le manifestazioni convocate in varie città tedesche e francesi per l'11 febbraio sono centinaia, in Italia ne sono state previste solo due, una a Firenze ed una a Roma. Quest’ultima, poi, è stata sospesa per motivi burocratici: a causa dell'emergenza neve, infatti, venerdì sono rimasti chiusi gli uffici pubblici comunali che avrebbero dovuto autorizzare la manifestazione davanti alla sede del Parlamento europeo a via Quattro Novembre. Sembra dunque che la neve questa volta farà danni più gravi e meno evidenti di quelli documentati.

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