di Giorgio Ghiglione e Matteo Cavallaro

Infuria da qualche tempo al di là dell'atlantico una strana passione per Roma e il suo impero, questa passione riguarda in principal modo il domino che la civiltà dei Cesari è riuscita ad ottenere in gran parte del mondo conosciuto.
Nell'eccezione statunitense, gli USA rappresentano la versione moderna dell'impero Romano e della sua missione civilizzatrice.
Principali animatori di questo dibattito sono le fondazioni di ispirazione neocon. In questi anni, infatti molti analisti e think-tank vicini al governo centrale hanno sterzato verso i paragoni con l'Imperium di romanica memoria. Questa nuova retorica delle elites conservatrici ha trovato spazio, anche da noi, in un articolo di qualche mese fa sul Il Riformista, in un editoriale intolato "L'america faccia sua la lezione dell'Impero Romano". L'autore è nientemeno che Rufus Fears,il presidente di quella Heritage Foundation legata a doppio filo con il partito repubblicano e la figura di Ronald Regan. Partendo dalle difficoltà che i romani incontrarono nel soggiogare i parti, antichi abitanti dell'attuale Iran, Fears lega questo evento remoto al presente per trarne una lezione. L'America deve tenere sotto controllo quella zona del mondo se vuole mantenere ed espandere il suo impero. Notate come Fears vada oltre le parole d'ordine dell'amministrazione Bush, traducendole. Quando il governo USA parla infatti di controllare il medio-oriente non cita ovviamente l'importanza di quella zona per la propria egemonia, si riferisce piuttosto ad una pretesa garanzia di sicurezza per il mondo intero.

Questo modo di ragionare però va bene per le pubbliche relazione, non per i think-tanks conservatori (siano essi paleo o neo). Dice sempre Fears: "La speranza dei fondatori era che anche in America avremmo visto le dette virtù dell'antica Roma; e gli stessi sapevano che, in virtù di una Costituzione di questo tipo, gli Stati Uniti sarebbero diventati un impero." Si ritorna (ce ne si era mai allontanati?) quindi alla dottrina del "destino manifesto" formulata nel 1845 dal texano John Sullivan. Cosa diceva costui? Sullivan riteneva che gli Stati Uniti fossero predestinati a spargere la democrazia liberale sull'intero continente americano (donato loro da una certa signora Divina Provvidenza). Questa idea di superiorità dovuta alle proprie libertà è sempre stata alla base dell'internazionalismo americano. Il pensiero ha avuto applicazioni varie: anche l'idealismo Wilsoniano può rientrare nella grande famiglia dei figli del "Destino Manifesto", al pari della politica estera aggressiva di Theodore Roosevelt (quello dei Teddy Bear per intenderci).

In comune con l'idea del "destino manifesto" c'è solo questa fiducia determinista nei confronti del futuro: se infatti Sullivan e Wilson ancora parlavano esplicitamente di democrazia e libertà (dove per libertà si intende soprattutto libertà di commercio), Fears e la Heritage foundation legano questi termini al dominio americano.
Chiariamo meglio questo concetto: mentre per gli internazionalisti democratici il predominio degli USA era da volersi in quanto causa di libertà per il resto del mondo, per i neo-imperialisti della destra americana la libertà e la democrazia sono da volersi solo se - e fintanto - che rimarranno funzionali agli interessi della madrepatria.
Ci si chiederà: e qual è la novità? Anche Kissinger lo faceva. Vero, ma Kissinger non pubblicava articoli inneggianti all'egemonia statunitense sui giornali "governativi" di mezza Europa. E' questo il salto di qualità: le intenzioni stanno a poco a poco perdendo le loro maschere bonarie.

Addentriamoci ora meglio nell'articolo di Fears, in particolare sulle sue conclusioni, sugli insegnamenti da trarre dalla lezione romana. Una frase in particolare individua il nuovo atteggiamento della destra conservatrice: "La pace e la ricchezza dell'Impero romano derivarono dalla subordinazione di tali democrazie liberali [quelle dell'Antica Grecia per Fears erano già democrazie liberali] a un'autorità imperiale dominante in qualsiasi settore." Siamo molto distanti dalle idee di Paul Bernarnd sulla natura antifascista dell'impegno americano in medio-oriente. Non parliamo poi di quanto separa una affermazione così netta dalla propaganda filo-bushiana secondo cui la politica statunitense avrebbe come unico scopo quello di costruire un oriente democratico liberando i popoli dalle dittature.
Fears lo ammette candidamente: "Alla fine i Romani compresero che la libertà non è un valore universale: che le persone ripetutamente hanno anteposto la sicurezza portata dall'Impero romano alle mirabili responsabilità dell'autogoverno." E ancora: "Questo sistema (di libertà) non poteva essere trasferito in altre parti del mondo."

Fa quasi paura pensare che i concetti espressi da queste parole sono stati per anni usati in funzione critica verso la politica estera americana. L'idea dell'impero un tempo aveva significato negativo, anche il termine pax americana era accettato a denti stretti dai filo-usa per i suoi richiami alla pax romana. Ora invece questo problema non esiste più per una parte della destra americana: hanno accettato la strada dell'egemonia e ostentano con fierezza la loro scelta.
Questo però non è tutto: Fears si spinge infatti oltre nelle sue analisi arrivando a dire che la stessa costituzione era inadatta al ruolo egemonico di Roma: la Repubblica cadde perché altrimenti non sarebbe stato possibile costruire l'Impero. Un'affermazione del genere, detta da un esponente così influente sull'amministrazione Bush, lascia quanto meno di sale. E' una - nemmeno troppo velata - conferma delle critiche che da sempre intellettuali di sinistra come Chomsky portano al sistema americano. Siamo di fronte insomma ad una involuzione di un sistema già di per sé non eccelso. Questo processo di degenerazione del liberalismo non è per Fears ancora giunto al punto di non-ritorno. La domanda su cui si giocherà la politica estera degli americani sarà dunque la seguente: "Siamo disposti a seguire il cammino dell'impero?". Perché, dice ancora Fears, "quando ci si incammina sulla strada che porta a essere una superpotenza, non si può fare marcia indietro."

Nell'Iran i falchi dell'amministrazione Bush vedono più che un nemico da abbattere; per loro il regime di Ahmadinejad è l'ultima boa da superare per avviarsi verso il cammino imperiale. Il cammino del Nuovo Secolo Americano.

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